L'interpretazione come percorso di conoscenza: confronti, problemi, prospettive


Doctoral Thesis / Dissertation, 2007

59 Pages, Grade: 110/110 mit Auszeichnung


Excerpt


Premessa

Il tema dell’ interpretazione è importantissimo per tutti gli esseri viventi, perché tocca da vicino chiunque si rapporti ad un messaggio comunicativo emesso da altri: in moltissime occasioni, che appartengono alle situazioni che si verificano nella vita comune, nelle relazioni tra individui e in quelle tra individui e gruppi, e, per gli esseri umani, nella professione, ogni essere vivente ha necessità di interpretare il messaggio con cui si sta rapportando, per intenderlo nel miglior modo possibile e compiere, di conseguenza, le scelte più opportune.

Anzi, poiché il processo di comunicazione può avvenire anche tra macchine, ci si può spingere a ritenere che il tema dell’interpretazione riguardi anche gli esseri non viventi.

Se il compito dell’interpretazione è comune a innumerevoli soggetti, riflettere sull’interpretazione è addirittura imprescindibile per coloro che fanno dell’interpretazione di messaggi emessi da altri il proprio oggetto di studio e la propria professione: è opportuno che una tale riflessione indaghi sulla concreta opera di interpretazione, prendendone in considerazione la portata, la validità, il senso e i criteri a cui essa si ispira.

Poiché l’opera di interpretazione può essere svolta in diversi ambiti (filosofico, letterario, filologico, religioso, giuridico, psicoanalitico, musicale, coreutico, teatrale, cinematografico), nel presente lavoro ho ritenuto importante operare tra questi diversi ambiti un accostamento e poi un confronto, allo scopo di individuarne analogie e differenze.

Mi sono poi proposta di focalizzare l’indagine sul concetto di interpretazione musicale, e su diversi aspetti e problemi che si pongono a tutti coloro che, a diverso titolo, si rapportano ad un brano musicale: il compositore, l’interprete performativo, il critico, colui che ascolta la performance, colui che legge la critica, e così via.

Infine ho ritenuto interessante evidenziare i criteri a cui si ispirano gli esponenti di diverse scuole di pensiero che hanno eletto l’interpretazione musicale a loro campo di indagine, e mettere in luce i compiti che quotidianamente si pongono al docente di interpretazione musicale performativa.

Infatti mi è sembrato opportuno, in quanto foriero di interessanti sviluppi nel campo del pensiero e in quello dell’azione, collegare i risultati della riflessione teorica con le attività concrete della pratica musicale, poiché, come dice J.-C. Piguet, per un interprete coscienzioso, ossia cosciente della musica, la verità dell’interpretazione di una specifica opera musicale è al tempo stesso la verità dell’interpretazione di tutta la musica[1].

Parte Prima Confronti

1. Il concetto di interpretazione

Il termine interpretazione, insieme con altri che appartengono al suo stesso campo semantico, come ad esempio interprete e interpretare, affonda le sue radici nel linguaggio commerciale e giuridico dell’antica Roma.

L’etimo del termine interpres ci illumina sulla funzione di colui che realizzava l’interpretatio: i due morfemi che compongono la parola interpres sono inter-, che significa tra, fra, e –pres, ricollegabile a pretium, che significa prezzo.

Il ruolo a cui allude questo termine è dunque quello di un intermediario, ad esempio di colui che, durante una compravendita, stabilisce le prestazioni delle parti, che, per garantire l’equità del negotium, devono evidentemente essere caratterizzate da reciprocità e ugual valore.

In effetti il dizionario etimologico curato da Alois Walde cita come significati di interpres“Vermittler, Unterhändler, Mittelsperson”, ossia intermediario, mediatore, negoziatore.[2]

Col passare del tempo al termine interpretare vengono attribuiti ulteriori significati, come ad esempio “auslegen, erklären, ausdeuten, verstehen”, ossia interpretare, spiegare, esplicare, comprendere, e il metaforico “hinüberbringen”[3], ossia portare di là.

