Alessandro Manzoni e la questione della lingua nell'Ottocento


Term Paper (Advanced seminar), 2003

22 Pages, Grade: 2


Excerpt


Indice

1 Introduzione

2 La questione della lingua

3 La crisi del linguaggio e la concezione romantica

4 Le tre stesure de I Promessi Sposi

5 Manzoni e Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla

6 I sostenitori del Manzoni

7 Gli oppositori del Manzoni

8 Conclusione

Indice bibliografico

1 Introduzione

In questo lavoro saranno presentate le teorie linguistiche e la proposta fiorentina di Alessandro Manzoni nei confronti della questione della lingua italiana.

Si partirà da una introduzione generale sulla questione e sul suo sviluppo nel corso della storia fino ad arrivare all'Ottocento, in cui il Manzoni ravviverà il dibattito grazie alla sua sperimentazione linguistica con il romanzo I Promessi Sposi e soprattutto alla sua relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (in: Marazzini 1977: 34-60), pubblicata nel 1868.

Tenendo conto delle nuove condizioni storico-politiche dell'Italia, saranno riportati i principali interventi favorevoli e contrari alla proposta fiorentina del Manzoni. Un'attenzione maggiore sarà riservata agli oppositori del Manzoni, come il Settembrini e l'Ascoli, le cui critiche e teorie saranno riportate e discusse nel corso del lavoro.

Infine, si cercherà di mettere in evidenza gli aspetti positivi e negativi della proposta manzoniana e dei mezzi proposti per attuare l'unità linguistica, e si vedrà in che modo e con quali mezzi l'italiano odierno si è sviluppato ed imposto in Italia.

2 La questione della lingua

La questione della lingua rappresenta uno dei problemi maggiormente discussi nel corso della storia linguistica e letteraria italiana.

Partendo dall'affermazione del volgare toscano, quale ideale linguistico e soprattutto letterario, si passa attraverso i vari tentativi di definire i parametri ideali per scegliere e diffondere un modello di lingua unitaria e nazionale in Italia.

L'affermazione del toscano è dovuta soprattutto all'egemonia letteraria, ottenuta grazie alla diffusione delle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio nella penisola italiana. Il primato linguistico del volgare toscano ha permesso di creare una certa omogeneità tra gli scrittori delle diverse regioni italiane. Quest'omogeneità va in ogni modo considerato in ambito puramente letterario e della scrittura in generale e non sul piano orale. Il toscano letterario non rappresenta il mezzo di comunicazione universale ed unitario (tale ruolo è svolto dal latino), ma esso diventa il modello linguistico e di scrittura cui orientarsi per la lingua italiana scritta. Il volgare toscano, anche dopo la sua affermazione, ha sempre dovuto fare i conti con la presenza del latino, lingua ritenuta perfetta ed irraggiungibile.

Nel Quattrocento e Cinquecento, con l'ideale dell'Umanesimo, si assiste, infatti, al ritorno al valore del latino che offusca il progresso che il toscano aveva intanto compiuto. La rivalutazione del toscano passa attraverso il già citato riconoscimento letterario della lingua e la sua prima codificazione ufficiale nella grammatica di Leon Battista Alberti, Regule lingue fiorentine, fino ad arrivare alla famigerata questione della lingua nel Cinquecento.

Il trionfo del volgare toscano costituisce, infatti, il terreno fecondo sul quale si sviluppano soprattutto le tre posizioni fondamentali della questione nella ricerca di un ideale linguistico e letterario da perseguire. Si distingue soprattutto la teoria del Bembo di aderire completamente al canone degli scrittori trecenteschi. A questa teoria si oppone decisivamente il Machiavelli, il quale propone di ricercare l'ideale nella lingua contemporanea parlata a Firenze, in quanto riconosce che la lingua del Cinquecento è profondamente mutata rispetto a quella del Trecento.

La teoria del Bembo s'ispira ad un modello di lingua ritenuto arcaico e libresco, che non ha più riscontro nella gente del suo tempo. La scelta bembesca della lingua letteraria del Trecento si sposa tra l'altro perfettamente con l'ideale dell'emulazione, che dal latino viene trasferito al volgare nello spirito dell'umanesimo volgare.

A queste due posizioni contrapposte si aggiunge quella del Trissino, il quale difende il cosiddetto volgare illustre, una lingua ottenuta grazie all'unione dei migliori elementi dei volgari italiani parlati nelle diverse regioni italiane, senza il predominio di una o di un'altra città. L'ideale è una sorta di koinè cortigiana, in cui la lingua viene nobilitata dall'uso dei dotti.

