Comunicazione sonora e musicoterapia


Textbook, 2008

154 Pages


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INDICE

INDICE DELLE FIGURE

PARTE PRIMA: Fondamenti

Introduzione alla Parte Prima

1. La comunicazione
1.1 Che cos’è la comunicazione
1.2 Cenni storici sulla comunicazione
1.3 Finalità della comunicazione
1.4 Elementi di teoria della comunicazione

2. La comunicazione sonora
2.1 La comunicazione sonora: perché
2.2 La comunicazione sonora: dove e quando
2.3 La comunicazione sonora: come

3. I linguaggi sonori
3.1 Parola e musica come linguaggi sonori
3.2 Confronto fra i linguaggi sonori: i tratti distintivi
3.3 Funzioni del linguaggio verbale e del linguaggio sonoro musicale

4. Verbale, paraverbale e non verbale
4.1 La decodifica dei messaggi sonori come analisi multipiano
4.2 I predicati
4.3 La forma fonica
4.4 Il linguaggio del corpo
4.4.1 Il linguaggio del corpo come manifestazione di una struttura
psicologica
4.4.2 Il linguaggio del corpo come manifestazione di una
condizione socio-culturale
4.4.3 Il linguaggio del corpo come manifestazione di una
situazione affettivo-relazionale
4.5 Linguaggio del corpo e stato
4.5.1 Il colorito e la mimica facciale
4.5.2 La dilatazione della pupilla e la direzione dello sguardo
4.5.3 La respirazione
4.5.4 La postura e il tono muscolare
4.5.5 La gestualità e la motricità
4.5.6 Gli odori e i profumi
4.5.7 L’abbigliamento, l’acconciatura, il trucco e gli accessori
4.6 Linguaggio del corpo e modalità prevalente

5. Dalla comunicazione sonora alla musicoterapia
5.1 La musicoterapia come applicazione della comunicazione sonora
5.2 La musicoterapia e il suo campo d’azione
5.3 La musicoterapia clinica
5.4 La musicoterapia preventiva
5.5 La musicoterapia educativa
5.6 Multimedialità e polivalenza degli interventi musicoterapeutici
5.7 Circolarità tra stato, relazione e comportamenti
5.8 Il rispecchiamento
PARTE SECONDA: DAI PRINCIPI ALLE TECNICHE
Introduzione alla Parte Seconda

6. Il suono
6.1 La vibrazione
6.2 La vibrazione tra scienza, mito e magia
6.3 La propagazione e la percezione del suono
6.4 I parametri del suono
6.5 Suono e rumore
6.6 Gli eccessi sonori

7. Psicologia della musica
7.1 Effetti “psicologici” della musica
7.2 I meccanismi di significazione della musica
7.3 Musica e testo: affinità e convergenze
7.4 Associazione, immaginazione, simbolizzazione

8. Psicodramma, role playing e musicoterapia come tecniche
di comunicazione
8.1 Le tecniche di rieducazione della personalità
8.2 J.L. Moreno
8.3 I fondamenti dello psicodramma
8.4 La struttura dello psicodramma
8.5 Psicodramma e role-playing
8.6 Psicodramma e drammaterapia
8.7 Destinatari della tecnica dello psicodramma
8.8 Analogie e differenze tra musicoterapia, psicodramma e
role playing
8.9 Il rispecchiamento nelle attività di comunicazione sonoro-
musicale e nel role playing

9. Professione comunicazione sonora
9.1 I maestri della comunicazione sonora
9.1.1 Anoressia nervosa
9.1.2 Ansia
9.1.3 Autismo
9.1.4 Cerebropatie
9.1.5 Depressione
9.1.6 Disturbi cognitivi
9.1.7 Disturbi della condotta
9.1.8 Disturbi della sfera affettivo-emozionale
9.1.9 Disturbi della vista (ipovedenti, non vedenti)
9.1.10 Disturbi dell’udito e della parola
9.1.11 Disturbi della motricità e della locomozione
9.1.12 Nevrosi
9.1.13 Psicosi e schizofrenie
9.1.14 Ritardo mentale
9.1.15 Sindrome di Down
9.2 Codice deontologico

10. Il laboratorio di comunicazione sonora
10.1 Avviare un percorso laboratoriale: guida step by step
10.2 Verso il progetto
10.3 Tempi
10.4 Spazi e attrezzature
10.5 Oggetti sonori, strumenti musicali e apparecchiature
10.6 Destinatari e strategie
10.7 Scheda di anamnesi psicosonora
10.8 Obiettivi
10.8.1 Obiettivi dell’area sonoro-musicale
10.8.2 Obiettivi dell’area corporeo-motoria
10.8.3 Obiettivi dell’area cognitiva
10.8.4 Obiettivi dell’area affettivo-relazionale
10.9 Attività di comunicazione sonora
10.9.1 Presentazione
10.9.2 Sillabe ritmate
10.9.3 Affinità
10.9.4 Staffetta musicale
10.9.5 Diario musicale
10.9.6 Hola musicale
10.9.7 Dialoghi musicali
10.9.8 Solista e orchestra
10.9.9 Suoni e silenzi
10.9.10 Più ruoli
10.9.11 Onde marine, onde sonore
10.9.12 Musica e danza
10.9.13 Musica e tradizioni popolari
10.9.14 Ballando ballando
10.9.15 Animazione in…
10.9.16 Musical
10.9.17 Con e senza
10.9.18 Rilassamento
10.9.19 Visualizzazione
10.9.20 Oggi e domani
10.10 Protocollo di osservazione
10.11 Documentazione

GLOSSARIO

BIBLIOGRAFIA

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1 - Elementi di un sistema di comunicazione

Figura 2 – Figure di Chladni evidenziate dalla sabbia su una lastra di
ottone in vibrazione

Figura 3 – Altezza

Figura 4 – Visualizzazione della serie tonale

Figura 5 – Intensità

Figura 6 – Timbro

Figura 7 - Onomatopea

Figura 8 – Analogia strutturale

Figura 9 – Analogia sinestesica

Figura 10 – Mediazione di un codice

PARTE PRIMA: Fondamenti

Introduzione alla Parte Prima

Nella sua accezione più ampia, il termine “comunicazione” è impiegato in campo biologico, ecologico, etologico e umano per indicare uno scambio di messaggi che può essere attuato da organismi unicellulari, animali, macchine ed esseri umani.

Il tema è di grande portata e infatti ha interessato e continua ad interessare ricercatori delle più diverse discipline (etologi, antropologi, psicologi, sociologi, linguisti, studiosi di teoria dell’informazione, esperti di cibernetica e così via), come dimostrano i lavori di Ch. Darwin (1879), E. Goffman (1959), M. McLuhan (1962), R. Jakobson (1963), P.H. Grice (1967), E. Buyssens (1967), J. Searle (1969), D.I. Slobin (1971), W.D. Hamilton (1975), J. Lyons (1977), M. Bunge (1979), e molti altri.

Sorprendentemente, mentre anche gli ambiti più specifici della comunicazione verbale, visiva e corporea hanno riscosso un forte e duraturo interesse, testimoniato dalla cospicua mole di studi, ricerche e opere di riflessione relative a questi settori di indagine, la comunicazione sonora e musicale non è stata finora oggetto di un gran numero di studi sistematici e approfonditi, e dunque non si è ancora creato per questo tema un filone di ricerca né si è sviluppata una scuola di pensiero.

Nell’accingermi a questo lavoro desideravo però collegare la riflessione sulla comunicazione sonora e musicale ad altri argomenti concettualmente vicini, affinché il quadro si presentasse adeguatamente articolato senza essere frammentario, e abbastanza approfondito senza essere eccessivamente specialistico.

Per questo motivo mi è sembrato opportuno avviare la riflessione sulla comunicazione sonora e musicale inquadrandola nel più ampio tema della comunicazione in generale, e indagare poi sui rapporti intercorrenti tra comunicazione sonoro-musicale, comunicazione verbale e comunicazione non verbale; così ho analizzato le dimensioni e la portata della comunicazione sonora, il rapporto tra i due linguaggi sonori della parola e della musica, i nessi intercorrenti tra il piano del verbale, quello del paraverbale e quello del non verbale, per giungere infine alla musicoterapia, la disciplina che utilizza la comunicazione sonoro-musicale all’interno di interventi multimediali e polivalenti finalizzati all’integrazione del sé e all’integrazione sociale.