Attualmente il dizionario riporta per il lemma interpretazione i seguenti significati:

- traduzione in termini comprensibili; spiegazione, comprensione
- la resa di un personaggio o di un testo da parte di un attore o di un esecutore; recitazione (teatro e cinema); esecuzione (musica)[4].

In effetti, il termine interpretazione può essere inteso fondamentalmente in due diverse accezioni: si parla di interpretazione ermeneutica quando si esamina cognitivamente un testo, analizzandolo ed esplicitandone significato ed implicazioni.

Si parla invece di interpretazione performativa quando ci si propone di evidenziare e comunicare il messaggio di un testo attraverso la sua realizzazione concreta, per mezzo di gesti che danno origine a suoni vocali e/o strumentali, a mimica, posture e movimenti nello spazio.

E’ perciò interessante esaminare i modi in cui il termine interpretazione viene utilizzato all’interno delle diverse discipline, allo scopo di evidenziare, per ciascuna di esse, quale raggio di azione venga riservato all’opera di interpretazione e quali compiti le siano specificamente affidati.

E’ poi opportuno proseguire la ricerca, confrontando i risultati di questa indagine iniziale, per cogliere le analogie ravvisabili tra le diverse pratiche interpretative, ovviamente correlate alle discipline entro le quali esse vengono attuate.

La presenza di analogie rivela infatti l’esistenza di nuclei fondanti comuni alle diverse discipline, e questi, a loro volta, evidenziano l’opportunità di utilizzare, nella relativa ricerca, analoghi criteri epistemologici.

2. L’interpretazione ermeneutica

L’interpretazione ermeneutica si svolge principalmente nell’ambito di

- filosofia
- letteratura
- filologia
- religione
- diritto
- psicoanalisi
- arte.

Delineiamone brevemente le caratteristiche salienti.

2.1 L’interpretazione ermeneutica in ambito filosofico

Platone (428 – 347 a.C.) distingue tra oggetti che non suscitano problemi relativi alla loro comprensione, e oggetti che “colpiscono il senso con impressioni fra loro opposte”[5].

Egli chiama queste impressioni opposte interpretazioni: il termine dunque non indica ancora l’operazione intellettuale finalizzata all’eliminazione delle contraddizioni. L’interpretazione allora consiste nel cogliere, afferrare, recepire qualcosa che viene dall’esterno.

Il verbo hermenèuein (= interpretare) invece viene usato in un senso più vicino a quello moderno: Platone attribuisce ai poeti la funzione di interpreti degli dei[6], e in altre occasioni ribadisce che interpretare vuol dire spiegare gli oracoli[7].

Aristotele (384 – 322 a.C.), invece, si interroga sul rapporto dei segni linguistici con i pensieri e del rapporto tra i pensieri con gli oggetti: le parole quindi interpretano i pensieri, esprimendoli all’esterno[8]. In questo senso egli usa il termine hermenèia nel trattato intitolato per l’appunto Perì hermenèias, che fa parte dell’ Organon.[9]

Diversi padri della Chiesa, tra cui sant’Agostino (354 – 430)[10], concepiscono l’interpretazione come l’elucidazione dei significati oscuri di un testo, e numerosi studiosi del periodo medioevale, tra cui San Tommaso (1225 – 1274)[11], si pongono in linea con questa concezione dell’interpretazione, focalizzando i loro studi sul problema del significato delle Sacre Scritture.

Già san Paolo (ca. 10 – ca. 67) si era pronunciato a favore di una interpretazione figurale del Vecchio Testamento: egli ritiene infatti che gli avvenimenti dell’Antico Testamento siano prefigurazioni, o allegorie profetiche degli eventi del Nuovo Testamento[12].

Gli esegeti medioevali estendono l’interpretazione figurale anche al Nuovo Testamento, poiché ritengono che le vicende in esso narrate abbiano, accanto al senso immediatamente manifesto, il senso ulteriore di prefigurazioni della salvezza del genere umano, che si realizza per opera della Chiesa.