A predominare sarà infine il modello bembiano, consolidatosi nel Seicento attraverso la compilazione del primo vocabolario della lingua italiana, il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), secondo i criteri dettati dal Bembo. Ciò comporta un irrigidimento della norma toscana e nello stesso tempo una chiusura nei confronti delle innovazioni della lingua italiana. Basti pensare che il modernismo di Tasso per molto tempo non abbia trovato spazio nel Vocabolario della Cru sca. Sarà proprio l'Accademia della Crusca il bersaglio, soprattutto nel Settecento, di diversi illuministi antiaccademici, aperti alla cultura europea e al rinnovamento della lingua italiana, ormai arroccatasi nel classicismo accademico.

In questo periodo di crisi della lingua italiana si svolge l'opera rinnovatrice di Alessandro Manzoni e degli altri esponenti del Romanticismo italiano.

3 La crisi del linguaggio e la concezione romantica

La crisi del linguaggio nella prima metà dell'Ottocento va soprattutto identificandosi con quello dello scrivere in prosa. Questa crisi non si riscontra per la poesia, che mostra una stabilità inattaccabile, grazie alla gloriosa tradizione sempre presente in Italia.

Quasi tutti gli studiosi e i letterati dell'Ottocento lamentano per il linguaggio della prosa una sostanziale insufficienza nei mezzi espressivi e funzionali, cosicché essi devono spesso ricorrere all'espediente del latino o del francese. Quest'ultimo rappresenta la lingua dominante in Europa che, anche dopo il Settecento, continua ad esercitare un'influenza considerevole sull'italiano dell'Ottocento.

Il Manzoni, quindi, si pone il problema del linguaggio della prosa italiana e in maniera decisiva quando nel 1821 si accinge alla stesura della prima bozza del suo romanzo I Promessi Sposi.

La scelta di trattare di vicende comuni e quotidiane con protagonista il semplice popolo impone la ricerca di un linguaggio affine, che, però, sia degno di essere scritto. Il Manzoni s'impegna, quindi, nella ricerca di un mezzo espressivo adeguato alla materia e ai temi del suo romanzo.

Con questi propositi il Manzoni si collega all'azione riformatrice dei romantici italiani. Il Romanticismo, infatti, difendeva l'esigenza di un'arte e quindi di una letteratura soprattutto popolare, naturale, viva e vera che sapesse ritrarre un mondo semplice e parlare naturalmente agli umori e rispondere immediatamente alle esigenze della gente comune. Questo movimento perseguiva quindi fini didascalici, morali e liberatori con l'intento anche di riscattare il popolo, per avviarlo a riconoscere la propria libertà essenziale.

Questa nuova concezione dell'arte, che rompeva con il passato, caratterizzato da un'arte essenzialmente colta ed artificiosa, attraverso l'introduzione nella letteratura e soprattutto nella prosa di temi comuni e semplici, necessitava di un linguaggio nuovo e fresco, così semplice e comune come lo era il mondo rappresentato. Al Manzoni, quindi, si pone prima di tutto il problema artistico e stilistico nei confronti della lingua italiana.

4 Le tre stesure de I Promessi Sposi

La prima stesura del suo romanzo è considerata come una sperimentazione linguistica. E' la cosiddetta fase eclettica che vede il romanzo scritto con un linguaggio composto di base toscana, attinto dai vari scrittori nel corso dei secoli, con apporti del milanese, del latino e del francese. Terminato il romanzo nel 1823, Manzoni è consapevole di essere giunto ad un traguardo provvisorio e soprattutto imperfetto, considerandolo "un composto indigesto di frasi un po' lombarde, un po' toscane, un po' francesi, un po' anche latini" (in: Vitali 1960: 443).

Ben presto il Manzoni si orienta più decisivamente verso una scelta toscana. Dal 1824 inizia, infatti, un lavoro di revisione della prima stesura. E' la cosiddetta fase toscano-milanese, non nel senso di un impasto delle due lingue, ma di una sostituzione delle parole e locuzioni milanesi con le equivalenti toscane presenti nella prima stesura. Gli strumenti di cui si serve il Manzoni sono ancora gli scrittori d'ogni secolo, il Vocabolario della Crusca e il dizionario milanese-toscano.

Questa scelta, grazie soprattutto all'uso dei libri, appare ancora libresca e poco viva, cosicché dopo la pubblicazione nel giugno del 1827 della prima edizione de I Promessi Sposi Manzoni compie finalmente il suo viaggio in Toscana e soprattutto a Firenze. Questo viaggio segna la svolta e il punto d'arrivo nella ricerca del linguaggio ideale per il suo romanzo. A stretto contatto con la gente del posto, da questo momento inizia il definitivo lavoro di revisione de I Promessi Sposi orientato verso l'uso vivo del fiorentino parlato. Da un linguaggio eclettico si è passati, quindi, attraverso una prima revisione per giungere infine ad un rigoroso monolinguismo fiorentino.