1. La comunicazione

1.1 Che cos’è la comunicazione

“La comunicazione è al centro di ogni socialità: facilitando l’avvicinamento e l’integrazione, e attenuando per converso le tensioni e i conflitti, ha portato l’umanità dall’istinto alla progettualità, dalle emozioni all’analisi delle esigenze, dall’egocentrismo alla solidarietà e alla condivisione. Per la sua capacità di coniugare le istanze degli individui con quelle della società, la memoria del passato con la prefigurazione del futuro, rappresenta il motore e l’espressione delle attività sociali e della stessa civiltà”: così il Rapporto MacBride sulla Comunicazione sottolinea la centralità della comunicazione nelle società e nel loro sviluppo [Commissione Internazionale per lo Studio sui Problemi della Comunicazione nel Mondo, 1982].

In realtà ogni comunicazione è un fatto sociale, sia che avvenga tra due o più individui sia che avvenga nel colloquio interiore di un individuo con sé stesso. La ragione è dovuta al fatto che ogni segno è leggibile solo all’interno di un’esperienza comune o di un sistema basato su consuetudini culturali comuni [Peirce, 2003].

Per questo motivo N. Goodman, E. Goffman, N. Luhmann e J. Habermas ritengono che lo stesso studio delle società complesse debba basarsi sulla comunicazione, più ancora che sulle relazioni sociali.

Già da questi primi accenni a studi incentrati sulla comunicazione si evidenzia il grande interesse verso questo tema da parte di sociologi, psicologi, filosofi, linguisti, studiosi di teoria dell’informazione ed esperti di cibernetica: numerose ricerche di diverso indirizzo hanno indagato sugli aspetti semantici della comunicazione, sulla sua intenzionalità o indifferenziazione, sulle caratteristiche manifeste e/o latenti dei suoi messaggi, sulla loro capacità di fornire informazioni a livello razionale, o di agire direttamente sull’immaginario collettivo attraverso le componenti emotive del messaggio e i fenomeni proiettivi [Galimberti, 1999].

Prima però di intraprendere a nostra volta un percorso di riflessione sul comunicare e sulla comunicazione è opportuno delineare con precisione l’ambito della ricerca, definendone adeguatamente i termini.

Il dizionario [P. Stoppelli, 1995] cita alla voce “comunicare”

1. trasmettere, diffondere, propagare, ad esempio una notizia, un movimento, un contagio
2. amministrare il sacramento della comunione
3. mettere in comune (come nella frase di Boccaccio “con lui comunica ogni suo bene”)
4. essere in rapporto di comunicazione con qualcuno; per estensione, far note e condividere idee o sentimenti profondi
5. essere in collegamento, in contatto (detto di luoghi, ambienti, parti di un insieme; ne è un esempio la frase “tutti i locali comunicano col salone”)

e alla voce “comunicazione”

1. il comunicare, ciò che si comunica
2. breve relazione presentata in un congresso
3. contatto che permette di comunicare
4. insieme di strutture, impianti, mezzi che stabiliscono un collegamento (come nelle locuzioni “comunicazioni terrestri” e “vie di comunicazione”)
5. trasmissione di informazioni mediante messaggi da un emittente a un ricevente

Per quanto ci riguarda considereremo come significato base quello di “mettere in comune, condividere” qualcosa, da cui deriva il significato più specifico di “trasmettere informazioni mediante messaggi inviati a un ricevente”, eventualmente con l’ausilio di strutture, impianti e mezzi specifici.

1.2 Cenni storici sulla comunicazione

Partendo da codici gestuali e vocali semplicissimi, insiti nella sua struttura fisica, l’uomo ha creato, nel corso della sua evoluzione, una vasta gamma di mezzi verbali e non verbali atti a trasmettere messaggi: il linguaggio verbale, che ha dato ai contenuti della comunicazione sviluppo e concettualità, rendendo l’espressione più precisa e particolareggiata, il linguaggio gestuale-motorio, il linguaggio sonoro-musicale, il linguaggio iconico-visivo.

Questi modi di comunicare sono entrati in uso contemporanea-mente, poiché si sono rivelati indispensabili alla sopravvivenza degli individui, che man mano si organizzavano in gruppi sociali: questa aggregazione infatti rendeva fondamentali gli scambi di informazioni tra individui dello stesso gruppo, tra individui di gruppi diversi, e tra gruppo e gruppo.

Ogni linguaggio è dunque un sistema di comunicazione che risulta dalla vita in società e risponde ai bisogni della società che l’ha espresso; pur avendo diffusione universale, ha forme diverse, sia dal punto di vista sincronico (esistono infatti nello stesso momento linguaggi diversi) che dal punto di vista diacronico (in uno stesso territorio, nel corso del tempo si sono evolute forme diverse di linguaggio) [Martinet, 1974].

Il linguaggio verbale si è così articolato in una miriade di lingue diverse, ognuna delle quali è stata modellata dalla diversa evoluzione delle istituzioni culturali, giuridiche, morali e religiose della società che l’ha espressa. Col passare del tempo, alla comunicazione interpersonale tesa a favorire l’armonia del gruppo e a prendere decisioni operative, si è affiancata la comunicazione pubblica istituzionalizzata, finalizzata alla trasmissione delle norme e delle tradizioni. Man mano che la comunicazione si istituzionalizzava comparvero gruppi professionali formati da stregoni, maghi, capi tribù, menestrelli ecc., che assunsero la funzione di tutori della memoria collettiva, tramandando alcuni particolari tipi di messaggi.

Ma la natura statica delle diverse società si rifletteva sulla lentezza di diffusione delle comunicazioni: i messaggi sonori (trasmessi dalla voce umana, dal tam tam e così via) e visivi (inviati con segnali di fumo e simili) avevano una portata coincidente con i limiti biologici di percezione, e i messaggi scritti viaggiavano ad una velocità non superiore a quella dei loro messaggeri (un essere umano poteva andare a piedi, a cavallo, in barca a vela, un piccione viaggiatore volava, e così via).

L’era moderna delle comunicazioni inizia con l’invenzione della stampa, nel XV secolo: i libri divennero i depositari insostituibili del pensiero e della cultura poiché in un volume era possibile concentrare, in maniera durevole, un gran numero di informazioni.

I libri e, a partire dal XVII secolo, i pamphlets e i giornali, diffusero informazioni di carattere scientifico, filosofico, religioso, tecnico, commerciale, sociale, politico, e poiché strati sempre più vasti di popolazione sapevano leggere e avevano accesso alle pubblicazioni, iniziava una nuova epoca caratterizzata da un sapere più diffuso e da una maggiore partecipazione alla vita intellettuale e politica.

L’epoca moderna ha visto la nascita e il rapidissimo sviluppo dei mezzi di comunicazione legati all’applicazione dell’elettricità (telegrafo, telefono, cinema, radio, televisione, fax, internet, ecc.) e anche in questo caso l’incremento di queste tecniche ha favorito, e circolarmente è stato favorito, da vaste trasformazioni politiche ed economiche.

Il continuo progresso dell’informatica permette di immagazzinare e trasmettere quantità di informazione sempre maggiori in tempi sempre più brevi: le distanze non sono più un ostacolo, i materiali diventano sempre meno cari, il know-how di base è sempre più diffuso e un insieme di reti di comunicazione copre praticamente tutto il globo.

Questo solleva interrogativi su un’etica della comunicazione, poiché gli stessi mezzi che possono essere usati per acquisire l’indipendenza politica ed economica e per trasformare e modernizzare le strutture sociali, possono essere usati anche per esercitare un’influenza indebita e oppressiva sulla popolazione del proprio paese e anche su quella di altri paesi [Commissione Internazionale di Studio sui Problemi della Comunicazione nel Mondo, 1982].