Altri filosofi, tra cui P. Abelardo (1079 – 1142)[13] estendono l’ambito d’azione dell’interpretazione, ammettendo una interpretazione figurale anche di testi non biblici, ad esempio delle opere dei filosofi più antichi; questa linea di pensiero verrà poi ripresa ed approfondita nel Settecento.

A partire dal tardo Medioevo, comunque, il termine interpretazione viene sempre più ad indicare l’opera di “mettere in luce” un senso nascosto; questo slittamento di significato si accentua ancor più nell’epoca umanistica.

Ad esempio Marsilio Ficino (1433 – 1499), Pico della Mirandola (1463 –1494) e Pietro Galatino (1464 – 1540)[14] interpretano le Sacre Scritture utilizzando un simbolismo di derivazione neoplatonica. In particolare Pico della Mirandola ritiene la lettura figurale delle Sacre Scritture e l’utilizzazione della qabbalah mezzi idonei a contribuire in maniera essenziale all’unificazione religiosa universale[15].

Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536) e gli studiosi della Riforma protestante, invece, considerano l’insieme delle letture figurali un indebito turbamento della chiarezza della parola di Dio, e ne propongono invece un’interpretazione spirituale e ascetica.

Nell’età moderna la pratica dell’interpretazione figurale viene man mano abbandonata: tra i cattolici, in obbedienza al dettato del Concilio di Trento, che stabilisce che soltanto alla Chiesa spetta “il giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle Sacre Scritture”[16] ; tra i protestanti, nell’intento di fondare l’interpretazione su un più accurato studio filologico e storico dei testi sacri.

B. Spinoza (1632 – 1677) si inserisce pienamente in questa scuola di pensiero: egli sostiene infatti che l’interpretazione delle Sacre Scritture deve essere letterale, salvo il caso di specifici passi che, con la sola interpretazione letterale, verrebbero privati del loro senso più autentico[17].

Nel Settecento l’ermeneutica estende il raggio d’azione dell’esegesi dai soli testi biblici ad ogni tipo di testi: tra gli studiosi che sostengono l’opportunità di tale condotta vi sono J.M. Chladenius (1710 – 1759)[18] e F. Schleiermacher (1769 – 1834).

Secondo la nuova impostazione, l’interpretazione si configura come la comprensione di tutti quei testi lontani dal lettore dal punto di vista linguistico, storico, psicologico, ecc., e il cui senso dunque non è da questi immediatamente afferrabile.

Le cause della distanza del testo dal lettore, pertanto, vengono attribuite non più alla distanza che intercorre tra la trascendente sapienza divina e il limitato intelletto umano, bensì a specifiche diversità linguistiche, storiche e culturali.

E’ particolarmente interessante il pensiero di F. Schleiermacher che delinea l’interpretazione come il “capire il discorso anzitutto altrettanto bene e poi addirittura meglio di quanto lo capisse l’autore stesso”[19].

Questo pensiero pone le basi per la successiva ricerca intorno all’interpretazione, che dibatte fondamentalmente il seguente quesito: l’interpretazione mira semplicemente a ricostruire il senso inteso dall’autore, oppure invece apporta conoscenze sempre nuove ai testi, derivanti, ad esempio, da una più approfondita conoscenza storica del contesto in cui l’autore visse e compose la sua opera?

Coloro che seguono questa linea di pensiero sostengono infatti che è più che probabile che chi si trova all’interno di un sistema non possa o non sappia distanziarsene in misura adeguata, e manchi così di cogliere alcuni elementi che invece sono peculiari e distintivi del sistema stesso.

Indubbiamente, una ricerca interpretativa così delineata si definisce fondamentalmente come sapere storico; ne consegue, reciprocamente, che tutta la conoscenza storica è interpretabile.

