Casa russa. Le radici domestiche dello spirito russo


Research Paper (postgraduate), 2014

178 Pages


Excerpt


Indice

Considerazioni preliminari

1. Abitare, ripararsi, difendersi, convivere

2. La colonizzazione della grande pianura nordorientale europea

3. A casa nel Grande Nord

4. Nelle steppe ucraine

5. Abitare nel Caucaso e nei dintorni

6. Esistette una casa slava tipica?

7. Il trionfo dell' izbà..

8. La casa-fabbrica nelle attività industriali slavo-russe del Medioevo

9. Comodità e case di servizio

10. La sacralità della casa come tradizione contadina

11. Casa nuova, vita nuova?

12. L'economia domestica

Appendice

Bibliografia

Considerazioni preliminari

Si dice in russo: Мой дом – моя крепость! cioè La casa mia è la mia fortezza! e infatti la casa, soprattutto per i contadini poco inurbati della Pianura Russa, è più di una costruzione. E' il luogo dove si passa la parte migliore della vita e di cui si conserva la nostalgia fino alla morte! E' un discorso complicato se lo trasponiamo nei secoli passati, ma di certo nuovo per il lettorato italiano che non conosce lo “spirito russo” di oggi e di ieri

Il primo punto da chiarire onde evitare irrigidite speculazioni è l'aggettivo “russo”. Da parte mia l'uso che ne faccio non si riferisce a un popolo definito, ma a una cultura sincretistica che si cominciò a formare sotto l'egida della chiesa cristiana di Kiev a partire dalla fine del X sec. d.C. e che fino al XIV-XV sec. d.C., alla chiusura del periodo che a me interessa, era ancora difficilmente riconoscibile. Insomma nessuna inutile opposizione etnica o nazionalista...

Chiarito ciò, da qualche anno covavo il desiderio di condurre un'indagine più profonda sulla realtà abitativa dei tempi passati nel mondo slavo in generale poiché, a mio avviso, ciò avrebbe potuto spiegarmi certi aspetti della storia slavo-russa che mi rimanevano poco chiari e allora ho deciso di lanciarmi alla ricerca dei lavori specialistici che ne parlassero. Ne ho trovati un'infinità, o quasi. Alcuni seppure fuori commercio in qualche modo li ho recuperati. Ad altri reperibili nelle librerie o consultabili nelle biblioteche ex sovietiche tramite internet e con l'aiuto di amici ucraini e russi sono riuscito a accedere e così ho raccolto quanto mi serviva. Lo studio mi ha portato via molto tempo logicamente e quando ho pensato di mettere insieme le notizie raccolte come io le avevo in testa, ho capito che avrei dovuto produrre un testo di almeno 500 e più pagine. Impresa insensata per il pubblico popolare al quale di solito mi rivolgo e alla fine ho optato per questa piccola storia formata di quadretti sintetici di alcune aree etniche della Pianura Russa dove si trovano delle tipicità interessanti. I popoli che convivono nella Federazione Russa, parte europea, infatti sono numerosi e non tutti ben studiati nella loro storia e nella loro cultura e in poche pagine non si riuscirebbe mai a metterli a confronto tutti e bene, per cui ho ridotto anche la scelta del materiale da immettere nel presente saggio.

Ho evitato molti tecnicismi usati nell'archeologia e nella storiografia ufficiale moderna o nell'architettura perché ribadisco l'impronta popolare del presente lavoro e mi è sembrato inutile usare termini difficili da ritenere nella memoria, se poi non si possiede almeno un'infarinatura specifica nell'antropologia culturale. Ad esempio ho nominato poco le ere geologiche col loro nome o certe diciture specialistiche della paleontologia e soltanto se servivano dei punti di riferimento per ulteriori approfondimenti. Molti lavori in questi campi di ricerca ancora in discussione per i nuovi metodi chimico-fisici man mano applicati si troveranno menzionati in bibliografia per chi vuol approfondire. Non affronto qui una storia della casa in generale, ma la storia di come le varie popolazioni della Pianura Russa condussero la vita al coperto nel periodo che va da circa il VIII sec. d.C. al XIII-XIV sec. d.C. e come sulle scelte del materiale da costruzione e della tecnologia agirono e le risorse locali e le ideologie religiose oltre all'emulazione fra le diverse etnie a contatto. La tesi che ho abbracciato è che da una civiltà sedentaria del Danubio furono gli Slavi ad ereditarne i tratti più salienti specialmente nelle abitudini e nelle tecniche in campo domestico e edilizio.

Aggiungo che nel XIX sec. nell'Impero Russo, ormai assurto alla dignità di un impero importante altrettanto quanto gli altri imperi europei a livello mondiale, fu impostato un piano di studio sulle case che non solo dimostrasse che costruire chiese e case fosse il simbolo di come si può vivere bene a certe latitudini e in certi regimi paternalistici, ma anche suggerire, migliorare e diffondere tecniche di costruzione per le terre siberiane che si andavano man mano russificando, usufruendo al massimo delle risorse che foresta, tundra e taigà fornivano. Si può persino dire che il modo di costruire case di legno arrivò di qui fin nelle Americhe mediato dai numerosi mastri d'ascia russi e polacchi emigrati negli USA e in Canada e che ancor oggi prevale nelle case eleganti e nei film americani.

A parte ciò, se l'URSS, erede storico dell'Impero Russo, ha fallito in certi campi, certamente non nel caso della casa giacché ogni cittadino sovietico, e oggi ogni russo, non solo nelle città, ma anche nei villaggi e nella campagna, per quanto piccola e scomoda una casa ce l'ha e si vanno agevolando in vario modo gli sforzi economici dello stato di chiunque voglia costruirsi una casa in proprietà inalienabile. Quando si instaurò la repubblica sovietica, questa fu una dei primi atti politici: garantire case statali a bassissimo costo per tutti. E ciò non soltanto significava aver digerito la multietnicità dei territori russi, ma anche il modo di abitare e di costruirsi una casa secondo le tradizioni rispettive delle diverse genti, una volta individuate, riconosciute e rispettate.

A questo punto la storia dell'abitazione russa si collega con l'Italia dal punto di vista storico e politico già quando pensiamo che i concetti di ricchezza, di proprietà privata, di domicilio inviolabile etc. hanno attraversato i secoli passati e abbiano subito una revisione subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. La nuova società sovietica vincitrice del conflitto in cui l'Italia era il nemico ha portato infatti alla ribalta degli aspetti del vivere insieme che ancora non conoscevamo e che sono entrati nella nostra costituzione repubblicana... inglobando un po' della storia antico-russa! Siccome poi il Medioevo Russo, termine che ha valore esclusivamente euristico, è ancora da incorporare bene nella storia medioevale più generale dell'Europa, ecco in quale sfondo si può collocare il mio contributo.

Da noi in Italia vige una legislazione antiquata e contraddittoria riguardo le abitazioni e, pur non essendo personalmente ferrato in giurisprudenza, penso che qualche considerazione sia da farsi in questi anni in cui ci si avvia a diventare membri di una grande confederazione di stati alloglotti e pochissimo allogeni. Da noi ad esempio è ancora reato non abitare in una casa con via e numero civico. Si è considerati delinquenti senza fissa dimora. Né lo stato garantisce un tetto ai suoi cittadini direttamente, anzi! La costruzione statale di case per tutti è una pratica in gran parte diventata superflua e economicamente poco attraente sia nella grandi che nelle piccole città. Di conseguenza il cittadino deve la casa deve procurarsela da sé comprandosela. Sull'acquisto delle case è basato per di più il sistema bancario nazionale che costringe ogni persona a risparmiare quanto più può per poi contrarre un debito lungo decine di anni e privandosi in tal modo di ogni possibilità di spendere il proprio denaro in modo diverso e più voluttuario. Le grandi ricchezze nazionali si sono letteralmente consolidate sulla costruzione e vendita di case, mentre la gente che produce e lavora, seppure indirettamente, li mantiene e li rende sempre più potenti. La casa dove di solito si abita o prima casa è soggetta inoltre a tassazioni e gabelle contraddittorie e non è ammesso neppure che essa sia di legno oppure che si possa scegliere di abitare in roulotte o in caravan perché la legge richiede che si abbia una “residenza” stabile tipo una costruzione di cemento immobile e inamovibile in qualche parte del territorio nazionale.

Spero perciò che la lettura del mio lavoro aiutino ad allargare anche queste ultime riflessioni...

Il problema maggiore è stata la trascrizione di termini di altre lingue che non usano il nostro sistema di scrittura e mi sono affidato alla trascrizione internazionale, benché in modo approssimato, affinché chi poi proseguisse questo studio dovrà comunque imparare a leggere russo, turco e altri idiomi visto che sull'argomento in italiano c'è quasi nulla ed ecco qui di seguito le mie indicazioni per la lettura delle parole straniere.

Per quanto riguarda le parole russe, non ne ho immesse molte, ma avverto che ho evitato il cirillico che avrebbe causato confusione e le ho riportate tutte in alfabeto latino, talvolta con aggiustamenti che dovrebbero rendere la lettura più facile a mio avviso e quindi non è una trascrizione scientifica.

Prego pertanto di prendere nota delle chiavi che qui di seguito do e che si possono applicare anche per leggere le parole russe e quelle turche.

C suona come la z di pe zz o

Č suona invece come la c di c ena

G è sempre duro come in g amba mentre per g di g ioia qualche volta ho usato il segno ĝ

H è da pronunciare come il tedesco ch e più raramente come nell'inglese h at

J è l'italiano di i ena e mai l'inglese di j ob

S è sempre quella di pa ss o e mai quella di ro s a

Š è sc di sc ena e, quando la si trova insieme a č, è da pronunciare con il lombardo ma sc-c ett (maschietto)

Z è la s di ro s a

Ž è j del francese j our

Per il resto si leggano le trascrizioni come se fossero (naturalmente approssimativamente!) parole italiane.