1.3 Finalità della comunicazione

Il Rapporto MacBride sulla comunicazione, che esamina quest’ultima nella sua accezione più ampia, come scambio non soltanto di notizie e messaggi, ma anche di idee, di concetti, di avvenimenti, ecc., cita, tra le finalità della comunicazione le seguenti:

- informazione: raccogliere, immagazzinare, elaborare, diffondere le notizie, i dati, i fatti, i messaggi, le opinioni, i commenti necessari per comprendere le situazioni individuali, collettive, nazionali e internazionali, ed essere in grado di prendere le decisioni necessarie
- socializzazione: creare un substrato comune di conoscenze e di idee che consenta ad ogni individuo di integrarsi nella società in cui vive e acquisire la consapevolezza necessaria a partecipare attivamente alla vita politica, favorendo nel contempo la coesione sociale
- motivazione: promuovere le aspirazioni individuali e le scelte miranti alla realizzazione di esse; stimolare le attività individuali e collettive tese a perseguire scopi comuni; individuare, proporre e operare per raggiungere obiettivi immediati e fini ultimi di ogni società
- discussione e dialogo: individuare e presentare le informazioni atte a illustrare i punti di vista nelle questioni di pubblico interesse e a favorire l’accordo; fornire gli elementi idonei a incrementare la partecipazione del pubblico ai temi di interesse locale, nazionale ed internazionale
- educazione: divulgare il sapere, favorendo l’individuazione delle attitudini e l’acquisizione di conoscenze e competenze degli individui, e dunque contribuendo al loro generale sviluppo
- promozione culturale: diffondere le opere artistiche e culturali per conservare e trasmettere l’eredità del passato e del presente; allargare l’orizzonte culturale potenziando l’immaginazione e stimolando il senso estetico e la creatività
- ricreazione: diffondere le attività ricreative individuali e collettive, quali ad esempio il teatro, la danza, le arti visive, la letteratura e la poesia, la musica, il gioco, lo sport
- integrazione psichica e sociale: favorire la conoscenza e la comprensione delle varie istanze di cui è portatrice ogni persona, promuovendo l’integrazione delle varie componenti del sé, l’integrazione dell’individuo nel gruppo e l’integrazione del gruppo nella società più vasta.

Oltre a queste finalità, che considerano la comunicazione prevalentemente dal punto di vista dei bisogni dell'individuo, bisogna considerare anche le finalità che danno risposta ai bisogni degli organismi collettivi e delle comunità:

- per i governi: informare ed essere informati sulle questioni politiche, gli avvenimenti locali e internazionali, le previsioni meteorologiche, l’andamento demografico, la produzione agricola e industriale, le risorse idriche, i mercati finanziari, ecc.
- per le scuole e le università: informare ed essere informati sull’assetto istituzionale, sui percorsi di studio e di ricerca, sull’utenza passata, presente e futura, sull’efficienza ed efficacia dei programmi, ecc.
- per le aziende: informare ed essere informati sulla situazione economica nazionale ed internazionale, sull’andamento del mercato, sulle innovazioni tecnologiche, sulle materie prime, sulla situazione sindacale, sull’offerta propria e della concorrenza, ecc.

e così via.

In realtà il contesto in cui si realizza la comunicazione istituzionalizzata può orientarla in direzioni anche molto diverse: ad esempio, considerando l’individuo, si può operare per rafforzare l’identità individuale ma anche livellare comportamenti e aspirazioni, si può favorire l’acquisizione di informazioni e l’apertura mentale ma anche l’appiattimento mentale e l’indottrinamento, stimolare la creatività dell’individuo ma anche passivizzarlo, favorire l’indipendenza del pensiero e del senso critico ma anche operare nella direzione dell’alienazione culturale e dell’uniformazione sociale.

Inoltre, considerando la collettività, i mezzi di comunicazione di massa (stampa, radio, televisione, ecc.) possono essere lo specchio dell’opinione pubblica, ma anche determinarla, possono favorire la democratizzazione ma anche esercitare un’azione di propaganda faziosa e unilaterale, possono contribuire al rinsaldarsi delle tradizioni locali ma anche alla loro estinzione, possono promuovere la diffusione di canoni di comportamento ma anche scoraggiarla, sostenere l’identità culturale delle minoranze ma anche schiacciarla.

L’aver accennato alla cultura ci permette di evidenziare che la comunicazione è una componente essenziale di ogni modello di vita, e quindi di ogni società, e che i mezzi di comunicazione sono strumenti culturali. Circolarmente, però, una gran parte dell’effetto ottenuto dai mezzi di comunicazione di massa è in relazione (oltre che con le condizioni psicologiche, intellettuali e sociali) anche con le condizioni culturali degli individui che vi sono esposti.

Per questo motivo, è opportuno mettere in rilievo non soltanto il fondamentale nesso che collega formazione e comunicazione, ma anche le interazioni che è opportuno si realizzino tra i due poli: da una parte i processi di istruzione devono trasformarsi in esperienze di comunicazione, di relazioni umane, di dialogo, di collaborazione, e dall’altra la scuola e le altre agenzie educative devono impegnarsi per fornire un’educazione/istruzione più critica ed esigente, rendendo gli individui in grado di discriminare e scegliere con consapevolezza i prodotti della comunicazione.

1.4 Elementi di teoria della comunicazione

Nel 1949 C. Shannon pubblica l’opera La teoria matematica della comunicazione, in cui si esplicitano le caratteristiche strutturali di un sistema comunicativo: da essa prende spunto il seguente schema, che illustra gli elementi principali della teoria della comunicazione.

In un qualunque sistema di comunicazione vi è un’informazione iniziale o “input” (per esempio le parole pronunciate al telefono) che mediante la codifica viene trasformata in “segnale” (nell’esempio precedente, le parole pronunciate al telefono vengono trasformate in onde elettriche); l’informazione codificata viene trasmessa al destinatario, che la decodifica. L’informazione decodificata (“output”) o finale non è però sempre identica all’input iniziale, perché durante le operazioni di codifica, trasmissione e decodifica si possono verificare delle interferenze che riducono l’intelligibilità del messaggio.

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Figura 1 - Elementi di un sistema di comunicazione

L’emittente è il sistema che si manifesta con segnali o simboli.

L’emittente può disporre di una fonte di trasmissione, e cioè del generatore del messaggio, che può essere biologico o artificiale, e di una trasmittente, che converte il messaggio in segnale attraverso la sua codifica.

Il messaggio è ciò che l’emittente comunica al destinatario, è una sequenza, un insieme di unità (verbali, grafiche, sonore, ecc.) che in qualche modo hanno un senso/significato, cioè veicolano un “meaning” costituito da elementi denotativi, emozioni, ecc.; il messaggio ha questo senso/significato perché è inquadrabile in un codice

Il segnale è il messaggio codificato, cioè composto seguendo le regole di un codice.

Il codice è un sistema che si conviene costituito da un certo numero di elementi, quali ad esempio simboli, fonemi, colori/linee, suoni/silenzi, ecc., e dalle loro regole di combinazione. Chi desidera inviare un messaggio portatore di senso/significato all’interno di un determinato codice, seleziona, tra le alternative possibili, una serie di opzioni e procede dunque alla codifica del messaggio, il cui senso/significato è dato appunto dal rapporto tra alternative possibili e scelte effettuate; chi desidera interpretare un messaggio compie lo stesso processo a ritroso, ed esaminando il rapporto tra alternative possibili e scelte effettuate ne ricostruisce il senso/significato. E’ evidente, dunque, che, perché un messaggio sia ben compreso, è necessario che emittente e ricevente utilizzino lo stesso codice.

Il canale è un sistema fisico i cui cambiamenti danno luogo a segnali, è cioè la strada attraverso cui transita il messaggio, il punto di contatto tra trasmittente e ricevente. L’emittente compone il messaggio utilizzando un certo canale (ad esempio il canale vocale, il canale gestuale, ecc.) e il ricevente lo decodifica utilizzando in genere altri canali (l’udito, la vista, ecc.). Nel regno animale i canali di trasmissione sono cinque: visivo, acustico, tattile, chimico-olfattivo (basato sui feromoni) ed elettrico [Bianchi e Di Giovanni, 2000].

Il ricevente è il sistema che riceve il messaggio, e può disporre di un ricevitore, che riconverte il segnale nel messaggio operando la sua decodifica, e di un destinatario.

Il destinatario è il soggetto a cui l’informazione è stata inviata. In generale l’emittente destina il suo messaggio al ricevente, e quando ciò si verifica possiamo dire che destinatario e ricevente coincidono. Tuttavia possono anche verificarsi altri casi: quello del destinatario non ricevente, il che si verifica quando l’emittente scrive una lettera e questa non giunge al destinatario, e quello del ricevente non destinatario, che si ha, ad esempio, quando un richiamo destinato ad una persona viene udito da un’altra persona.

Il ricevente può coincidere con l’emittente, il che si verifica ad esempio quando l’emittente sceglie di comunicare con sé stesso scrivendo un diario; può essere potenziale, il che si verifica nel caso di una lettera scritta ma non inviata; può essere collettivo, il che si verifica ad esempio quando il presidente della repubblica invia un messaggio alla nazione.

Il rumore o interferenza è un elemento che produce un effetto di disturbo che può alterare, distorcere, deformare il segnale, impedendone la ricezione nella forma in cui è stato emesso.