Si consolida, quindi, la convinzione nel Manzoni che la lingua letteraria per il suo romanzo e poi per l'intera prosa italiana debba essere attinto dall'uso del fiorentino, in particolare modo dal fiorentino parlato dai colti. Prevale in questa teoria il principio dell'uso vivo e reale di una lingua realmente esistente. Su questo punto si soffermerà il Manzoni nelle future dispute sulla lingua. Scrivendo nel 1847 al Carena, egli affermerà l'importanza di una lingua viva e parlata da una determinata società in un'area geografica ben definita.

Con l'ausilio dei suoi amici toscani Cioni, Nicolini e della fiorentina Emilia Luti, il Manzoni s'appresta ad eliminare gran parte delle espressioni adottate dalla tradizione letteraria senza che essi hanno trovato riscontro nell'uso del fiorentino. Egli sostituisce, quindi, parole e locuzioni letterarie con un linguaggio più popolare, come ad es. entrambi con tutt'e due, oppure confabulare con chiacchierare, modifica le varianti fonetiche: dimandare con domandare, imagine con immagine, lione con leone (Migliorini 2001: 551).

Talvolta, però, le esigenze artistiche possono anche prendere il sopravvento e così, pur sostituendo natio, che trova un po' letterario, con nativo, ecco che nel cap. VIII de I Promessi Sposi Renzo, salutando il suo paese, da cui è costretto ad allontanarsi, dice: "Addio, casa natia, dove sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato" (Manzoni 1995: 163).

La scelta manzoniana vede, quindi, il rifiuto della tradizione letteraria: il modello per il nuovo linguaggio non è più da ricercare negli antichi scrittori, nell'Accademia della Crusca, ma esclusivamente nell'uso del fiorentino parlato. Per la prima volta (similmente alla proposta di Machiavelli) viene teorizzata la possibilità di apprendere una lingua, degna di essere scritta, dalla parlata viva e non dalle pagine dei libri. Il canone classico ed arcaizzante viene così sostituito con quello popolare d'indirizzo romantico.

Manzoni afferma, quindi, che "la lingua italiana è a Firenze, come la lingua latina era a Roma, come la francese è a Parigi" (in: Vitali 1960: 445). Si vedrà poi come nelle reazioni alla relazione del 1868 del Manzoni questa sua teoria verrà criticata dai suoi oppositori.

Manzoni difende il carattere sociale e contemporaneo della lingua: "Ciò che costituisce una lingua non è l'appartenere a un'estensione maggiore o minore di paese, ma l'essere una quantità di vocaboli adeguata agli usi di una società effettivamente vera [...] giacché com'è possibile una lingua senza una società che la parli?" (in: Vitali 1960: 446).

La lingua ideale è per il Manzoni quella fiorentina, usata dai colti nella città di Firenze.

5 Manzoni e Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla

Le vicende artistiche e soprattutto stilistiche di uno scrittore come Manzoni si orientano ben presto verso un campo più ampio, quale quello della società e della politica italiana.

Al Manzoni spetta, infatti, il grande merito di aver trasformato una disputa, che fino a quel momento era solamente limitata nella sfera letteraria, in un problema civile che coinvolge un'intera nazione. Egli trasforma la questione della lingua da un problema strettamente letterario in una questione sociale.

In seguito a diversi interventi nel dibattito della lingua, ecco che solo verso la fine del processo d'unificazione nazionale, il Manzoni rende ufficialmente note le sue posizioni sulla lingua italiana, con il fine di proporre e difendere pubblicamente la soluzione fiorentina e con quest'ultima attuare l'unificazione linguistica in Italia. Lo spunto è dato dalla sua relazione Dell'unità della lingua e dei modi di diffonderla, scritta al Ministro Emilio Broglio nel 1868.

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Details

Title
Alessandro Manzoni e la questione della lingua nell'Ottocento
College
University of Florence
Course
Storia della lingua italiana
Grade
2
Author
Year
2003
Pages
22
Catalog Number
V64804
ISBN (eBook)
9783638575256
ISBN (Book)
9783656523949
File size
451 KB
Language
Italian
Keywords
Alessandro, Manzoni, Ottocento, Storia
Quote paper
MA Antonio Sisto (Author), 2003, Alessandro Manzoni e la questione della lingua nell'Ottocento, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/64804

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