Vignate, estate 2014

Per i miei nipoti: le grandi Bruna e Fulvia e il piccolo Tommaso

1. Abitare, ripararsi, difendersi, convivere

La prima domanda che ci siamo posti è: Che cosa intendiamo con la parola casa ?

Da un dizionario d'italiano su Internet abbiamo ottenuto un'arida e laconica definizione del tipo: Luogo in cui si abita, mentre sappiamo bene che una casa è, certo, un posto dove ci si ripara dalle intemperie o per riposare, ma è pure il luogo d'incontro dove tessiamo e ricuciamo le relazioni intime con le persone a noi care. Anzi! E' un piccolo esclusivo universo fatto possibilmente a misura personale (il nostro microcosmo) in cui coltiviamo le nostre radici culturali con la convivialità, la lettura, le celebrazioni periodiche di famiglia (della vita e della morte), dove lavoriamo al nostro computer o con i nostri arnesi etc. perché qui ci sentiamo liberi di espletare tantissime attività e qui esprimiamo in tutta comodità ogni nostro potenziale fisico e intellettuale.

In italiano, come in altre lingue del mondo, la semantica della parola casa è amplissima e addirittura si ricorre a termini diversi per molti aspetti della casa: uno riferito alla costruzione, un altro al luogo d'incontro e dei sentimenti e altri ancora per sottolineare che casa in sé non significa nulla se non indica il luogo frequentato da persone fra loro legate in un progetto di vita comune e che fanno parte di gruppi istituzionalizzati come famiglie, confraternite e simili.

E non è tutto. Un'altra constatazione è che, se ci accingiamo a costruire una casa, modificheremo lo spazio fisico intorno a noi per procurarci il materiale. In più: Invaderemo con la nostra presenza il territorio di altri esseri viventi e muteremo un paesaggio antico e l'ordine che vi regnava. Alla fine però la nostra casa avrà l'assetto giusto di ambiente piacevole in cui vogliamo vivere almeno per buona parte della nostra vita ed avremo inconsapevolmente aggiunto un tocco personale all'universo.

E qui si complica l'oggetto dell'indagine. Se la casa è un universo artificiale, creato dall'uomo, che il bambino/figlio conosce come il primo ambiente della sua vita dopo esser venuto al mondo, da uomo che cresce in casa imparerà che la natura è qualcosa che sta all'esterno, una realtà piena di impedimenti e in certo modo ostile e avrà quasi paura a sentirsi piena parte di essa. Non solo! Se aggirandosi fuori casa c'è qualche minaccia, fuggirà per salvarsi serrandosi ... dietro la porta di casa! S'insinua in altre parole l'idea che il domicilio debba essere una specie di inespugnabile fortezza contro il nemico che sta ovunque, ma sempre fuori di casa. Ci siamo chiesti: E' un modo di vedere sorpassato seppur collocabile nella storia russa passata o è un principio recente e moderno legato alla proprietà privata e al fatto di vivere in grandi conglomerati urbani dove piuttosto raramente si fa amicizia col vicino?

Dobbiamo confessare che ci ha confortato il fatto che, grazie a Internet esiste una quantità grandissima di dati e di informazioni da poter usare (cum grano salis!) sulle culture umane e così, con l'aiuto (per noi basilare) di testi specialistici scelti e della rete, iniziamo in modo accessibile a un lettorato meno agguerrito il cammino lentissimo che ha portato l'uomo a inventarsi la casa. D'altronde non c'interessa scrivere una storia universale della casa, ma vogliamo dedicarci alle realtà della Pianura Russa percorrendo più specificatamente l'evoluzione dell'abitazione nelle sue numerose sfaccettature storiche e culturali di questa regione d'Europa. Anzi! Apriamo subito l'argomento dicendo che, almeno in russo, già il concetto di insieme di case o villaggio suggerisce una conseguente tranquillità sotto la protezione del gruppo che vi abita tanto che la semplice parola mir vuol dire, pensate!, sia pace sia villaggio sia mondo...

Il percorso che seguiremo è tuttavia molto accidentato e, convinti come siamo che conoscere il passato significa saper godere del presente e prepararci il futuro, seguiremo l' idea di casa nel suo mutare attraverso i secoli per confrontarla come è sentita ancora oggi nella campagna russa al di là degli attuali moderni e impersonali appartamenti (kvartìry) modulari dei casermoni (domà) delle megalopoli ex-sovietiche.

Occorre subito dire che nella Pianura Russa siamo in presenza di diversissime culture che ne colorano il paesaggio antropico in maniera armonica e variegata e dove i regimi avvicendatisi non sono riusciti ad appiattirne la multietnicità. Basta visitare il nordest russo per constatare come esistano villaggi e piccole cittadine in cui la gente ha imparato a resistere all'assalto culturale slavo-russo rifugiandosi nelle proprie case d'abitazione e nella propria lingua per difendere e conservare costumi antichi non cristiani e non slavi.

Che storia c'è dietro una tale situazione?

In breve diciamo che noi parleremo di vicende del cosiddetto Medioevo Russo più o meno dal suo inizio intorno al IX-X sec. d.C. fin verso la seconda metà del XVI sec. d.C. quando si entra nell'Era Moderna. Non solo! Alla fine del X sec. d.C. importata da Costantinopoli fu fondata la Chiesa Russa come organizzazione politico-amministrativa dominata dall'ideologia cristiana e data in servizio del potere militare di Kiev. I suoi monaci stendono per i posteri, secondo il modello bizantino e in modo fantasioso e romanzato, le uniche fonti primarie di informazione sul passato della Pianura Russa, le cosiddette Cronache del Tempo Passato. Allo stesso tempo gli stessi monaci iniziano l'indottrinamento degli abitanti di Kiev e dei dintorni dove si stabilisce la loro prima sede. Già dal primo approccio con l'uomo, la donna, la vergine, il contadino, il bimbo etc. costoro proclamano che non si è esseri umani completi finché non si accetta la sudditanza “spirituale” al credo cristiano. Il dio cristiano è il più potente fra gli dèi e le genti della Pianura Russa senza saperlo lo venerano fra gli altri dèi e perciò per salvarsi dalla sua ira per esser stato trascurato occorre ritornare sotto la sua egida facendosi battezzare. Lo stesso dio decide la storia di ogni uomo sebbene nessuno sappia di sicuro con quali scopi e lungo quali linee. La Chiesa Cristiana universale e l'Imperatore Romano sono i rappresentanti in terra del dio cristiano e a loro è stata affidata la realizzazione di un ignoto grandioso progetto divino per la salvezza dell'umanità. San Vladimiro, il capo slavo-variago del primo abbozzo di stato russo o Rus' di Kiev, è diventato partecipe di questi disegni misteriosi del dio cristiano e per il bene dei suoi sudditi credenti creerà una nuova realtà politica e culturale più moderna e più avanzata in queste terre cioè la “Santa Russia”. In pratica si trattava di radunare le genti e standardizzarle in una sola grande comunità slavo-cristiano-russa che 1. usasse un'unica lingua parlata (antico-russa o paleo-bulgaro) e che 2. avesse gli stessi costumi. Si pianificò in concreto l'eliminazione di ogni differenza etnica in una prassi politica bizantina arcinota che oggi si chiamerebbe senz'altro “colonialista”. Né tale politica mutò sotto l'Impero Moscovita che succedette alla Rus' di Kiev. Ai governanti di Mosca la Chiesa Russa per di più attribuì il ruolo di eredi legittimi del Sacro Romano Impero Cristiano dopo che Costantinopoli cadde in mano islamiche nel 1453. Mosca sarebbe stata la terza e ultima Roma e ogni sua azione di penetrazione e di conquista non solo dell'Europa Orientale, ma pure dell'Asia del nord, fino e oltre il Pacifico avveniva perciò... per il trionfo universale di Cristo!

All'Impero Russo segue l'Unione Sovietica anch'essa illusa di riuscire a creare l' Homo sovieticus amalgamando le varie realtà etniche della Pianura Russa con la dottrina del Marxismo-leninismo...

Concludendo la “Santa Russia” non prese mai corpo, ma la ribalta sulla quale si muoveranno personaggi e eventi della nostra storia è costruita proprio su questi intrecci di interessi.

Nella stessa cornice ideologica rientra però un altro grosso impedimento che abbiamo incontrato nella nostra indagine, nato e ben radicato nell'archeologia ottocentesca non solo russa, e cioè gli antiquari-archeologi del XIX sec.d.C., cercando di provare la superiorità dell'uomo (europeo) sulla natura secondo la tradizione biblica dominante, ci hanno lasciato in eredità delle equazioni che oggi vanno riverificate o sic et simpliciter eliminate e che si esprimono sommariamente così per il nostro argomento: 1. Casa = Posto stabile e fissato in un luogo 2. Casa = Sedentarietà 3. Sedentarietà = Agricoltura 4. Nomadismo = Inferiorità culturale e sottosviluppo.

Val la pena perciò cominciare da una sommaria panoramica di come l'uomo nel mondo, partendo dal riparo/rifugio come lo trovava pronto in natura, giungesse alle città, piccole o grandi che fossero, fino a arrivare a quanto L. Mumford (negli anni '70 del secolo passato, v. bibl.) scriveva e cioè “...(la città) sin dalle origini, può essere definita una struttura attrezzata in modo da immagazzinare e trasmettere i beni della civiltà, sufficientemente compatta per ospitare il massimo numero di installazioni nel minore spazio possibile, ma capace nello stesso tempo di un allargamento strutturale che le permetteva di far posto alle notevoli necessità e alle forme più complesse di una società in sviluppo e a tutto il suo retaggio sociale.”