2. La comunicazione sonora

2.1 La comunicazione sonora: perché

In ambito formativo il concetto di “espressione/comunicazione” è stato utilizzato in modo man mano diverso: limitato inizialmente alla sola o preponderante espressione e comunicazione verbale, ha incluso poi, col passare del tempo, anche l’espressione e comunicazione nei campi del paraverbale (velocità dell’eloquio, uso delle pause, intonazione, ecc.) e del non verbale (gestualità, motricità, espressione del viso, ecc.). Infatti è stato rilevato che, nella decodifica di un messaggio, l’importanza che viene attribuita al verbale è del 7%, quella riservata al paraverbale è del 38% e quella orientata al non verbale è del 55%.

L’attenzione privilegiata tradizionalmente data all’espressione e comunicazione verbale si fondava sull’assunto secondo cui una buona formazione in questo campo sottintende e circolarmente promuove lo sviluppo intellettivo del formando.

Da questo presupposto discendeva la convinzione che le discipline fondate sull’utilizzo del linguaggio verbale fossero in grado più di altre di favorire la maturazione delle capacità intellettive dei discenti, e ciò ha prodotto una sorta di gerarchizzazione delle discipline scolastiche e formative, e conseguentemente anche delle attività del tempo libero, tra le quali l’ascoltare e il far musica erano considerate in genere come occasione di evasione ludica e svago catartico.

In epoca più recente, però, pur senza disconoscere o sottovalutare lo stretto rapporto esistente tra sviluppo del pensiero e sviluppo del linguaggio verbale [Vygotskij, 1954], si è evidenziato che non vi è un solo tipo di intelligenza, ma vi sono invece intelligenze multiple (intelligenza linguistica, intelligenza musicale, intelligenza logico-matematica, intelligenza visuo-spaziale, intelligenza corporeo-cenestesica, intelligenze personali) [Gardner, 1987], e che ogni disciplina può stimolare processi induttivi e deduttivi, logica e creatività, capacità di analisi e di sintesi, ecc., mettendo a disposizione del discente più materiali con cui attuare il transfer of training [Gagné, 1973].

Perciò oggi si ritiene che sviluppare le capacità di percezione, analisi e produzione di tutti i messaggi comunicativi contribuisca a

- promuovere un approccio alla realtà più acuto e più personale
- favorire l’autonomia di pensiero
- creare le basi per raggiungere una più profonda consapevolezza razionale ed affettiva.

I messaggi sonoro-musicali fanno parte delle testimonianze della cultura di un popolo, e dunque esplicitano i modelli di comportamento e i sistemi istituzionali in cui si concretizzano valori, norme, credenze del popolo stesso [Krech et al., 1970]: infatti non a caso costituivano una tra le prime forme di espressione e comunicazione già nelle società primitive [Dorfles, 1962]. Appare evidente, quindi, che è fondamentale per l’integrazione del sé e per l’integrazione sociale saper fruire attivamente dei beni culturali del proprio ambiente, ambiente che è sempre più il villaggio globale, ricco di scambi, influenze, confronti fra tutte le sue parti, strettamente interconnesse da un afflusso continuo di dati, informazioni, esperienze [Mc Luhan, 1986].

Accade invece che molti vivano passivamente la comunicazione sonoro-musicale, cogliendone frequentemente il solo livello emotivo; ora, è vero che i suoni giungono al talamo anche senza intervento della corteccia cerebrale, e dunque comunicano in maniera più immediata delle parole, suscitando risonanze emotive e coinvolgendo il recettore del messaggio in modo profondo e spesso a-razionale; è vero anche, però, che l’indipendenza di giudizio si sviluppa con l’esercizio e che la maturazione della sensibilità estetica è soltanto uno dei traguardi raggiungibili attraverso una fruizione attiva e consapevole dei prodotti artistici.

Anzi oggi si ritiene fondamentale giungere ad una fruizione consapevole non soltanto delle vere e proprie opere d’arte, che sono solo uno dei modi in cui una cultura si esprime, ma anche di tutti quei prodotti che non possono essere immediatamente ascritti all’ arte, ma i cui significanti sono pur sempre costruiti con determinati elementi materiali (ad esempio, nel caso della musica, con suoni e silenzi) tra i quali si instaurano specifiche relazioni sintagmatiche e paradigmatiche: tra questi prodotti possiamo citare, ad esempio, la musica leggera, i jingles, ecc.

In effetti sviluppare le capacità di espressione e comunicazione sonoro-musicale vuol dire

- arricchire e dilatare il proprio lessico musicale, potenziando, nella decodificazione dei messaggi recepiti, le capacità di attenzione, percezione e analisi
- e quindi costituirsi un bagaglio man mano più ampio e profondo, da cui attingere al momento di codificare, nel mezzo prescelto, i propri pensieri e le proprie emozioni.

Dunque, il poter disporre di un’adeguata competenza comunicativa sonoro-musicale, ben lungi dal rappresentare un tratto marginale ed accessorio della personalità, costituisce invece una risorsa fondamentale per l’integrazione del sé e per l’integrazione sociale, e rappresenta una valida opportunità nell’elaborazione e realizzazione di percorsi di formazione e riabilitazione.

2.2 La comunicazione sonora: dove e quando

Viviamo in un mondo sonoro in cui il silenzio totale è praticamente assente: infatti producono suoni

- i fenomeni atmosferici: pensiamo al tamburellare della pioggia, all’ululato del vento, al rombo dei tuoni, ecc.
- gli elementi della natura inanimata: pensiamo al fragore delle rocce che si spaccano sotto l’effetto del gelo e del sole, al rumore dei sassi che rotolano, al chiacchierio dell’acqua che scorre, al suono ritmico delle onde che si infrangono sulla battigia, e così via
- le piante: pensiamo allo stormire delle fronde, allo schiocco che accompagna lo scoppio del frutto del cocomero asinino, quando esso è maturo e pronto a far uscire i semi, allo schianto di un albero che cade perché sradicato dal vento, ecc.
- gli animali: pensiamo ai loro differenti versi di richiamo, di corteggiamento, di sfida, alle sonorità che causano con movimenti effettuati per spostarsi da un luogo ad un altro, per nutrirsi, per abbeverarsi, per curare l’igiene, per aggredire e per difendersi, e così via
- l’uomo: pensiamo alle sonorità corporee, quali ad esempio il respiro, il colpo di tosse, lo starnuto, il battito cardiaco, i rumori viscerali, ecc.; pensiamo al linguaggio verbale, al riso, al pianto, alle lallazioni infantili, al canto con e senza parole, ecc.
- le macchine e gli strumenti costruiti dall’uomo: pensiamo agli strumenti propriamente musicali, quali ad esempio il pianoforte, il flauto, la chitarra, ecc., alle macchine e ai macchinari, quali ad esempio automobili, elettrodomestici, impianti industriali, e così via.

Se riflettiamo sull’ampiezza, la frequenza e la rilevanza dei messaggi sonori che riceviamo e trasmettiamo, ci rendiamo conto del fatto che la nostra vita è caratterizzata da una ininterrotta “colonna sonora”, della quale è importante acquisire una maggiore consapevolezza indagandone le diverse variabili, in modo da comprendere con precisione i messaggi sonori che riceviamo e comporre con efficacia i messaggi sonori che inviamo.

2.3 La comunicazione sonora: come

La produzione di un messaggio sonoro-musicale, ma anche la “semplice” comprensione di un messaggio sonoro-musicale elaborato da altri, non sono affatto immediati atti di intuizione o pure registrazioni formali: sono atti di elaborazione attiva che richiedono al produttore e al fruitore del messaggio il possesso e la competenza nell’uso di una serie di capacità, che investono la percezione, la comunicazione, la metodologia operativa, la tecnica.

Queste capacità possono essere considerate in parte dei prerequisiti ed in parte delle mete da raggiungere per mezzo di attività idonee, all’interno di percorsi di crescita personale, valorizzazione delle proprie potenzialità, ampliamento delle creatività, educazione e riabilitazione psicosociale.

Per questo motivo la definizione dei vari step è riportata al par. 10.8, intitolato “Obiettivi”, che verte appunto sugli obiettivi di un laboratorio di comunicazione sonora.

3. I linguaggi sonori

3.1 Parola e musica come linguaggi sonori

Mentre nel passato si tendeva a considerare come vero e proprio linguaggio soltanto il linguaggio verbale umano [Bianchi e Di Giovanni, 2000] dal 1950 in poi è diventato usuale definire linguaggi anche altri sistemi di comunicazione, umani e non, come ad esempio il linguaggio gestuale-motorio, il linguaggio musicale, il linguaggio iconico, il linguaggio dei fiori, il linguaggio degli animali, ecc.