Fu W. Dilthey (1833 – 1911) a esplicitare il principio dell’identificazione dei due ambiti. Egli sostiene infatti che l’interpretazione è l’atto che corrisponde all’intendere intenzionalmente le manifestazioni della vita. Inoltre, dal momento che la vita spirituale trova la sua espressione più compiuta nel linguaggio verbale, le più elevate manifestazioni della vita sono le opere scritte, e dunque l’interpretazione si esplica in sommo grado proprio in rapporto a queste[20].

In ogni modo, dopo aver stabilito che l’opera scritta costituisce il prodotto storico per eccellenza, Dilthey riconosce che l’interpretazione può divenire la forma di conoscenza peculiare di tutte le scienze storiche.

Nel Novecento il concetto di interpretazione delineato da F. Schleiermacher e W. Dilthey viene mantenuto sostanzialmente invariato nei suoi elementi costitutivi: riferimento al testo e al linguaggio, storicità, svelamento di sensi oscuri.

Su questi stessi elementi si fonda la generalizzazione del concetto di interpretazione, proposta da M. Heidegger (1889 – 1976). L’uomo, “gettato” nel mondo, dispone di un linguaggio che dà forma alla realtà; il linguaggio stesso dunque fornisce le basi per una pre-comprensione del mondo. L’interpretazione è allora la successiva articolazione della comprensione che ogni uomo effettua in quanto esistente[21].

Il concetto di interpretazione come dimensione costitutiva di tutta l’esistenza è ripreso da H.G. Gadamer (1900 - 2002), che fonda la sua riflessione sul concetto di circolo ermeneutico.

Soggetto e oggetto dell’interpretazione si appartengono reciprocamente in quanto appartengono allo stesso mondo: l’oggetto è già dentro l’orizzonte del soggetto, che dunque ne ha ab initio una pre-comprensione. D’altra parte il soggetto, per parte sua, è dentro un mondo che è co-determinato dall’oggetto[22]

Da questa appartenenza reciproca discende la conseguenza che per determinati settori del conoscere l’oggettività è impossibile.

P. Ricoeur (1913 – 2005) concepisce l’interpretazione come finalizzata alla comprensione di quegli insiemi di segni che hanno sensi nascosti[23].

L. Pareyson (1918 – 1991) mette l’accento sul carattere di inesauribilità del percorso interpretativo[24].

J. Derrida (1930 – 2004) situa la sua riflessione sulla scia di Heidegger, e delinea l’interpretazione come rapporto del lettore col testo, inteso come interlocutore muto e potenzialmente esposto ad essere frainteso[25].

Nella cultura anglosassone il termine interpretation ha una valenza più contenuta, in quanto si limita a designare la comprensione di discorsi e testi letterari.

In particolare I.A. Richards (1893 – 1979) si pone il problema di quali siano i metodi e i criteri da seguire nell’interpretazione. Egli propone come principale il seguente: l’interpretazione ha il compito di attribuire ai testi il senso che attribuirebbe ad essi l’autore se potesse essere anche lettore di suoi stessi scritti[26].

E’ poi rilevante il contributo di C.S. Peirce (1839 – 1914): egli sostiene che l’ambito dell’interpretazione è quello degli “effetti veicolati dai segni”[27].

Questi effetti (da lui definiti interpretanti) possono essere emotivi (il segno dà luogo a reazioni sentimentali), energetici (il segno fa accadere avvenimenti) e logici (il segno dà origine ad un concetto nella mente di chi riceve il segno stesso).

Ma occorre tener presente che da una parte il concetto assunto nella mente non manca di influenzare il pensiero e l’azione del soggetto, e, dall’altra, che lo stesso concetto è anche un segno legato a ulteriori interpretanti. In questo modo Peirce attribuisce all’interpretazione il carattere dell’apertura, della non-conclusività[28].