Pensiamo che ciò giustifichi il fatto di passare subito alle nuove scoperte sull'evoluzione del genere Homo sulle quali oggi si può riflettere in termini più affidabili di ieri per spiegare come la nostra specie, H. sapiens sapiens o uomo moderno, abbia acquisito nuove idee sullo spazio, sulla natura e su come districarsi nell'universo prima di soccombervi.

Dobbiamo spostarci allora nell'ambiente foresta/savana di una regione del sudovest dell'odierna Etiopia e ricostruire che cosa accadde a Homo quando, agli albori del suo sviluppo culturale e dopo aver già occupato diverse biocenosi a differenti stadi evolutivi, decise di lasciare la patria africana.

Di quel remotissimo periodo storico, centinaia di migliaia di anni fa, è oltremodo arduo dare risposte definitive agli assunti che sorgono man mano che procediamo nel discorso poiché le discipline che oggi ci forniscono degli elementi utili a ricostruire ipotesi realistiche del passato, l'archeologia e la genetica umana moderna, non riescono a trovare negli scavi e negli studi genetici segni univoci e ben riconoscibili dei sentimenti umani coinvolti in un'impresa talmente rischiosa come la migrazione o la colonizzazione di ambienti nuovi. Se usassimo la fantasia romantica del XIX sec. d.C. di cui ci lamentavano sopra, potremmo immaginare che i nostri antenati “moderni” siano stati spinti dalla curiosità e dall'avventura, mentre in realtà è più verosimile che circostanze ambientali sfavorevolmente (per loro) mutate ve li abbiano costretti. In Africa l'archeologia ci dice soltanto che il continente si spopolò a causa di un lungo periodo secco che portò all'inaridimento di foreste e di savane specialmente nella regione desertica vastissima che oggi è il Sahara e che da ciò ebbe origine. Molte specie di mammiferi emigrarono verso aree più abitabili vicine e con esse pure la specie Homo che entrò in Marocco e poi, attraverso lo Stretto di Gibilterra, si affacciò in Europa come Homo erectus. Altri Homo invece si stabilirono ad est nelle foreste sopravvissute dell'Africa orientale e finalmente fra 60 mila e 40 mila anni fa il nostro più vicino antenato, ora H. sapiens sapiens vagante fra la savana e la foresta, saputo (!?) che esisteva altra terra ancora sfruttabile sulla costa opposta dell'attuale Stretto di Aden, si risolse di cercare là delle condizioni di vita migliori, evitando guerre e scontri sanguinosi con i congeneri a causa della concorrenza nello sfruttamento dei territori. Attraversò la Porta del Dolore (Bab ul-Mandeb, come si chiama oggi in arabo quello stretto) la cui larghezza attuale è maggiore di quella che era una volta e così, attivo come pescatore e bravo a destreggiarsi nell'arte del navigare su barconi ben costruiti, H. sapiens sapiens in piccoli gruppi passò facilmente sull'altra sponda.

Era già stata un'impresa azzardata, se vogliamo, dal punto di vista fisico quando H. sapiens sapiens, perso gran parte del vello fitto dei suoi antenati, era uscito dalla foresta e si era esposto con la pelle nuda a intemperie mai subite prima. Eppure senza saperlo la sua “inferiorità fisica” diventò la sua maggior prerogativa per sopravvivere e evitare l'estinzione come stava accadendo invece agli altri migranti più specializzati. Affrontare ostacoli in una natura spesso ostile e lottare per non morire significava fermarsi a studiare il da farsi per prevalere sugli impedimenti fisici e così facendo l'uomo imparò a aguzzare l'ingegno, riuscì a mettere a punto espedienti, scegliere materiali e modi di agire adeguati costruendosi il cammino verso la modernità. Ingrandì pertanto la capacità della propria memoria dove accumulare quanto aveva messo a punto in strumenti e in conoscenza scientifica nel bagaglio che chiamiamo tradizione e che trasmette le pregresse esperienze ai figli con l'aiuto della lingua articolata appena inventata e che oggi, come conoscenza scientifica, è a disposizione di tutti in Internet.

Nel passato dove ci siamo spostati H. sapiens sapiens da tipico animale della foresta sopperiva al bisogno vitale di cibo con una ricerca faticosa ripetuta e giornaliera di frutti e erbe e, ove possibile, cacciando e pescando o eventualmente – anche questo accadeva – depredando i suoi simili o altri esseri viventi. Evidentemente nella migrazione oltre lo Stretto di Aden cercò nuovi spazi che non fossero tanto diversi da quelli della foresta che ben conosceva e che aveva dovuto abbandonare per la “catastrofe” climatica detta, giacché la selva era (e resta per gran parte dell'umanità attuale, noi compresi!) la sua miniera di cibo e, con il complicarsi dell'evoluzione culturale, pure delle materie prime da trasformare in oggetti utili e utilizzabili alla sopravvivenza. Insomma noi, pur non avendo riscontri dettagliati e molte lacune per ora incolmabili sul come si svolse il viaggio, possiamo essere certi che la prima tappa fu nei pressi delle foreste che allora c'erano, fitte benché a macchie, nel Jemen attuale.

Dopo i primi insediamenti i bisogni materiali aumentati e diversificati crebbero di tal misura da spingere H. sapiens sapiens a ulteriori esplorazioni che così continuò imperterrito il cammino verso est superando aspre montagne e sul percorso lungo le coste dell'Oceano Indiano raggiunse la lontana Malesia dove c'era una volta il continente Sahul, oggi in frammenti insulari fra Borneo, Giava e le isole della Sonda. Di lì arrivò in Australia. Dalla deviazione fatta verso la Cina e col passar dei secoli (ca. 13-20 mila a.C.) si stabilirà perfino nella lontanissima Terra del Fuoco.

Lungo questi tragitti incontrerà i congeneri meno evoluti di H. erectus giacché questa specie pre-moderna oltre a penetrare in parte in Europa, aveva anche superate le paludi del Sinai e colonizzato il Vicino Oriente fino a spingersi in modo parallelo nel continente asiatico. Anzi! Se fissiamo l'entrata di Homo in Europa intorno a un paio di milioni di anni fa, dunque prima di H. erectus, già allora si riscontrano sul terreno e nelle cavità naturali luoghi di sosta fatti a volte con l'uso di legno, ciottoli e ossa di grandi mammiferi. E in in ciò non si cela forse un embrione dell'idea di casa? Un particolare interessante di H. erectus invece è che, secondo le recenti ricerche, avesse abbandonato ormai da tempo gli alberi e dormisse all'addiaccio, magari vicino al fuoco che già dominava.

L'epigono di H. erectus, H. sapiens sapiens, vaga nel frattempo lungo le coste orientali del Mar Mediterraneo intanto e incontra altri stretti cugini: H. sapiens neanderthalensis. Dalle ricerche di mappatura genetica condotte dal Max-Planck-Institut di Monaco di Baviera sul DNA di H. sapiens neanderthalensis, negli Europei, nei Cinesi e nei Papuani attuali sono rimaste tracce (alcuni non numerosi geni) di contatti sessuali fra i due H. sapiens avvenuti fra 50 mila e 80 mila anni fa. Ciò che è sorprendente e (al momento) misterioso è però che i geni individuati non sono presenti negli Africani odierni. Un altro punto irrisolto è che, sebbene le due specie siano molto affini avendo in comune l'antenato H. erectus, restano biologicamente pur distinte e gli ibridi di solito sono sterili.

Sono importanti queste digressioni? Assolutamente sì, poiché, se l'ibridazione è realmente avvenuta, essa ha inciso nella struttura genetica del nostro cervello ovvero sull'organo che presiede ogni attività umana e quindi è un contributo “fisico” alla maturazione dell' idea di casa.

Per necessità di esposizione dobbiamo fare grandi salti temporali e passare subito a ca. 100-120 mila anni fa nel Pleistocene superiore (interglaciale Riss-Würm e parte del periodo glaciale di Würm) quando il clima nel lungo termine restò instabile. Ciò provocava nelle biocenosi esistenti degli avvicendamenti e dei mutamenti delle specie vegetali e animali frequenti e logicamente il genere Homo, dipendendo per nutrirsi prima dalla flora e poi dalla fauna, non poteva ancora possedere una costanza di abitudini (standardizzazione) nel modo di procurarsi il cibo e neppure un raffinamento delle proprie tecniche salvavita. Da raccoglitore-cacciatore si arrangiava alla meglio qui e là dimorando sotto le sporgenze rocciose o sotto qualche albero più frondoso o persino coprendosi con pelli di animali rispondendo a caso alle basse temperature che dominavano il clima europeo in certi periodi.

Se le tracce che Homo ha lasciato dei suoi passaggi sono frequentissime e sparse e se i luoghi di sosta che scaviamo fossero delle case, dovremmo trovare dei resti di rifiuti di cibo (non c'erano imballaggi da gettar via!) accumulatisi in lunghi tratti di tempo. E invece ciò è raro e incerto e per noi vuol dire che Homo non ha ancora una casa. Il riparo che noi ritroviamo corrisponde soltanto a un campo base provvisorio dove, per breve tempo e magari ripetutamente, si macellavano le carcasse di animali o si fabbricavano gli arnesi o altre operazioni simili. Homo era ancora in piccoli gruppi che proprio per il loro modo di procurarsi da mangiare sfruttavano regioni relativamente estese e allorché le risorse si esaurivano in un luogo, a parte le stagioni, ci si doveva spostare in un altro magari lontano dal primo e senza prendere in considerazione l'eventuale ritorno.