Nell’ambito dei linguaggi umani, la parola e la musica sono caratterizzate entrambe dalla dimensione sonora: esse si basano sulla produzione e la ricezione di suoni e sul loro inquadramento in messaggi a cui sia possibile attribuire un senso.

Parola e musica realizzano i loro segni selezionando, dal continuum acustico, una serie finita di suoni: nel linguaggio verbale le unità minime di base sono rappresentate dai fonemi di una determinata lingua, nel linguaggio musicale le unità minime di base sono rappresentate dai suoni appartenenti ad una specifica scala.

Queste unità minime di base non hanno ancora un senso/significato, il quale nasce invece dalle loro interrelazioni: tanto nella parola quanto nella musica il senso/significato è attribuibile non ai suoni isolati ma alle organizzazioni di suoni (vocaboli nella parola, costrutti melodici e armonici in musica).

Tanto la parola quanto la musica compongono i loro messaggi secondo l’asse lineare della successione, strutturandoli in sequenze che non a caso vengono chiamate, per entrambi i linguaggi, frasi e periodi.

Mentre però il linguaggio verbale ha una forma fonica (significante) distinta dal suo portato semantico (significato), nel linguaggio musicale il significante coincide col significato, cioè il senso attribuibile ad una determinata frase musicale risiede proprio nei procedimenti tecnico-linguistici che la compongono [Fubini, 1973].

In ogni modo diversi studiosi sono inclini a ravvisare un’origine comune per la parola e la musica: alcuni sostengono l’ipotesi che le esplosioni emozionali dei primitivi (una gioia selvaggia, un mugolio di rabbia, ecc.) si siano esplicitate in grida variamente modulate, dalle quali avrebbero preso origine le forme più arcaiche di melodia [Sachs, 1979], altri credono che il desiderio di stabilire un contatto ed esprimere e comunicare le proprie emozioni ed idee abbia spinto gli essere umani a produrre grida di richiamo e di risposta, dalle quali sarebbe nata la parola [Revesz, 1983].

Lo stretto legame tra parola e musica era ben conosciuto anche nell’antichità: fin dal VII sec. a.C. i lirici greci erano poeti e musici insieme, poiché la lettura ad alta voce delle poesie comportava già di per sé l’adesione ad una certa melodia e ad un ben preciso ritmo. Infatti, nella lingua greca, le sillabe che costituiscono le parole sono caratterizzate da varietà quantitativa (esistono sillabe brevi e lunghe) e dalla possibilità di portare vari tipi di accento, ragion per cui nella composizione di una poesia era importante dedicare la giusta attenzione sia all’aspetto della forma fonica che all’aspetto del portato semantico.

Il Dolce Stil Novo, scuola poetica italiana del XIII sec., si caratterizzava per la particolare attenzione data alla musicalità dei versi, alla loro levigatezza, alla loro perfezione formale.

In epoca rinascimentale l’italianista Pietro Bembo raccomandava di tenere in adeguata considerazione la forma fonica del componimento poetico o letterario: poiché “il componimento nasce di molte voci, da ciascuna voce ha origine, e ciascuna voce dalle lettere, che in lei sono, riceve qualità e forma, è di mestiere sapere qual suono rendono queste lettere” [P. Bembo, 1525].

Il movimento futurista, attivo a partire dal 1909 a Parigi e in Italia, esaltando le “parole in libertà”, ne metteva in evidenza i valori fonici, che acquistavano così un rilievo molto maggiore rispetto ai nessi logici e sintattici.

In molte lingue orientali, tra cui il cinese, il significato delle parole è legato anche ai toni, cioè all’organizzazione delle altezze sonore con le quali le parole vengono pronunciate.

In Africa i tamburi di pelle tradizionalmente usati per trasmettere notizie sono costruiti appositamente in maniera tale da essere in grado di riprodurre le differenze di intonazione e i ritmi del linguaggio verbale [Lanza, 1999].

Come si vede, la riflessione sui rapporti tra parola e musica non è oggetto di una curiosità momentanea o geograficamente circoscritta, ma investe le radici stesse della parola e della musica, e continua ancor oggi ad interessare studiosi delle più diverse discipline (musicisti, letterati, filosofi, psicologi, pedagogisti, ecc.) [Padula, 2001].

3.2 Confronto fra i linguaggi sonori: i tratti distintivi

Allo scopo di confrontare i diversi linguaggi ed individuarne analogie e differenze, il linguista americano Charles Hockett ha stilato un elenco di peculiarità che possono caratterizzare i vari linguaggi, chiamate tratti distintivi (design features) [Hockett, 1960].

Analizziamo dunque i principali tratti costitutivi del linguaggio verbale e del linguaggio musicale, secondo la griglia predisposta da Hockett.

Sono tratti sicuramente comuni

1. canale vocale-uditivo: il canale vocale è utilizzato nell’emissione dei messaggi verbali e vocal-musicali, il canale uditivo è utilizzato nella ricezione dei messaggi verbali e dei messaggi musicali, sia vocali che strumentali. Altri linguaggi invece utilizzano altri canali: gli animali, ad esempio, utilizzano spesso il linguaggio del corpo assumendo diverse forme e differenti colori per intimorire i nemici, per sfuggire ai predatori, nel corteggiamento, e così via
2. trasmissione a distanza e ricezione direzionale: essendo linguaggi che utilizzano il canale uditivo, entrambi possono giungere a riceventi anche distanti, purché a portata d’orecchio; di conseguenza, se un messaggio è indirizzato dall’emittente ad un destinatario facente parte di un gruppo, probabilmente le altre persone del gruppo saranno riceventi non destinatari. Invece per il ricevente è abbastanza facile identificare chi emette il messaggio perché, avendo due orecchie, siamo dotati di ricezione direzionale, cioè siamo in grado di identificare la collocazione spaziale della sorgente sonora
3. rapida evanescenza: entrambi i linguaggi sono basati su suoni, che svaniscono più rapidamente di odori e profumi, e dei messaggi verbali scritti, che durano tutto il tempo che dura il loro supporto cartaceo o magnetico
4. retroazione completa: chi emette messaggi verbali o musicali è in grado di ascoltare ciò che dice, canta o suona, diversamente da ciò che avviene utilizzando la mimica facciale e lo sguardo, che l’emittente non può tenere sotto controllo visivo
5. apertura: chi parla o fa musica ha la capacità di “dire” cose che non sono mai state dette o udite prima, diversamente da quanto accade per il linguaggio degli animali, che dispongono di un repertorio finito, ossia “chiuso” di richiami
6. tradizione: convenzioni ed elementi di base del linguaggio verbale e del linguaggio musicale vengono trasmessi da una generazione all’altra
7. apprendibilità: è possibile imparare a parlare altre lingue, imparare a suonare altri strumenti musicali, ecc.
8. convenzionalità: nel linguaggio verbale e nel linguaggio musicale non c’è una relazione fissa tra significante e significato, come desumiamo dal fatto che uno stesso senso/significato può essere espresso con parole e/o con suoni molto diversi tra loro. Nel linguaggio delle api, invece, una relazione fissa tra significante e significato esiste: più a lungo dura il ronzio, più vicino è il nettare.

E’ un tratto sicuramente non comune la doppia articolazione del linguaggio verbale: l’enorme numero di parole del linguaggio verbale è costruito a partire da un ridotto insieme di fonemi, che di per sé non hanno significato.

Sono tratti dubbi

1. semanticità: mentre è certo che i messaggi verbali abbiano un significato, non lo è altrettanto che lo abbiano i messaggi musicali. Alcuni studiosi, tra i quali ricordiamo Wackenroder, Parente e Wagner, ritengono che la musica possa esprimere stati d’animo ed emozioni, o comunque riferirsi ad un mondo che non si riduce ai soli suoni; altri, tra cui ricordiamo Schopenhauer, Hanslick, Strawinsky e Gisele Brelet, credono che la musica, pur possedendo sicuramente un significato trasmissibile a chi la esegue e a chi la ascolta, non esprima nient’altro che sé stessa e il mondo dei suoni
2. carattere discreto: la pronuncia di parole molto simili, che si differenziano per un solo fonema, come ad esempio bollo e pollo, può essere effettuata poco chiaramente da un parlante causando incertezza all’ascoltatore, ma comunque non viene creata una terza parola “intermedia” e chi ascolta deve decidere, in base al contesto, se la parola che è stata pronunciata era bollo oppure era pollo. Questo ci dimostra che nel linguaggio verbale i fonemi hanno caratteristiche ben precise, la cui presenza o assenza influenza la corretta comprensione del messaggio. Nel linguaggio musicale invece, accanto a strumenti a suono determinato, ve ne sono altri a suono indeterminato, tra i quali ci sono diversi strumenti a percussione (i piatti, il tamburo, il triangolo, ecc.); con la voce e con molti strumenti è possibile effettuare glissandi in cui vengono prodotti, senza soluzione di continuità, tutti i suoni compresi in un determinato intervallo, ecc.