2.2 L’interpretazione ermeneutica in ambito letterario

Il testo poetico-letterario può essere considerato un messaggio inviato da un emittente ad un destinatario. Per comporre questo messaggio l’emittente fa riferimento (esplicitamente o implicitamente, deliberatamente, consapevolmente o anche inconsapevolmente) al sistema letterario e ai suoi specifici istituti, e a particolari codici culturali, retorici, stilistici, ecc., aderendo ad essi, distaccandosene, o magari anche opponendosi ad essi con determinazione.

L’interpretazione è allora una complessa opera che parte dal livello basilare, denotativo, del messaggio, per giungere alla comprensione del senso, o meglio dei molteplici sensi del messaggio, dati dall’articolato insieme di denotazione e connotazione.

L’interpretazione dei segni, specialmente nel caso di un testo poetico, presuppone dunque che vengano compiutamente individuate e comprese

- le singole caratteristiche di significanti e significati
- le strutture in cui questi significati e significanti sono organizzati
- e il rapporto che lega ogni elemento agli altri.

Questo implica, ad esempio, l’individuazione e la comprensione

- dei legami intratestuali, che collegano gli elementi interni del testo stesso (senso/significato, prosodia, metrica, ritmo, ecc.)
- dei legami intertestuali, che rapportano il testo ad altri testi dello stesso autore e ai modelli letterari impliciti o espliciti a cui l’autore stesso può aver fatto riferimento
- dei legami extratestuali, che connettono l’opera al quadro storico-culturale, alle vicende biografiche del suo autore, ai suoi propositi di poetica, e così via.

2.3 L’interpretazione ermeneutica in ambito filologico

Il termine filologia deriva dal greco e significa amore per la parola, cura del discorso. Al centro dell’interesse della filologia c’è il testo, intendendo però con questo termine non soltanto i testi verbali (che comunque costituiscono il campo principale d’indagine di questa scienza), ma anche dipinti, quadri, affreschi, testi musicali e così via.

Il primo compito del filologo è accertare se un testo debba essere ritenuto autentico (cioè scritto dall’autore a cui esso viene attribuito) e, in caso affermativo, se ci sia pervenuto nella forma in cui il suo autore lo ha composto.

Per accertare se il testo che sta esaminando è stato davvero scritto da quello che si ritiene essere il suo autore, il filologo studia non soltanto la restante produzione dello stesso autore, per individuarne peculiarità e tratti caratteristici, ma anche il periodo e l’ambiente nei quali si suppone che il testo sia stato composto.

Poi egli cerca di dar risposta al quesito se il testo sia stato scritto così come oggi lo si legge, dunque se il testo rispecchia esattamente la volontà di chi lo ha composto, o se, invece, il suo messaggio sia stato più o meno ampiamente alterato dalla corruzione del supporto su cui il testo stesso è stato scritto o inciso, oppure dall’intervento, inconsapevole o addirittura intenzionale, di altre persone.

Se il filologo rileva che il testo come oggi lo si legge non corrisponde al testo licenziato dall’autore, cerca di ricostituire il testo nella sua forma originale.

Il filologo deve però tener presente che il processo creativo che porta un’opera dalla sua ideazione al suo compimento passa, in genere, attraverso diverse fasi:

- la raccolta preliminare dei materiali necessari alla composizione dell’opera immaginata dal suo autore
- il primo abbozzo
- una serie più o meno lunga di interventi e ripensamenti
- la sua stesura ‘in pulito’
- il licenziamento del testo, quando esso corrisponde ai desideri del suo autore.

Vi sono poi casi in cui l’autore interviene nuovamente anche su un testo già stampato.

Dunque, ricostituire la forma originale di un testo può non essere semplice: di un’opera infatti si può possedere un solo autografo, o neanche uno (se gli esemplari più antichi oggi reperibili sono copie di autografi oggi perduti), oppure si possono possedere diversi autografi di una stessa opera, ognuno dei quali riflette un diverso momento nella composizione dell’opera stessa.