In epoca più tarda, sempre del Pleistocene superiore, arriva H. sapiens sapiens e anche lui deve sottostare nell'odierna Francia, Spagna e nord Italia a situazioni ambientali dure per le basse temperature medie, ma il suo comportamento è nettamente diverso da quello dei suoi predecessori meno evoluti. L'archeologia ci dice che nelle caverne, ad esempio, non sosta né abita. Le grotte quasi sempre non sono nelle vicinanze delle zone dove si approvvigiona e lui non le usa nel loro interno giacché, essendo fori o cavità che finiscono nelle profondità della Terra, sono luoghi misteriosi e infidi dove è pericoloso addentrarvisi e i vecchi modi di vedere l'uomo genericamente detto primitivo che curvo usciva dalla caverna la mattina per ritornarvi la sera, sono da cancellare nella nostra memoria. Le pitture nelle grotte di Lascaux o di Altamira o in Val Camonica lo provano poiché sono eseguite a scopo magico apotropaico o di auspicio e non rappresentano ornamenti nei muri di casa propria.

Occorre scendere nel tempo a 30 mila anni fa per vedere H. sapiens avvicinarsi e tentare di stabilirsi dove domina la steppa arborea e erbosa a sud e la tundra e la taigà a nord, mentre vede avanzare dal sud la foresta d'alberi d'alto fusto (la primeva Selva Boreale Europea) fin sotto il Circolo Polare Artico che segue il ritmo di scioglimento delle enormi distese di ghiaccio.

Nella cartina qui sotto vediamo che le zone ancora coperte dal ghiaccio (inlandsis) sono bene in vista colorate in blu, mentre la steppa è punteggiata e la foresta ai suoi inizi è nelle zone evidenziate dalla tratteggiatura a linee continue da cui si deduce già una concorrenza fra le varie specie arboricole che nel sud dà una maggiore densità di latifoglie rispetto alle aghifoglie che invece restano più numerose nel nordest del continente. Si vede bene pure che le coste sono diverse da quelle odierne e, man mano che il ghiaccio si scioglie (mai completamente), si modificheranno ancora per il livello delle acque che sale. Allo stesso tempo la terra ferma pure s'innalzerà liberata dal peso dell'acqua ghiacciata a aprirà nuovi spazi. ntinuando la discesa verso l'epoca attuale, arriviamo all'ultima glaciazione europea (più o meno 15 mila anni fa) ed è questo l'evento più importante per la nostra storia giacché la grande estensione dei ghiacci rende i microclimi locali molto aridi e, soltanto quando le piogge cominciano a cadere regolari e abbondanti, si creano nuovi spazi favorevoli dapprima per gli alberi di alto fusto e poi per gli animali e infine per gli uomini. Sarà il momento della vera grande espansione forestale quando appaiono le prime conifere aghifoglie sulle Alpi e sui Carpazi. Queste aree nel 12000 a.C. si espanderanno in varie parti della cosiddetta Mitteleuropa. Nel 11000 a.C, più o meno, il clima ancora una volta si raffredda un po' e la foresta, stavolta a conifere nel Nordest, rallenta la sua espansione. Fortunatamente il raffreddamento non perdura e la colonizzazione riprende in un clima che diventa sempre più caldo. Un aspetto è da sottolineare per la foresta: più è fitta e meno si presta alla presenza di grossi animali, se pensiamo soltanto a mammut e a orsi delle caverne dalle grandi moli corporee. I grandi erbivori o altri animali di mole possente vivono a disagio nello spazio che offre loro il fitto e, se li vediamo comunque estinguersi pian piano ai margini delle nuove foreste, non è tanto per la caccia da parte degli uomini affamati, quanto invece per le morie dovute alle siccità prolungate e alla deforestazione, questa sì, antropogenica.

(da H. Küster – Geschichte des Waldes, von der Urzeit bis zur Gegenwart, München 1998)

Intanto al nord 9-10 mila anni fa il canale della Manica cominciava a funzionare e a favorire la circolazione delle acque calde della Corrente del Golfo per formare il Mare del Nord sommergendo il Dogger Bank e rendendo il clima in Scandinavia e sul Mar Baltico più accogliente.

E' il momento delle migrazioni di altri uomini diretti a nord e dal punto di vista umano l'ostacolo ambientale maggiore in Europa è il ghiaccio ancora non sciolto che copre gran parte del territorio e mantiene la temperatura in media bassa tutto l'anno. I migranti, se vengono da queste parti, devono possedere già una tecnica per accendere il fuoco quando e dove serva. La conquista scientifica dell'accendere il fuoco con vari strumenti e metodi era avvenuta per fortuna centinaia di migliaia di anni prima e H. sapiens sapiens ne era sicuramente portatore e, siccome col fuoco occorre il combustibile ossia il legno, la vicinanza immediata alla risorsa forestale rimaneva ancora una volta indispensabile. D'altronde è fastidioso portarsi il fuoco acceso durante le battute alla ricerca del cibo e la brace accesa è preferibile che sia protetta in un qualche luogo sicuro e fisso curata da qualcuno. E infatti, magari avveniva di tanto in tanto, dopo uno scontro o in un incontro intorno a un camino acceso si godeva dell'allegria che mette il fuoco scoppiettante. E mentre si arrostisce un pezzo di carne – nasce l' attività culinaria – da spartire insieme ci si sentiva spinti alle chiacchiere e ai pettegolezzi. Ci si scaldava abbracciati, ci si amava, si cantava e si ballava...

Il fuoco, la cucina, la donna diventano i punti cruciali della pratica domestica e noi più avanti li approfondiremo per osservarne l'evoluzione pur volgendo un occhio particolare al mondo slavo.

H. sapiens sapiens sta subendo un'intensa evoluzione culturale e comincia a coltivare il desiderio di un modo di vita che gli permetta di sopravvivere bene, ma soprattutto gli eviti la fatica di vagare in continuazione. Per ora il gruppo a volte deve separarsi da alcuni membri quando costoro per una ragione importante non possono prendere parte alla raccolta di cibo giornaliera. Eppure hanno bisogno/diritto di assistenza, se sono donne incinte o con bimbi, malati, vecchi, giovani impuberi, etc. In breve esiste la tassativa esigenza di raccogliere del cibo in più e portarselo dietro da condividere in un meeting point concordato con chi è rimasto indietro. In realtà la tradizione folcloristica presso quasi tutti i popoli del mondo ci ha serbato il ricordo di usanze che contemplavano l'abbandono o la soppressione del disabile malato o vecchio...

Ma basta quanto fin qui scritto per spingere l'uomo a fabbricarsi un riparo permanente che possa definirsi una casa? E aggiungeremmo un corollario: Non potrebbe l'uomo vivere senza?

Se ci riferiamo al fisico dal punto di vista corporeo nel freddo più rigido (cfr. gli estinti Ona della Patagonia) così come nel caldo più opprimente (cfr. alcune etnie africane o gli Yanomamo delle foreste brasiliane) l'uomo può resistere benissimo nudo perché la pelle, una volta abituata, può sopportare qualsiasi intemperia... entro certi, seppur ampi, limiti di temperature e di tempo di esposizione. In conclusione un riparo, comunque lo si intenda contro il maltempo o altre mattane simili, non pare indispensabile.

Ancora: Un nemico inaspettato potrebbe assalirci nei momenti del giorno e della notte in cui siamo completamente e volontariamente abbandonati a noi stessi e disarmati e cioè 1. durante il sonno o 2. quando si scarica il corpo o 3. quando si fa all'amore o, nel caso della donna, 4. quando si partorisce etc. In quei momenti è fondamentale creare atmosfere speciali di intimità o allacciare alleanze difensive previe, seppur momentanee, con i nostri simili sulla base della fiducia reciproca per poterci garantire un'incolumità. Ed ecco che almeno in questi casi un riparo riesce utile! E ne segue una nuova definizione di casa: Spazio artificiale coperto e difeso dove possiamo svolgere le attività in cui è richiesta intimità e concentrazione delle nostre forze fisiche e intellettuali, separati o insieme al resto del gruppo.

A questo punto però occorre trovare le relazioni di causalità fra sedentarietà, casa e agricoltura.

Partiamo dalla circostanza che le donne rimaste in attesa a volte aspettano a lungo e a volte invano il ritorno degli uomini e si guardano intorno alla ricerca di alternative alimentari.

La natura dovette venir loro incontro forse nel 10-15 mila a.C. giacché in certe aree del mondo le temperature si andavano mitigando e in Europa lo scioglimento dei ghiacci residui stava formando nel sud le enormi masse d'acqua del Mediterraneo, Caspio, Golfo Persico che facendo da termostati accumulavano il calore dando delle estati godibili più a lungo.

In un clima mite H. sapiens sapiens può realizzare pazienti e utilissime osservazioni della fauna e della flora locali e accorgersi così che è assicurata una certa abbondanza alimentare “spontanea”. Certo, occorre rassegnarsi al ruolo che il clima, le stagioni, l'insolazione circadiana hanno sugli esseri viventi compreso se stesso, ma allo stesso tempo può sperimentare soluzioni innovative che gli permettano di procurarsi cibo con sempre maggior tranquillità, pur rinunciando forse con rammarico alla precedente varietà della dieta. Studio e esperimento richiedono tempo libero da sottrarre alla solita raccolta, alla solita caccia e alla solita pesca o all'accudire bimbi e malati disabili per cui è naturale che, solo nelle aree più fortunate, si può indugiare a pensare come fabbricare strumenti più adatti e tecniche più perfezionate per affrontare l'ambiente circostante onde piegarlo meglio ai propri bisogni.

Alla fine, come vedremo, si riesce a trasformare la natura in una macchina comandata dall'uomo. Soltanto con un'attività sistematica e ripetitiva non più connessa col vagare o col sostare, ci si libera a questo punto dalla casualità suscitata dalla fame o dalla sete o dalla propria abilità e ora può essere pianificata una produzione regolare di alimenti nel medio/lungo periodo. Nasce il lavoro! Con esso consumare cibo è finalmente separato dalla disponibilità momentanea/stagionale e la tradizione e i costumi ne imporranno la distribuzione ad intervalli regolari lungo il giorno, il mese e l'anno. Quanto la natura produce “guidata dall'attività scientifica umana” non solo sopperirà alle esigenze già dette, ma diventa oggetto di scambio con le comunità vicine nei primi mercati della storia...