L’analisi comparata effettuata sulla base della griglia di Hockett ci permette di concludere che tra linguaggio verbale e linguaggio musicale vi sono significative somiglianze.

3.3 Funzioni del linguaggio verbale e del linguaggio sonoro musicale

E’ interessante, a questo punto, verificare se, e in quale misura, il linguaggio musicale possa assolvere a tutte le funzioni comunicative riconosciute al linguaggio verbale, cioè se sia davvero in grado di esprimere e comunicare pensieri ed emozioni.

Assumiamo dunque come riferimento l’ormai classica teoria di R. Jakobson [Jakobson, 1963], che assegna al linguaggio verbale sei funzioni comunicative:

- la funzione espressiva o emotiva si ha quando l’emittente esprime, per mezzo del messaggio, le sue emozioni. Caratterizzati dalla funzione espressiva sono, ad esempio, brani musicali come Felicità perfetta di Schumann o Dolore di Bartok
- la funzione referenziale o informativa si ha quando il messaggio ha lo scopo di descrivere e informare in modo oggettivo. La funzione referenziale si realizza, ad esempio, quando una sequenza sonora (per esempio la musica di uno scacciapensieri) ci informano sulla localizzazione di un oggetto o di una storia
- la funzione conativa o esortativa si ha quando il messaggio indica in forma imperativa che è opportuno fare una certa azione. Un esempio di funzione conativa è dato, in campo in campo sonoro-musicale, dalle sequenze di suoni emesse dal computer per avvertire l’utente di avviare (o viceversa di smettere) una determinata procedura
- la funzione poetica o estetica si ha quando l’attenzione viene posta sulla forma stessa del messaggio. Esempi di funzione poetica sono tutte le opere d’arte musicale
- la funzione fàtica si ha quando il messaggio ha lo scopo di stabilire o mantenere il contatto. Un esempio di funzione fàtica è quello svolto dal segnale telefonico che indica a chi ha composto il numero “il telefono chiamato è libero e sta squillando, mantieni il contatto”
- la funzione metalinguistica si ha quando usiamo un elemento del codice per fare un discorso sul codice stesso. Un esempio di funzione metalinguistica si ha quando un compositore premette ad un brano una breve formula sonora che illustra “acusticamente” i principi compositivi del brano stesso (ne hanno fatto uso, tra gli altri, Bach, Bartok, Berio e Stockhausen).

Abbiamo così riscontrato che il linguaggio musicale può assolvere a tutte le funzioni del linguaggio verbale, anche se in misura diversa rispetto a quest’ultimo.

4. Verbale, paraverbale e non verbale

4.1 La decodifica dei messaggi sonori come analisi multipiano

Come si accennava nel par. 3.1, un messaggio verbale orale ha una forma fonica (significante) distinta dal suo portato semantico (significato); occorre inoltre ricordare che per produrre fisicamente il messaggio è necessario compiere azioni corporee (con le corde vocali, le guance, le labbra, la lingua, il velo palatino, ecc.), che influiscono sull’espressione del viso dell’emittente.

E’ evidente allora che un messaggio verbale orale presenta tre piani, ognuno dei quali veicola delle informazioni e contribuisce alla configurazione complessiva del senso/significato del messaggio stesso:

- il contenuto semantico, dato dalla scelta dei termini usati
- la forma fonica, data dalle caratteristiche acustiche che connotano l’emissione del messaggio
- la sequenza gestuale-corporea che dà origine al messaggio o lo accompagna (espressione del viso, gesti delle mani, prossemica, ecc.).

Per quanto riguarda i messaggi sonoro-musicali è necessario distinguere tra messaggi cantati e messaggi prodotti per mezzo di strumenti musicali o oggetti sonori: un messaggio cantato presenta gli stessi tre piani di un messaggio verbale “parlato”, mentre un messaggio “suonato” presenta

- una determinata forma fonica, data dalle caratteristiche acustiche che ne connotano l’emissione (tra esse ricordiamo l’organizzazione delle altezze sonore, l’organizzazione delle intensità, l’organizzazione dei timbri, l’organizzazione delle durate, ecc.)
- una specifica sequenza gestuale-corporea che dà origine al messaggio.

A sua volta, questa sequenza gestuale-corporea è data da

- posizione del corpo nello spazio: l’emittente può stare in piedi, può stare seduto, può camminare (accade ad esempio nei concerti bandistici), può stare in ginocchio o sdraiato (come avviene in certe composizioni degli anni ’60 e ’70, non a caso dette di “teatro musicale”, “musica gestuale”), ecc.
- gesti effettuati con gli arti: la maggior parte degli strumenti musicali vengono suonati utilizzando braccia e mani, ma in alcuni strumenti (tra cui il pianoforte, l’organo, la batteria, ecc.) determinati dispositivi sono azionati dai piedi dell’esecutore
- movimenti attuati da labbra, lingua, diaframma, muscoli della schiena, muscoli dalla pancia (pensiamo al modo in cui si suonano gli strumenti a fiato)

e così via.

E’ evidente che nella decodifica di un messaggio verbale, e nell’attribuzione ad esso di un senso/significato, l’importanza che viene attribuita al piano della sequenza gestuale-corporea è rilevante; forse non è altrettanto evidente che questo aspetto è rilevante anche nella comprensione di un messaggio sonoro-musicale.

Alcune tecniche di esecuzione strumentale possono però costituire dei validi esempi di significatività legata al gesto e al movimento: il glissando sull’arpa, poniamo, viene spesso associato a qualità di dolcezza, tenerezza e simili, anche perché per produrlo le mani dell’arpista eseguono sulle corde dello strumento dei movimenti simili a carezze, il martellato sul pianoforte viene generalmente qualificato come percussivo perché per produrlo le mani del pianista compiono sulla tastiera movimenti impetuosi e percussivi, e così via.

4.2 I predicati

Nei messaggi verbali il piano del contenuto semantico dà informazioni relative non soltanto al particolare messaggio, ma anche ad alcune caratteristiche della personalità dell’emittente: analizzando con attenzione i predicati, ossia i termini utilizzati nel messaggio, possiamo identificare la modalità prevalente di percezione dell’emittente, dalla quale prendono origine la sua maniera di esprimersi e di comunicare.

Riflettiamo brevemente sul come e sul perché la modalità prevalente di percezione di un individuo rappresenti un tratto fondamentale della sua personalità.

Il modo globale in cui un soggetto si sente può essere chiamato il suo stato.

Nel linguaggio comune vengono spesso aggiunte a questo termine delle possibili specificazioni (come accade ad esempio nelle locuzioni stato d’animo, stato di salute, ecc.); conoscendo le forti connessioni tra mente e corpo riteniamo sia preferibile evitare le delimitazioni e mantenere invece l’ampia portata del termine generale, che consente di far riferimento alla situazione globale del soggetto, e cioè all’insieme delle sue condizioni psicologiche, emotive, fisiche, ecc.

Lo stato di un soggetto dipende da quello che gli accade e dal modo in cui egli interpreta ciò che gli accade; è noto infatti che la medesima situazione può essere “descritta” con modalità differenti, a seconda del punto di vista dell’osservatore, dell’acutezza dei suoi sensi, dell’attenzione da lui prestata, del suo sistema di credenze e valori, delle sue esperienze passate, ecc. Lo prova il fatto che uno stesso incidente può essere descritto assai diversamente da testimoni diversi, e, ancora più semplicemente, che uno stesso bicchiere contenente una bibita può essere definito da alcuni come “mezzo pieno” e da altri come “mezzo vuoto”.