Ma la filologia “attraverso i suoi corredi storici, linguistici, esegetici, mira (...) non solo alla ricostruzione ma anche alla interpretazione, o ermeneutica, dei testi scritti del passato. (...) Comprendere a fondo e valutare ragionatamente un’opera (...) vuol dire rendersi filologicamente e storicamente conto, proprio attraverso il tessuto e la realtà del testo stesso, del messaggio – personale e sociale insieme – che fu affidato a quest’opera, e del significato che essa ebbe per la vita spirituale e per la vita pratica del suo tempo e di quello che mantiene tuttora.”[29].

Per far ciò il filologo cerca di individuare i nessi che collegano il testo con fatti, avvenimenti, personaggi della storia letteraria e artistica, delle istituzioni, delle vicende politiche e, in generale, di tutte quelle manifestazioni della civiltà a cui appartiene il testo stesso.

Questo implica la ricerca e ricostruzione dell’ambito storico, sociale, culturale e artistico in cui visse e operò l’autore, l’indagine sulla biografia dell’autore ma anche su quella dei personaggi che possono essere messi in relazione col testo in esame, gli studi sulla circolazione e fruizione del testo, sulla storia dei suoi manoscritti, sulla storia delle biblioteche che hanno ospitato copie del testo, l’accoglienza che il testo ha avuto da parte del pubblico, e così via.

Ognuno di questi fattori, infatti, può incidere notevolmente sui vari elementi che compongono il testo, e di conseguenza può influire in maniera considerevole sulla sua interpretazione.

2.4 L’interpretazione ermeneutica in ambito religioso

La Bibbia, come ogni altro testo antico, si colloca di per sé ad una notevole distanza temporale e culturale da chi oggi la legge. Pertanto nel campo della religione cristiana l’interpretazione delle Sacre Scritture è considerata indispensabile.

L’opera di interpretazione discende dai principi dell’ ermeneutica (dal greco hermenèuo = interpreto, spiego) e dell’ esegesi (dal greco exeghéomai = traggo fuori): le due discipline sono profondamente intrecciate, e anzi per parecchi secoli i due termini sono stati considerati sinonimi.

L’esegesi è la disciplina critico-filologica che “trae fuori” il significato di un testo. Poiché “Dio ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana”[30], nell’accostarsi ai testi biblici è necessario compiere una lettura esegetica, per comprendere appieno il testo senza distorcerlo trasformandolo artatamente in un supporto per le proprie idee.

In concreto, fare esegesi vuol dire studiare il testo, l’ambiente che lo ha generato, la mentalità con la quale è stato redatto, la forma letteraria che esso utilizza per esprimere il suo messaggio. Perciò l’opera esegetica utilizza le acquisizioni di diverse scienze: la filologia, l’archeologia, la storia delle religioni, la critica testuale e letteraria, l’analisi strutturale, ecc.

Già all’interno della Bibbia troviamo tracce di quest’opera di ri-lettura e ri-comprensione dei testi più antichi: infatti il Deuteronomio contiene una rilettura del decalogo[31] e anche l’episodio dell’esodo dall’Egitto viene ri-letto e re-interpretato in diversi passi[32].

[...]


[1] J.-C. Piguet, Ernest Ansermet et les fondaments de la musique, Lausanne, Payot, 1964, p. 41

[2] Voce interpres, in Lateinisches Etymologisches Wörterbuch, a cura di A. Walde e J.B. Hofmann, Heidelberg, Universitätsverlag Winter, 1982

[3] E’ interessante notare che questo termine corrisponde esattamente al latino trans-ducere, ossia tradurre.

[4] Voce interpretazione, in Dizionario Devoto Oli della lingua italiana, a cura di G. Devoto e G.C. Oli, Firenze, Felice Le Monnier, 2006

[5] Platone, Repubblica, www.filosofico.net/pllattrepuublb.htm, 523b e segg.