Probabilmente tutto è nato osservando per prime le piante e apprezzandone il valore nutritivo o l'azione velenosa, addirittura deducendo questi due effetti possibili dalle scelte che gli animali facevano davanti allo sguardo attento dell'uomo (o meglio della donna). Certe piante divorate dagli animali tuttavia non erano direttamente consumabili dall'uomo per tantissime ragioni: frutti minuscoli, parti commestibili dure da masticare e difficili da digerire, reperibilità limitata o inaccessibile etc. Fatto rapidamente due-più-due, l'uomo dedusse, da una parte, che nutrendosi della carne degli animali si appropriava delle qualità organolettiche delle piante che finora aveva dovuto scartare e che questi animali avevano invece metabolizzato e, dall'altra, che lavorando nel terreno su certe piante poteva portarne a casa i loro frutti nelle quantità desiderate. Di qui l'idea dell' allevamento degli erbivori “amici” e della coltivazione delle piante più buone...

L'idea di cibo insomma cambia e di fronte a H. sapiens sapiens non ci sono più animali e piante, nostri amici o nostri nemici, dolci o amari, velenosi o altro, bensì “prodotti da trasformare” per poi mangiarli! E mentre l'animale è mobile e la pianta è fissa sul terreno, di conseguenza persino le tecniche per “trasformare in cibo” questi due “prodotti naturali” così diversi dovettero essere adattate e logicamente pure in maniera differente. Oggi distinguiamo per comodità di studio due modi di vita del lavoro umano: l' agricoltore e l' allevatore, ma come era ancora ai primordi?

Non è il tema della nostra ricerca andare troppo a fondo della questione lavoro-produzione giacché a noi interessa verificare con l'ausilio dell'archeologia se l'idea di casa fissa e stabile fu adottata presso le civiltà agricole dell'antichità a causa dei ritmi di lavoro inframmezzati di lunghe stasi o per quale altro motivo. E qui ci troviamo di fronte a una stranezza.

Ammettiamo per assurdo di essere persone che non hanno mai sentito parlare di agricoltura. Un bel giorno ci invitano a vivere fra i contadini e noi osserviamo ciò che essi fanno.

1. Passano un bel po' di mesi a lavorare la terra cioè arano seminano sarchiano mietono con gran fatica e con l'impiego di molte braccia.
2. Alla fine della stagione raccolgono le piante che hanno seminato e ne sortiscono i frutti e, sebbene i frutti siano piccolissimi e, quel che è peggio, sono duri da masticare perché contenuti in resistenti teche legnose, ma accumulandone ci si può nutrire.

Ci chiederemo ancora: Ma è valsa la pena far tanto lavoro per ottenere quel risultato? Non era meglio forse la caccia e la raccolta?

Dal punto di vista ergonomico è stato calcolato che i costi fisici per produrre cibo si abbassano di molto nel caso agricolo nel periodo di un anno, giacché non si deve vagare un'intera giornata su un vasto territorio né arrampicarsi sugli alberi o battersi con la concorrenza a caccia di animali vivi o di carcasse. E d'inverno ci si riposa!

La durezza dei semi raccolti e la difficoltà di masticarli? Anche qui è indispensabile che all'agricoltura s'imponesse contemporaneamente l'uso del fuoco... per cucinare ! Ma c'è ancora un dubbio: Quante migliaia di piante si devono curare per nutrire a sazietà gli impegnati contadini?

Vediamo un po'. La scelta delle piante da coltivare è fondata in primo luogo sul fatto di essere annuali, di crescere velocemente anche al limite delle stagioni fredde e di dare per un seme piantato molte decine di “frutti-semi” nuovi. E' già un primo vantaggio nel caso di migrazioni giacché basta portare con sé un sacco di semi-frutti per ricominciare a coltivare in altro luogo. Il secondo vantaggio è che questi semi-frutti si possono immagazzinare e tenere da parte per la stagione morta e per altre occasioni di strettezze e di conseguenza – ciò è molto importante per il nostro assunto – non dipendere inesorabilmente dal clima. Conservare il cibo permette inoltre di aver più tempo per la vita in comune, non essendo più oppressi dal bisogno di sedare la fame andando in giro a cercar cibo a caso rischiando la vita, ma dovendo collaborare in più persone per coltivare. La donna riproduttrice può stare più a lungo coi suoi piccoli e ha più tempo di conversare con altre donne e tutti hanno voglia di riflettere e discutere con gli altri sulle circostanze della vita ora che si sta più tempo insieme. Conservare inoltre significa costruirsi un posto dove custodire le riserve cioè un luogo fisso dove recarsi a prelevare e da difendere contro predoni e concorrenti...

E' in questo mondo agricolo che ha origine il bisogno di costruirsi una casa?

Agricoltura è in primo luogo una serie di applicazioni tecniche messe a punto da un gruppo di uomini che si sono dedicati allo studio dei terreni per sfruttarli al meglio. Le sperimentazioni lunghe e attente per motivi contingenti della natura del terreno, del clima e della locazione accessibile sono avvenute in regioni nel mondo dove concorrevano molte circostanze favorevoli alla coltivazione più che in altre come un terreno più fertile, delle stagioni più miti, specie vegetali più adatte etc. e dove perciò gli esperimenti hanno dato i risultati voluti nel breve termine.

Gli archeologi ne hanno identificato tre di queste aree speciali – le più antiche del mondo – di cui una fra la Palestina odierna e l'Anatolia Occidentale (la famosa Mezzaluna Fertile), un'altra in Cina lungo il fiume Azzurro e la terza nella zona andina peruviano-ecuadoregna. In ognuna di esse e separatamente (le distanze reciproche sono enormi!) gli esperti H. sapiens sapiens misero a punto i cosiddetti Pacchetti Agricoli o Agrarian Packages come li chiamano gli antropologi culturali americani e li implementarono con successo.

I tre Pacchetti Agricoli naturalmente risultano simili nell'impostazione teorico-tecnologica per quanto appena detto, ma non sono uguali nell'implementazione tecnica.

In particolare il Vicino Oriente è l'area in cui si coltiva frumento, orzo, legumi e si allevano capre e pecore da circa 10 mila anni. Un paio di millenni più tardi si sviluppa nel sudest asiatico l'altra area dove si coltiva riso e miglio e si allevano bufali, porci e gallinacei e infine, ancora un paio di millenni dopo, appare il Perù con mais, fagioli e patate e allevando lama e cavie.

2. La colonizzazione della grande pianura nordorientale europea

Come abbiamo appena scritto l'archeologia e la ricerca genetica ci dicono che nel Vicino Oriente (l'area più prossima all'Europa “degli Slavi” o Slavia) gruppi di agricoltori occasionali avevano elaborato un tipo di vita sedentario collegato al sistematico lavoro nei campi e che sarebbe poi culminato nelle espressioni monumentali delle grandi civiltà da noi oggi ammirate in Mesopotamia e nell'Egitto faraonico.

Fino a qualche decennio fa sembrava che l'Europa non avesse avuto uno sviluppo analogo di monumenti imponenti e eventi altrettanto importanti, sebbene l'archeologia continuasse a scavare resti di antichi insediamenti nella cosiddetta Mitteleuropa, pur senza trovare resti grandiosi. E così per quanto riguarda l'Europa a nord della Grecia classica da anni ormai si era disegnata una cronologia di tappe culturali che riportiamo qui di seguito:

ñ Steppe Ucraine: fra il Mare d'Azov e il Dnepr dal 6450-6000 a.C. agricoltura irrigua con coltivi di grano (presenza di macine a mano per far farina) sfruttando la presenza del terreno a loess fertilissimo e facile da lavorare

ñ Caucaso del Nord: 5500 a.C. agricoltura irrigua come sopra

ñ Dnepr: appare nel 5500 a.C. anche la ceramica a mano

ñ Più o meno alle stesse epoche 6450-6000 a.C. appare la pastorizia che caratterizzerà il nomadismo, ma che con le nuove tecniche agricole diventerà un'attività secondaria per tutto il nord e un'attività primaria per le steppe del sud.

Gli scavi più recenti finalmente hanno confermato che questi reperti e queste culture facessero parte di un'antichissima civiltà sedentaria dipendente dall'agricoltura e in parte dall'allevamento nel bacino del Danubio, altresì di poco posteriore alle tecniche agricole già ottimizzate e di cui l'Egitto e i Sumeri usufruirono. Le tecniche “danubiane” e i conseguenti modi di vivere appaiono infatti molto simili a quelle del Pacchetto Agricolo del Vicino Oriente e allora, se sono le stesse, come giunsero qui nella Mitteleuropa? Naturalmente “portate da migranti” è la risposta più ovvia. E perché questi migranti che avevano scelto una maniera di vita nella cui visione del mondo non era previsto abbandonare il luogo di residenza, lasciarono invece la patria per dirigersi qui al nord?

Prima di affrontare l'argomento dei nuovi venuti nel Basso Danubio in termini un po' più precisi, ci è sembrato opportuno fare una breve digressione per capire su che basi si fissano le date nei siti archeologici per decidere se certi luoghi siano stati abitati momentaneamente oppure siano collegati con una qualche forma di vita decisamente sedentaria.