In effetti i processi di percezione, mediante i quali il soggetto prende consapevolezza della realtà esterna, sono piuttosto articolati e si compongono di diverse fasi:

1) i recettori sensoriali colgono gli stimoli sensoriali che provengono dalla realtà e li trasmettono al cervello
2) poiché le stimolazioni che colpiscono i nostri recettori sensoriali sono migliaia, è necessario operare un filtraggio delle informazioni, per discernere quelle di cui tener conto subito, quelle da immagazzinare, per così dire, “in attesa”, e quelle da ignorare; il cervello, perciò, nel captare i segnali inviati dai recettori sensoriali, attua processi di generalizzazione, distorsione e soppressione
3) gli stimoli selezionati vengono organizzati in strutture specifiche, relative rispettivamente alla modalità visiva, alla modalità uditiva, alla modalità cenestesica, alla modalità olfattiva e alla modalità gustativa
4) quest’opera di strutturazione, combinata con il sistema di atteggiamenti, credenze, valori di un soggetto, dà origine alle sue rappresentazioni interne, cioè alla sua interpretazione degli eventi che ha percepito.

Il modo di strutturare l’esperienza realizzato durante il suo svolgimento permane nella fase di immagazzinamento dei dati nella memoria, e dunque anche nella rievocazione del ricordo, e rappresenta quindi per il soggetto il modo principale di relazionarsi con la realtà e di interagire con essa.

Non è sorprendente allora che questa caratteristica così basilare della personalità di un individuo traspaia in molti suoi comportamenti, tra i quali vi sono i comportamenti verbali; prestando attenzione ai predicati, e cioè ai termini verbali usati più frequente da un individuo, possiamo individuarne agevolmente la modalità prevalente.

Le modalità sono cinque (visiva, uditiva, cenestesica, olfattiva e gustativa) ma è stato riscontrato che quasi tutti i soggetti ricorrono a rappresentazioni interne collegate con una delle prime tre modalità [Robbins, 2000]; per questo lo studioso americano A. Robbins distingue gli individui, a seconda della loro modalità prevalente, in visivi, uditivi e cenestesici.

Visivi: utilizzano per lo più metafore visive, come ad esempio “io la vedo così; immagino che…; appare evidente; sembra…; un esempio illuminante; intravedo una soluzione; non mi è chiaro se…;

focalizza la tua attenzione; vorrei chiarire; vorrei che tu dessi un’occhiata; riesco a dartene un’immagine chiara?; senz’ombra di dubbio; mi riesce oscuro; non vedo chiaro in questa situazione; è evidente; salta agli occhi; la netta differenza, ti illustro il concetto;

fammi un quadro generale; vedo nero; voglio fare una panoramica;

ha dipinto la situazione; a tinte fosche; non riesco ad immaginare;

a prima vista; mettiamo nero su bianco; non la vedo così; non ci ho visto più; è palese che…; il mio punto di vista; esistenza dorata; una vita grigia, ne ha combinate di tutti i colori;

la situazione si configura; una pallida imitazione; mettiamo a fuoco; una splendida opportunità; ecc.”

Uditivi: utilizzano per lo più metafore uditive, come ad esempio “ti ascolto; senti un po’; te lo spiego; ti suona giusto?; parola mia; non desta in me alcuna eco; il messaggio era confuso;

il messaggio mi è arrivato forte e chiaro; in armonia; in sintonia; ho drizzato le orecchie; non mi suona; è una cosa che grida vendetta; mi chiedo;

(ringrazio) sentitamente; domandiamoci; parliamone; una sviolinata; la solita canzone; c’è una nota stonata; una voce fuori dal coro; la parola chiave; mi ha messo la pulce nell’orecchio;

ha fatto orecchie da mercante; faccio appello a…; prestare orecchio; corre voce; ha voce in capitolo; siamo sulla stessa lunghezza d’onda; ecc. ”

Cenestesici:

utilizzano per lo più metafore fisiche e tattili, come ad esempio “cogliere lo spunto; afferrare il concetto; cogliere l’occasione; essere concreti; mantenere la posizione; muovere pesanti accuse;

muoversi rapidamente; attivarsi; entrare in contatto; cogliere il nesso; avere solide convinzioni; attenersi ai principi; mi segui?; creare un percorso; andare per ordine; la questione mi tocca da vicino;

mi urta; mi punge sul vivo; mi scalda il cuore; un carattere spigoloso; (raccomando) caldamente; atmosfera gelida; modi ruvidi; sentirsi rimescolare;

parole dure; parole levigate; fare il duro; avere tatto; tenere i piedi per terra; ecc.”

4.3 La forma fonica

Come si accennava al par. 4.1, la forma fonica di un messaggio verbale o musicale è data dalle caratteristiche acustiche che ne connotano l’emissione: l’organizzazione delle altezze sonore, l’organizzazione delle intensità, l’organizzazione dei timbri, l’organizzazione delle durate, ecc.

E’ evidente che il senso/significato di un messaggio musicale sia dato in gran parte dalla sua forma fonica; anche in un messaggio verbale, però, la forma fonica può veicolare parecchie informazioni relative al messaggio e anche all’emittente.

Messaggi costituiti da parole identiche, disposte nello stesso ordine, hanno significati diversi a seconda dei loro tratti soprasegmentali, che risultano da combinazioni di

- altezze sonore
- intensità
- durate di suoni e pause
- timbri.

Ad esempio la frase “Mara pensa di partire” può essere pronunciata

- con un discesa della voce nella parte finale dell’enunciato: si avrà così una frase affermativa
- con una lieve ascesa della voce nella parte finale dell’enunciato: si avrà così una frase che comunica un dubbio (che nella forma scritta può essere reso come “Mara pensa di partire…”)
- con una normale ascesa della voce nella parte finale dell’enunciato: si avrà così una frase interrogativa
- con una forte e rapida ascesa della voce nella parte finale dell’enunciato: si avrà così una frase interrogativa pronunciata con tono incredulo
- con un picco all’inizio dell’enunciato: si avrà così una frase affermativa in cui si mette in rilievo che, tra tante persone, è proprio Mara che pensa di partire
- con un picco in corrispondenza della seconda parola dell’enunciato: si avrà così una frase affermativa che comunica che Mara ha fatto progetti per la partenza, ma che questi difficilmente si realizzeranno
- con una piccola pausa dopo la prima parola dell’enunciato, e un’ascesa della voce nella parte finale dell’enunciato: si avrà così una frase interrogativa diretta, nella quale ci si rivolge direttamente a Mara, dandole del lei (“Mara, pensa di partire?”).

Il senso di un messaggio è precisato anche dal timbro di voce (morbido, stridulo, secco, ecc.), dalle durate attribuite ai vari elementi dell’enunciato e alle pause che possono frapporsi tra essi, e così via.

I tratti soprasegmentali possono fornire anche informazioni relative alla modalità prevalente utilizzata dall’emittente, come si evince dalla seguente tabella

Visivi: altezza e timbro di voce: acuta, nasale, tesa o forzata

velocità, intensità e ritmo dell’eloquio: parlano in fretta, a raffica, a voce alta, il ritmo è concitato tanto che spesso non pronunciano completamente le parole

Uditivi: altezza e timbro di voce: timbro chiaro, altezza ben modulata

velocità, intensità e ritmo dell’eloquio: velocità normale, intensità spesso variata, ritmo equilibrato, misurato

Cenestesici:

altezza e timbro di voce: voce fonda e gradevole

velocità, intensità e ritmo dell’eloquio: eloquio lento, inframmezzato da frequenti pause, intensità generalmente bassa

La forma fonica di un messaggio verbale o musicale estemporaneo può rivelare anche altri tratti della personalità dell’emittente, come ad esempio eventuali disturbi psichici e comportamentali.

Ad esempio, chi è affetto da sindrome depressiva presenta diminuita energia, indecisione, titubanza, rallentamento dell’attività psicomotoria, ecc., e manifesta queste caratteristiche anche durante la produzione dei messaggi verbali o musicali, che risulteranno connotati da intensità basse e uniformi, frequenti pause e curve melodiche di limitatissima escursione.

Chi è affetto da sindrome ansiosa presenta tensione muscolare, irrequietezza e incapacità di rilassarsi e risposte esagerate agli eventi: i suoi messaggi verbali o musicali risulteranno connotati da curve melodiche situate costantemente nelle regioni acute, ritmi concitati e frequenti picchi d’intensità sonora [Kemali et al., 1996].

4.4 Il linguaggio del corpo

Già al par. 4.1 si accennava al fatto che, per interpretare correttamente il senso/significato di un messaggio sonoro, occorre prestare la giusta attenzione anche alla sequenza gestuale-corporea che dà origine al messaggio o lo accompagna (espressione del viso, gesti delle mani, prossemica, ecc.).