[6] Platone, Ione, in Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Milano, Rusconi, 1994, pp. 1022-1037

[7] Platone, Politico, a cura di M. Migliori, Milano, Bompiani, 2001, 260 d

[8] Aristotele, Le parti degli animali, a cura di A. Carbone, Milano, BUR, 2002, 660 a 35; Aristotele, Anima, a cura di G. Movia, Milano, Bompiani, 2001, 420 b 19

[9] A. Zadro, Tempo ed enunciati nel “De interpretatione” di Aristotele, Padova, Liviana, 1979, pp. 48 e segg.

[10] Sant’Agostino, Esposizioni sui Salmi, trad. it. di T. Mariucci e V. Tarulli, Roma, Città Nuova, 1993, n. 1; 47, n. 1; 78, n. 26

[11] San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, Cinisello B. (Mi), San Paolo, 1999, II-III ae, q. 120, art. 1, ad 3; e q. 176, art. 2, ad 4

[12] San Paolo, 1 Lettera ai Corinti 10, 1-11

[13] Pietro Abelardo, Introductio ad theologiam, in J.-P. Migne, Patrologia Latina, Lutetiae Parisiorum, 1844-64, CLXXVIII, 1056

[14] Cfr. Petrus Galatinus, De Sacra Scriptura recte interpretanda, in Catholic Encyclopedia, a cura di C.G. Herbermann, New York, Robert Appleton Company, 1913

[15] G. Pico della Mirandola, Conclusioni ermetiche, magiche e orfiche, introduzione e traduzione di P.E. Fornaciari, Milano, Mimesis, 2003

[16] Cfr. De editione et usu sanctorum librorum, concilio di Trento, 8 aprile 1546

[17] B. Spinoza, Tractatus theologico-politicus, in Opera, a cura di C. Gebhardt, Heidelberg, Winter, 1925, cap. VII

[18] Cfr. J.M. Chladenius, Guida alla retta interpretazione di scritti ragionevoli, 1742

[19] F. Schleiermacher, Ermeneutica, a cura di M. Marassi, Milano, Bompiani, 2000, pag. 87

[20] W. Dilthey,Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften,a cura di B. Groethuysen, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1927, parte I, 2, par. 6

[21] M. Heidegger, Essere e tempo, Torino, UTET, 1969, par. 32

[22] Cfr. H.-G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Tübingen, Mohr Siebeck, 1990

[23] P. Ricoeur, Della interpretazione. Saggio su Freud, Milano, Il Saggiatore, 2002, libro I, 1

[24] L. Pareyson, Esistenza e persona, Genova, Il Melangolo, 1985, sez. II, cap. 6

[25] Cfr. J. Derrida, Della grammatologia, a cura di G. Dalmasso e S. Facioni, Milano, Jaca Book, 1998

[26] I.A. Richards, La filosofia della retorica, Milano, Feltrinelli, 1967, cap. I

[27] C.S. Peirce, Collected Papers, a cura di C. Hartshorne e P. Weiss, Cambridge, Bellknap Press of Harvard University Press, 1958-1966, 5475

[28] Voce Interpretazione, in Enciclopedia di Filosofia, a cura di G. Vattimo, Garzanti, Milano, 1999

[29] V. Branca e J. Starobinski, La filologia e la critica letteraria, Milano, Rizzoli, 1977, p. 28

[30] Dei Verbum, www. Vatican.va/archive/hist_councils

[31] cfr. Es 20, 1 – 17 e Dt 5, 1 – 22

[32] cfr. Es 14 – 15; Is 40, 1-11; Sal 78; 105

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Details

Title
L'interpretazione come percorso di conoscenza: confronti, problemi, prospettive
Grade
110/110 mit Auszeichnung
Author
Year
2007
Pages
59
Catalog Number
V86528
ISBN (eBook)
9783638003803
ISBN (Book)
9783638913294
File size
729 KB
Language
Italian
Keywords
Auszeichnung
Quote paper
Professor Alessandra Padula (Author), 2007, L'interpretazione come percorso di conoscenza: confronti, problemi, prospettive, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/86528

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