L'archeologo israeliano E. Černov una quindicina d'anni fa si era posto quell'interrogativo per gli antichi abitanti d'Israele, i Natufiani. Lambiccandosi il cervello giunse a conclusioni interessanti davvero: Il fatto che con la costruzione della casa l'uomo avesse modificato l'ambiente dove c'erano altri esseri viventi, aveva costretto questi altri abitanti – piccoli mammiferi, insetti, piante etc. – ad adattarsi alla sua nuova presenza, salvo che avessero scelto di traslocare per sempre, e da consumatori di rifiuti alimentari umani si erano appunto adeguati al turno di potersene appropriare. E' il cosiddetto commensalismo in cui specialmente l'animale dipende dall'uomo per nutrirsi. Una volta sicuro della “fornitura” periodica di cibo, questo compagno di tavola non umano si mantiene nelle vicinanze e quindi ritrovare numerose sue ossa nello scavo significa con certezza che l'uomo fornitore di quei rifiuti è rimasto fisso in quel luogo per un tempo almeno pari alla vita media dell'animale. Tutto ciò ci interessa perché è connesso con i Natufiani i quali (a detta degli israeliani e del metodo di Černov !) col loro modello di esistenza agricola erano considerati fino a qualche decennio fa i più antichi abitanti agricoltori del Vicino Oriente e del mondo e qualsiasi altro gruppo di uomini agricoltori non poteva essersi formato che dai loro discendenti.

L'archeologia più recente americana e europea al contrario ha fatto virare l'attenzione su altre esperienze cittadine e contadine scoperte stavolta nella località anatolica di Çatal Hüyük e la cui età è stata determinata con il metodo del 14C nel 7250 a.C. pari quindi a quella dei Natufiani.

Sede di un potere statale non-indoeuropeo, gli Anatolici impiegavano con successo la tecnica dell'agricoltura irrigua (cioè non dipendente dalla quantità delle precipitazioni locali, ma dall'acqua tratta da fiumi e pozzi) per coltivare cereali annuali tipici, fra cui certe varietà di frumento Triticum sp., che costituivano il loro cibo primario. Dall'archeologia risulta chiaro altresì che i contatti con i Natufiani c'erano e continuarono ad essercene addirittura fino al 3000 a.C., ma allo stesso tempo si constata che le due culture vivessero in maniera distinta seppur parallela.

I modi rispettivi di costruire le prime vere città al mondo sia in Anatolia che in Israele rispondevano, sì!, ad esigenze materiali, climatiche e difensive assai simili, ma le soluzioni applicate erano abbastanza diverse. E' interessante poter dire addirittura che in entrambe le aree abitate già si pensasse in modo ecologico e ergonomico, visto che si calcolavano i risparmi sul materiale reperibile nel territorio da usare nel costruire in un modo tutto “agricolo” di vedere il mondo. Un esempio? Il modello edilizio di Çatal Hüyük, pur preferendo la terra cruda o la pietra visto che qui il legno era scarso, erigeva fra due case adiacenti, ma abitate da gruppi diversi A e B, un'unica parete divisoria che da un lato apparteneva al gruppo A e dall'altro al gruppo B... col minor dispendio di materiale. Non solo! Lo stesso era per il tetto che rappresentava allo stesso tempo il pavimento per l'inquilino di sopra. E inoltre, abbandonando la pianta circolare che prendeva troppo spazio in un blocco di case, a Çatal Hüyük si optò per la planimetria quadrangolare evitando gli interspazi inutilizzati e inutilizzabili del cerchio. Ed ecco come doveva apparire la città.

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Modellino di una casa di Çatal Hüyük ricostruito dagli archeologi

(Museo dell'Architettura di Francoforte sul Meno)

A questo punto le rassomiglianze fra i reperti archeologici del Danubio e quelli anatolici sono talmente tante e profonde che si deve ammettere che furono piuttosto gli Anatolici a diffondere il loro modo di vita nelle terre europee e danubiane che non altri.

Eppure prima del VII millennio a.C. nel bacino del Danubio vivevano genti che chiameremo per comodità Vecchi Europei (come suggerisce H. Haarmann, v. bibl.) in un regime agricolo più primitivo rispetto al Pacchetto Agricolo degli Anatolici o dei Natufiani e questi Vecchi Europei probabilmente erano giunti qui sia via steppa da est sia via il Bosforo Tracio da sud quando quest'ultimo passaggio era ancora un istmo percorribile a piedi. Intorno al 6700 a.C. (la datazione più alta ammessa è 7500 a.C.) ci fu un evento sismico epocale che fece crollare l'istmo sconvolgendo il territorio intorno per un'enorme estensione. Il Mar Nero, allora un lago più o meno sotto il livello del mare come il Mar Caspio, quando l'istmo crollò e le acque dell'Egeo si riversarono impetuosamente sommerse case e città e le coste arretrarono di molti km.

Possiamo immaginare come l'ondata che invase la costa dell'Anatolia settentrionale lanciasse le navi lì ormeggiate nell'interno in uno spettacolo terribile e grandioso che si impresse nella memoria dei sopravvissuti pensando a come ce l'hanno tramandato gli Ebrei col nome di Diluvio e con le peripezie dell'Arca di Noè o nel mito simile del babilonese Utnapištim. A proposito di Noè ciò che è più notevole e curioso è che il patriarca ebreo, fermatosi sull'Ararat, vulcano che domina l'altopiano anatolico e da dove si può scorgere il Mar Nero, scendesse a valle e procedesse alla coltivazione di una pianta commestibile: la vite e ne ricavasse vino. Un'ispirazione di Çatal Hüyük o dei Natufiani ?

Da quanto abbiamo raccolto ci risulta che fossero gli Anatolici a muovere verso il Danubio. sebbene non a piedi, ma via mare. Orbene, se dobbiamo pensare a migranti che lasciano le coste anatoliche e migrano verso nord, quando e quali persone si misero in viaggio? Vediamo di muoverci fra le prove che sono a disposizione. Siamo non lontani dalla costa di sudovest della Turchia attuale e quindi è logico che mantenere contatti con le grandi e le piccole isole sparse nel Mar Egeo, specialmente commerciando l'ossidiana, prodotto tipico del non lontano Caucaso e molto ambito per farne lame di utensili taglienti, fosse una pratica comune. Altrettanto logico è che i contatti fin nell'isola di Creta si trasformassero in vere e proprie colonie stabili per un immigrante dalle coste dell'antica Ionia. Qui si cominciò a coltivare e si introdussero gli animali già addomesticati come i bovini ancora di piccola taglia e quindi dominarono gli usi e i costumi degli Anatolici e del loro Pacchetto Agricolo benché modificato opportunamente. Non solo! Gli eventi sono riconoscibili nei miti greci di Zeus e Europa e del Minotauro...

La colonizzazione delle coste greche da parte degli Anatolici proseguì perciò spostandosi sempre più a nord in Tessaglia finché Çatal Hüyük decadde e sparì. Questa fine è ricostruibile come esito di una serie di circostanze. La sottrazione da parte delle acque del Mar Nero di terreno coltivabile e quindi l'esaurimento di risorse e, chissà, l'inaridimento delle fonti d'acqua o l'aver saputo che nelle rive settentrionali del mare (Egeo/Nero) esistessero pianure enormi (la steppa) dove l'erba cresceva in gran quantità spontaneamente Sono gruppi di giovani disperati e avventurosi (le ricerche genetiche di qualche anno fa dicono che fossero in prevalenza maschi) che con semi di granaglie a tracolla e, come abbiamo detto, con qualche piccolo animale domestico al seguito, si trapiantarono da stranieri fra gente straniera e dalle mescolanze fra persone con bisogni simili nacque la nuova Civiltà Danubiana.

Ma chi era la gente che abitava nel Basso Danubio prima dell'arrivo dei nuovi migranti?

Guardiamo l'Europa Orientale nella carta fisica di D. Anthony qui sotto le cui legenda non abbiamo ritenuto doverle tradurre e ci accorgiamo subito che, se volessimo, la carta comprende pure il Basso Danubio. I Carpazi all'altezza di Settecastelli (Transilvania/Sibiu, Romania) infatti fanno una svolta verso ovest e continuano col loro arco balcanico a disegnare l'anfiteatro occupato dal bacino del Danubio dalle Porte di Ferro dopo Belgrado fino al grande delta nel Mar Nero e non esistono barriere insuperabili col resto della Pianura Russa, se non quelle tradizionalmente linguistiche che troviamo oggi.

Il bacino danubiano (da Haarmann – Das Rätsel der Donauzivilisation, 2011)

Se l'itinerario seguito dagli Anatolici e i motivi della loro migrazione verso il nord, il Diluvio, sono più o meno noti per aver lasciato tracce geologiche, archeologiche e archeolinguistiche, quali motivi invece spinsero gli altri H. sapiens sapiens ad insediarsi da queste stesse parti tanto tempo prima degli Anatolici stessi e da dove venivano? Sebbene la steppa ucraina sia molto più fertile del resto del territorio steppico del Centro Asia, dobbiamo confessare che, a dispetto delle ipotesi di questi anni su una loro identità proto-slava o tracia, senza alcun aiuto dall'archeologia non potremmo che lasciare il quesito della loro identità irrisolto! Ciononostante sull'importanza storica della Civiltà Danubiana la nostra tesi è che c'è un fil rouge innegabile tecnico-decorativo-spaziale che senza soluzioni di continuità unisce le case “danubiane” di 7-8 millenni a.C. con quelle poi diffusesi nella Pianura Russa fino a oggi e è fondamentale esaminare, seppure a grandi tratti, quanto i Nuovi Venuti portassero di modelli di dimore fisse e di rispettive organizzazioni in cittadine e villaggi e come li mettessero in mostra per i Vecchi Europei “più arretrati” in modo che questi ultimi si sentissero spinti a imitarli. In altre parole non avendo ancora tutte le informazioni sufficienti per provare l'esistenza di stati organizzati che imponesse e diffondesse certi usi, è sicuro che – come solitamente accade – i supposti autoctoni “più arretrati” fossero incuriositi e stimolati dalle novità degli ultimi immigrati e, oltre a scegliere di abbandonare la vita vagabonda e di perfezionare la propria agricoltura obsoleta adottando il Pacchetto Agricolo anatolico, appresero rapidamente anche le tecniche per costruirsi case migliori.