In effetti il corpo ha un suo linguaggio, spesso più immediato e veritiero del linguaggio verbale, attraverso il quale si manifestano parecchie caratteristiche non soltanto fisico-organiche.

Lo stretto legame tra mente e corpo è ben conosciuto fin dall’antichità: già Aristotele qualifica il movimento come una delle funzioni dell’anima, in tempi più recenti Bergson sostiene che il movimento impresso al corpo dal cervello rappresenta in modo tangibile ciò che lo spirito pensa, e apre così la strada a Freud, che dà molta importanza ai comportamenti e alle reazioni del corpo, sottolineandone le frequenti motivazioni inconsce.

Prende così piede la convinzione che ogni emozione vissuta o repressa sia legata ad un certo comportamento del corpo: ne deriva che la gestualità, la motricità, il movimento e tutto il linguaggio del corpo non sono soltanto manifestazioni di una costituzione organica, ma anche di una struttura psicologica, di una condizione socio-culturale, di una situazione affettivo-relazionale.

Analizziamo brevemente questi punti.

4.4.1 Il linguaggio del corpo come manifestazione di una struttura psicologica

L’espressione “linguaggio del corpo”, che è ormai entrata nel linguaggio comune, indica l’insieme di atteggiamenti e comportamenti portatori di senso per l’interlocutore.

Come sappiamo, l’attribuzione di senso non è limitata agli atti compiuti volontariamente, ma, al contrario, in una comunicazione, il ricevente può registrare, individuare e interpretare tutti i comportamenti corporei attuati dall’emittente, a prescindere dalla loro intenzionalità.

Intenzionali sono i gesti e i movimenti attuati consapevolmente (come ad esempio alzarsi, sedersi, muoversi in una determinata direzione, prendere o posare un oggetto, salutare con un gesto del braccio e della mano, scrivere, dipingere, ecc.), non intenzionali sono, oltre all’impallidire e all’arrossire, svariati comportamenti corporei quali ad esempio il portamento della testa e del busto, l’ampiezza e il ritmo dei gesti delle mani, la prossemicità, cioè la distanza interpersonale considerata idonea in un’interazione.

4.4.2 Il linguaggio del corpo come manifestazione di una condizione socio-culturale

Gli ultimi esempi riportati, però, ci conducono a riflettere che i comportamenti corporei approvati in una determinata cultura possono essere molto differenti da quelli in uso in un’altra cultura. Ad esempio, in una conversazione, un inglese manterrà dall’interlocutore una distanza interpersonale molto più ampia di quella che invece sceglierebbe un arabo.

Anche la condizione socio-economica ha un’importanza non trascurabile, in quanto può manifestarsi con un maggiore o minore “controllo” sulla gestualità spontanea e, inversamente, con una maggiore o minore adesione a rituali convenzionali (protendere il busto durante la stretta di mano, cedere il passo alle signore, fare il baciamano, ecc.).

4.4.3 Il linguaggio del corpo come manifestazione di una situazione affettivo-relazionale

Abbiamo già messo in rilievo lo stretto collegamento tra comportamento motorio ed emozioni: proseguendo in questa linea d’indagine, Wallon ritiene che, anche in assenza di movimento, i muscoli conservino un “tono” residuo, che quindi costituisce il sub-strato e il sostegno di ogni movimento.

Il tono può variare in relazione alla presenza di un interlocutore, e ancor più in conseguenza dei suoi atti e delle sue parole: così la presenza e il comportamento di un interlocutore che reca gioia potranno apportare un benefico aumento del tono in un soggetto eccessivamente contemplativo e ipotonico, e viceversa procureranno una diminuzione del tono, un maggiore rilassamento, in un soggetto teso e ansioso.

Al contrario, se ci troviamo ad interagire con un interlocutore che ci causa disagio e malessere, avvertiremo in noi stessi un aumento della tensione, che sarà fisico, muscolare e neurovegetativo ancor prima che psicologico.

4.5 Linguaggio del corpo e stato

Da quanto accennato al par. 4.4 si evince che il modo di “vivere il proprio corpo” e di usarlo per gestire e attuare movimenti, coinvolge la totalità della persona e segna non soltanto il suo sapere e saper fare fisico, ma anche l’intero suo stato, il che vuol dire, in definitiva, che caratterizza la globalità del suo rapporto col mondo in cui vive ed agisce [Padula, 2000].

Parecchi elementi appartenenti alla comunicazione non verbale possono essere individuati come indicatori dello stato:

- il colorito e la mimica facciale
- la dilatazione della pupilla e la direzione dello sguardo
- la postura e il tono muscolare
- la gestualità e la motricità
- la respirazione (localizzazione, ritmo, volume, ecc.)
- gli odori e i profumi
- l’abbigliamento e gli accessori.

4.5.1 Il colorito e la mimica facciale

Mentre il colorito di base può essere ricondotto alla modalità prevalente di un individuo, un improvviso impallidire può essere provocato ad esempio dalla paura, mentre un subitaneo arrossire può essere originato da un’emozione piacevole o da un momento di imbarazzo.

Argyle afferma che, tra i due partners di una comunicazione, la mimica facciale rappresenta il secondo canale d’informazione in ordine di importanza, che viene usato contemporaneamente, e dunque in maniera complementare, all’espressione verbale; la mimica facciale può

- mostrare lo stato emotivo
- segnalare gli atteggiamenti e le aspettative relative alla comunicazione in atto
- costituire una metacomunicazione, modificando o commentando ciò che in quel momento viene comunicato verbalmente e/o col linguaggio del corpo
- fornire un feedback continuo e in tempo reale, informando ciascun partner delle reazioni dell’altro allo svolgersi della comunicazione [Stevens, 1979].

4.5.2 La dilatazione della pupilla e la direzione dello sguardo

Le pupille si dilatano nell’oscurità o in risposta all’uso di particolari farmaci (come ad esempio l’atropina), mentre si restringono in piena luce o in conseguenza dell’intossicazione acuta dovuta all’assunzione di oppioidi.

Tuttavia le pupille si dilatano anche quando il soggetto prova un particolare interesse, sia generico che sessuale: tenendo in considerazione questo elemento i venditori possono valutare l’interesse all’acquisto da parte di potenziali clienti, e in genere chi è fatto oggetto di attenzione ha l’opportunità di stimare il grado di attrazione che gli viene attribuito [Stevens, 1979].

La direzione dello sguardo riveste un’importanza fondamentale nella comunicazione: quando una persona intende iniziare un’interazione con un’altra, fa in modo di incrociarne lo sguardo; questo avviene in discoteca, quando si vuole invitare qualcuno a ballare, al ristorante, quando si intende catturare l’attenzione di un cameriere, durante un’assemblea, quando si desidera segnalare al presidente di voler prendere la parola.

Due persone impegnate in una comunicazione interpersonale, si guardano negli occhi in modo intermittente, con percentuali che vanno solitamente dal 25% al 75% del tempo totale; in genere si guarda più spesso (circa il doppio) quando si ascolta che quando si parla.

Poiché il parlante guarda di più e più a lungo quando dice la verità e quando l’ascoltatore gli è gradito, il ricevente di regola interpreta un maggior numero di sguardi in questo senso; d’altra parte è vero pure che chi parla può limitare i suoi sguardi all’ascoltatore per evitare di essere distratto dalla conduzione del suo discorso.

A sua volta se il ricevente distoglie lo sguardo l’emittente può dedurne che l’ascoltatore non è più attento, ma il motivo della cessazione del contatto oculare può risiedere nel fatto che l’ascoltatore si sente intimidito oppure che si sta preparando a parlare a sua volta, cioè che sta pianificando e organizzando il suo discorso.

In ogni caso è necessario tener presente che la quantità degli sguardi inviati può variare molto da individuo a individuo, a seconda della sua introversione o estroversione, della sua tendenza alla concretezza o all’astrazione, ecc., e che la quantità degli sguardi ricevuti può essere vissuta come eccessiva: l’essere guardati a lungo può costituire infatti un’esperienza spiacevole, che induce disagio e ansia, particolarmente per coloro che desiderano nascondere parti di sé, come ad esempio gli affetti da alcune malattie mentali.

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Excerpt out of 154 pages

Details

Title
Comunicazione sonora e musicoterapia
Author
Year
2008
Pages
154
Catalog Number
V89726
ISBN (eBook)
9783638038621
ISBN (Book)
9783640101757
File size
1105 KB
Language
Italian
Keywords
Comunicazione
Quote paper
Professor Alessandra Padula (Author), 2008, Comunicazione sonora e musicoterapia, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/89726

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