Al momento su questi autoctoni tutto quel che possiamo presumere è che il più antico H. sapiens sapiens sia arrivato nel bacino danubiano dall'Asia continentale, attraverso i possibili varchi aperti verso la Pianura Russa, ammesso che i mutamenti geomorfologici intervenuti negli ultimi 8-10 millenni non siano stati oltremodo sconvolgenti e abbiano alterato la facies archeologica.

Ed ecco un piccolo quadro degli attraversamenti/entrate esistenti nella regione danubiana dalle aree limitrofe compresa la Pianura Russa:

1. A nord si travalicano i Monti Urali attraverso vari passi e si giunge quasi immediatamente nel bacino del fiume Kama dove si trova oggi Perm'. Se si vogliono evitare i monti, si va lungo la costa del Mar Glaciale Artico molto più a nord. Qui la marcia è più ardua per i colonizzatori raccoglitori e cacciatori che venissero dalla Siberia (più o meno la regione di Tjumen' odierna) perché nella bella stagione la zona è paludosa e invasa dalle zanzare.
2. A sud l'accesso è disponibile nelle steppe ucraine. Ci sono grossi ostacoli da superare: dei deserti micidiali frapposti sul lato della riva sinistra del fiume Ural (immissario del Mar Caspio e chiamato una volta Jaik) e il delta del Volga (altro immissario, ma di misura molto maggiore) e da questo lato arrivarono nomadi pastori di varie etnie in grandissima parte turcofone.
3. Direttamente dal sud del massiccio montagnoso del Caucaso invece si entra direttamente nella Pianura Russa attraverso i due passaggi classici e cioè seguendo la strada costiera del Mar Caspio via Derbent e il passo dell'Alania (valico di Dar-i Al) che si snoda fra le cime caucasiche. In questo caso i migranti vengono o dalla Mesopotamia o dall'Anatolia.
4. C'è poi il Mar Nero che, se lo si attraversa fra le coste opposte, porta immediatamente in Crimea, mentre via Bosforo (Tracio) si giunge nel Bacino del Danubio.
5. E infine, una volta fatto centro nel Basso Danubio e affrontate le zone paludose a nordest dei Carpazi, si entra nel cuore della Pianura Russa toccando la grande ansa del Dnepr a nord di Kiev o, addirittura continuando a monte dello stesso fiume, si arriva alla Vistola diretti al Mar Baltico.

Rammentando che tali passaggi sono stati effettivamente utilizzati in entrambi i sensi in entrata o in uscita, abbiamo deciso in base agli ultimi studi archeologici di rivolgerci in prima battuta ai tipi di abitazioni ricostruite nella Civiltà Danubiana per poi raffrontarle a quelle ritrovate nella Pianura Russa millenni dopo.

Noi infatti abbiamo incontrato nella nostra ricerca per il periodo medievale russo molte soluzioni abitative che nelle forme e nelle tecniche ci hanno fatto sospettare una filiazione diretta dalla Civiltà Danubiana. Questa civiltà dovette essere altamente sviluppata, sebbene non sia riconoscibile lungo le linee tradizionali delle grandi civiltà orientali con monumenti giganteschi davanti ai quali, secondo i vecchi schemi storiici del XIX sec. d.C., abbiamo sempre mostrato meraviglia e ammirazione. In più c'è una particolarità. L'area di Pianura Russa che continua nel Basso Danubio, per opinione comune degli archeologi odierni, è il centro da cui gli Slavi irradiarono nel continente intorno dal IV-V sec. d.C. e, sebbene sia infondato dire che gli Slavi bazzicassero da queste parti già nel 6-7000 a.C., di sicuro c'è che le eredità culturali che la Civiltà Danubiana ha passato a chi è venuto dopo si riflettono chiaramente in moltissimi aspetti della cultura slava in vari ambiti.

Da una panoramica degli scavi fatti in zona danubiana si ricava che dal 6300 a.C. in poi si riscontrano stili architettonici abbastanza diversi da quelli che si ritrovano in Anatolia, specie nella divisione degli spazi domestici e nella distribuzione negli abitati, mostrando in tal modo che si va creando una tipicità locale inaspettata della casa e della città danubiane in senso sincretistico.

Ad esempio ogni abitazione ha la sua porta d'entrata ed è separata dall'altra da una stretta via, mentre un'eguale soluzione architettonica manca a Çatal Hüyük dove prevalgono le case alveari nelle quali si entra da una botola del tetto.

Altra novità, compare il balcone esterno in case a due piani mai visto prima e, ancora, in certi posti si erigono delle case comunitarie enormi in cui pure sono previsti due o più piani. Qui sotto ci sono alcune ricostruzioni interessanti per il nostro assunto che serviranno a giudicare se per caso non possano essere queste le “antenate” delle abitazioni che riscontriamo nella Pianura Russa.

(da H. Haarmann, op. cit.)

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Quel che impressiona il ricercatore inoltre è l'importanza apparentemente esagerata attribuita al focolare collocato al centro di ogni abitazione, curato dalla donna, ma venerato e temuto poi da tutti.

Lasciamo ora il Danubio e portiamoci nel nord della Pianura Russa dove le entrate più antiche avvennero dall'est attraverso gli Urali settentrionali e qui è stato abbastanza entusiasmante per gli archeologi riportare alla luce e studiare i reperti trovati nei numerosi laghi nordici trasformatisi oggi in torbiere e sapere della presenza di popoli siberiani già fra il III e il II millennio a.C. nel Grande Nord. Šigir non lontano dalla confluenza del Kama col Volga è il più antico e il più tipico dei siti archeologici nordici e ci possiamo affidare alle descrizioni degli specialisti, se riescono a raccontare come ogni villaggio fosse composto sia di abitazioni estive che invernali. D'estate si era sempre in movimento sul terreno e le “case” erano delle tende mobili fatte di pelli d'animali e di pali di legno come si vede nel disegno qui sotto o addirittura con intelaiature di ossa di grossi mammiferi. D'inverno si restava al caldo in

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costruzioni quasi fisse fatte di pali di legno di pelli, che si lasciavano però all'arrivo della stagione calda.

(da R.D. Goldina – Drevnjaja i srednevekovaja istorija Udmurtskogo naroda)

Nelle costruzioni invernali il terreno era scavato fino a 1 m sotto il livello del suolo esterno e i pali e le pelli a copertura dello spazio interno a mo' di tetto s'impiantavano lungo i margini del non profondo scavo. Nel centro era sistemata la stufa molto semplice e anch'essa leggermente infossata che dava luce e calore a ca. 120-160 mq. di spazio interno. Nel pavimento erano sistemati grossi vasi d'argilla dove si teneva il cibo di riserva, rappresentato in particolare da granaglie e soprattutto da pesce affumicato mentre in altri vasi simili si conservavano acqua e vari liquidi bevibili. Dagli oggetti ritrovati si possono dedurre ulteriori nozioni importanti per il nostro discorso e cioè che esisteva un sistema di parentela ben organizzato, ma abbastanza saldo e rigido, che stabiliva quali attività fossero permesse a ogni membro della famiglia e la sua posizione economico-produttiva nell'ambito del sistema. Le donne sulla base della loro età raccoglievano le piante e i frutti commestibili, preparavano il cibo, curavano i figli, tessevano fibre vegetali selvatiche e cucivano insieme pelli conciate mentre gli uomini fabbricavano arnesi per il lavoro giornaliero e cacciavano piccoli carnivori per ricavarne le pellicce. La caccia alle foche, ai delfini bianchi e ai trichechi lungo il mare serviva ad accumulare una certa quantità di carne da consumare.

L'area occupata nel tardo paleolitico col clima al valore massimo della temperatura media in quei secoli è la steppa arborea che dal punto di vista della ricerca e della produzione di cibo era considerata la migliore biocenosi con frutti e piante della foresta e con sufficiente erba spontanea per gli animali.

foto dell'autore fra i Nency e la loro casa estiva

I Finni intanto prendono la via per il nordovest diretti verso il Mar Baltico e, seguendo le coste settentrionali di questo mare, si arrestano sul golfo di Botnia. Sulle rive meridionali dello stesso mare ci sono invece altri popoli già stanziatisi tempo prima che vivono in parte di pesca lungo il litorale e più all'interno dove ci sono fitte foreste praticano invece un'agricoltura irrigua. Sono popoli venuti dal sud che si sono spinti fino all'attuale Danimarca. Parlano delle lingue indoeuropee e oggi sono sopravvivono in due agglomerati nazionali: la Lituania e la Lettonia. Sebbene la preistoria delle regioni baltiche sia conosciuta poco e male, l'archeologia ha trovato insediamenti risalenti a 9000 anni fa lungo le coste del detto Mar Baltico contro l'incontro fra i Baltici indoeuropei e gli Ugro-finni documentato verso il 4000 a.C. I contatti sono quindi più vecchi e anteriori alle entrate via Perm. Non solo! L'agricoltura/orticoltura penetrò con le sue tecniche nelle coste baltiche settentrionali, ma solo dopo che, a giudicare da circostanze archeologiche, la tecnica “baltica” si affermò a queste latitudini e ciò avvenne nella seconda metà del I millennio a.C.

I Finni comunque si arresteranno sulla costa orientale dell'attuale Golfo di Riga, mentre gli Ugri affronteranno l'avventura di scendere più a sud lungo i grandi fiumi fino a raggiungere la steppa e altri Finni, continuando la migrazione nordica nomadizzeranno lungo il Mar Glaciale Artico.

Per le genti “baltiche indoeuropee” lo scavo più tipico è il villaggio neolitico di Sarnat (Lituania) che mostra case di legno interrate quadrangolari dove i pali sono infissi nella torba ben asciutta e sopportano una copertura, stavolta fatta di un graticcio di verghe vegetali invece che di pelli. La stufa-cucina è situata sempre al centro dello spazio abitativo.

Se guardiamo al Grande Nord europeo, le entrate antropiche nella regione sono aperte alle distese siberiane dell'Alto Centro Asia e qui la casa usata da millenni è il tipi come lo conosciamo presso gli Indiani d'America delle Pianure. Anzi! La presenza del tipi presso le genti americane è la prova della sua antichità giacché l'archeologia lo rintraccia esportato giusto dalla Siberia fra 20 mila e 10 mila anni anni fa e con ciò persino la parentela antropologica risulta comprovata fra popoli che oggi sono separati da migliaia di km e da migliaia di anni di storia diversa! Nella foto qui sopra dell'autore sul lato destro dello sfondo si intravvede la tenda-casa usata fino a tempi recenti presso gli Ugri Nenzi nella Pianura Russa assolutamente indistinguibile dalle tende delle praterie americane. Aggiungiamo che il persistere dell'uso di case mobili denuncia solitamente un'economia di raccolta, caccia e pesca con una limitatissima agricoltura/orticoltura, ma è pure una chiara risposta adattativa all'ecosistema della tundra che ha rarissimi alberi, un'insolazione limitata per metà dell'anno e un suolo che gela d'inverno. Di tal maniera l'effetto più immediato del clima cioè la presenza circadiana del sole si rispecchia non soltanto nell'illuminazione degli interni delle abitazioni, siano esse mobili o fisse, ma pure sulla vita di relazione e così al sud col sole più intenso e più durevole la vita si svolge in cortili chiusi, mentre, a nord, con sole più raro, si svolge negli spazi esterni fra tenda e tenda.

A parte ciò sembrerebbe che con tali tipi di abitazioni, una soluzione abitativa collettiva come la città o il villaggio non possa esistere nei grandi spazi eurasiatici. E' però un punto di vista ingenuo poiché più a sud del paesaggio tundrico ci sono i pastori che sono ricorsi a “case mobili” più sofisticate del tipi come è la ger (volgarmente dette da noi jurta) che possiamo ammirare qui sopra. Già da un primo sguardo al disegno si possono avere delle impressioni su quanto sia complicato montare e smontare una ger che, lo sottolineiamo, appartiene piuttosto alla cultura turco-mongola che a quella ugro-finnica ed è evidentemente una soluzione tecnica per la casa posteriore al tipi.

Se però il tipi (non è il suo nome fra gli Ugro-finni, come vedremo) è più facilmente spostabile, d'altro canto la ger non ha impedito i grandi spostamenti che conosciamo dalla storia del Centro Asia da est o ovest e da nord a sud.

Ger (da D. Couchaux – Habitats nomades)

Di queste ger più sofisticate esistevano intere cittadine presso i Kazaki col nome generico di ail/aul (in turco gruppo famigliare) e ogni qualvolta occorresse sostare a lungo, trovandosi negli spostamenti più meno costantemente sul terreno piano, le ger si ordinavano... in cerchio. E c'era persino l'abitudine di ritornare nello stesso posto, se lo si era abbandonato per una qualche ragione.

Insomma c'è da dedurre che in molti casi ci fosse maggior convenienza a tener la ger fissa in un posto quanto più a lungo possibile invece di trascinarsela per lunghi tragitti e che tale tipo di casa non dovesse essere inderogabilmente pensata come “spazialmente provvisoria”.

L'esempio più clamoroso d'altro canto rimane Qara Qorum, città capitale dei Mongoli, formata da tante e ben ordinate ger intorno a una più grande del Gran Khan come testimonia nella sua descrizione il messo francescano, Giovanni del Piano Carpini, mandato in visita diplomatica in Mongolia nel XIII sec. d.C. dal papa Innocenzo IV.

E a questo proposito ecco un'altra importante presenza umana della Pianura Russa: I “turcofoni”.

Importanti per la storia europea più generale perché popolarono la steppa meridionale (Steppa Ucraina) nel Medio Evo, i primi turchi conosciuti spregiativamente in Occidente come popoli barbari furono gli Unni seguiti dagli Avari che arrivarono con le loro scorrerie fino sulle rive del fiume Reno. A loro seguirono altri turcofoni temutissimi per le distruttive scorrerie a cavallo e per aver fondato vari stati di cui alcuni durano fino ai nostri giorni o sono entrati come cultura nello “spirito russo” (E. Knobloch v. bibl.). I turcofoni per noi più interessanti sono i Bulgari che si insediarono fra gli Slavi dei Balcani già nel VII sec. d.C. e che la Chiesa Costantinopolitana seppe usare come intermediari per diffondere l'ideologia cristiana e la politica imperiale romana fra le popolazioni slave lì presenti. Mediò attraverso i Bulgari non soltanto la religione con tutto l'armamentario di civiltà rispettiva, compresi i materiali edilizi e il modo di costruire, ma vedremo pure come sancisse attraverso questi turchi convertiti la divisione e l'uso degli ambienti domestici affinché la dimora si potesse dire normale e cristiana !

Nella Pianura Russa ci furono altri Bulgari, quelli del Volga, che irraggiarono contributi culturali di tipo turco sull'oggetto casa dal loro insediamento alla confluenza del Volga col Kama, immersi fra gli Ugro-finni fra il VII e il XIII sec. d.C. Qui eressero varie città-fortino intorno alla loro grande capitale, Bolgar, conservando allo stesso tempo, almeno d'estate, l'uso della ger. Il loro ideale di città fu quasi sicuramente Buharà, sebbene al posto della pietra e della terra cruda usarono nella stragrande maggioranza dei casi il legno... persino per la costruzione della moschea del venerdì!

Anche i Càzari, fratelli dei Bulgari, costruirono capitali monumentali intorno al Mar Caspio di cui però, malgrado le descrizioni lasciateci dai visitatori contemporanei fino al X-XII sec. d.C., l'archeologia poco è riuscita a riportare alla luce per varie cause contingenti. Turcofoni di religione ebraica ebbero la supremazia politica nelle steppe all'incirca dal VIII sec. d.C. fino al XI sec. d.C., e, essendo nati nomadi nelle steppe del Centro Asia a contatto con la grande civiltà persiana, conservarono molti degli usi assorbiti in quella regione nell'ambito dell'abitare di cui però ci mancano vari dettagli. I loro nobili si vantavano di lasciare durante l'estate le case di mattone cotto delle città e di andare ad abitare nelle “tende” e anche in questo caso le tende càzare possiamo pensare che fossero di certo delle ger.

Di queste due realtà politiche della Pianura Russa andrebbe parlato più a lungo qui, ma preferiamo rimandare il nostro lettore alle nostre ricerche pubblicate qualche anno fa (v. bibl.).

E gli Slavi? Secondo quanto ci dicono gli storici bizantini, prima di altri, a partire dal V-VI sec. d.C. vivevano più o meno intorno ai Carpazi distanziati dai Baltici perché divisi da loro dalle grandi Paludi del Pripiat e vicini invece dei Germani con i quali avevano più stretti legami specialmente nelle zone della Sassonia e della Slesia. Se una parte di Slavi fu a contatto e subì l'influenza germanica dell'Impero Romano d'Occidente di Carlomagno, l'altra parte di Slavi nelle zone meridionali della Pianura Russa ebbe invece contatti più intensi con l'Impero Persiano e gli stati suoi eredi e più tardivamente con l'Impero Romano d'Oriente e col mondo sfavillante di Costantinopoli d'impronta greca.

Ritorneremo più volte su queste topiche. Per ora diciamo che la zona di cesura fra le due grandi componenti slave che oggi si distinguono poco nelle differenze linguistiche e tantissimo invece nelle differenze culturali è rappresentata dalla steppa sia come ambiente geografico sia come ambiente di interscambi culturali fra aree del mondo profondamente distinte. La steppa d'altronde è una regione che si fa attraversare senza grandi ostacoli e dunque adatta ai contatti interetnici di ogni tipo e forse il tratto più tipico è la prevalenza in questo ambiente delle società di tipo pastorale su quelle di tipo agricolo oltre alla grande disponibilità delle foreste che di tanto in tanto la limitano nelle zone di contatto con il nord. Le stirpi nuove che vengono fuori dalle mescolanze nella steppa ucraina nel VI-VII sec. d.C. sono slave (a detta dei documenti) e nel nostro caso sono i Tiverzi e gli Ulici, le sole genti ricordate in questa regione nelle Cronache dei Tempi Passati.

Sono stirpi di certo ancora nomadi che praticano un'orticultura, pur tenendosi a contatto con gli agricoltori stanziali dell'Anatolia, e che migreranno fin nei Carpazi dove si abitueranno a un modo di vita diventato per loro tipico fra pesca, orticoltura e raccolta. Su questa base di sussistenza riescono a standardizzare in maniera sincretistica la tradizione culturale slava che servì in seguito per presentarsi alle altre etnie come più avanzata di qualsiasi altra presente nel territorio.

3. A casa nel Grande Nord

Sia come sia, le prime etnie che entrarono nella realtà della Pianura Russa non furono gli Slavi, ma gli Ugro-finni che vivevano di pastorizia con le loro renne, ma pure di pesca e di caccia lungo le rive dei grandi fiumi siberiani, l' Ob-Irtiš in particolare, o del Mar Glaciale Artico (stagione permettendo!) o persino utilizzando i tanti tuberi ipogei della tundra. In un clima duro e alle prese con una stagione della luce e una di ugual durata, ma delle tenebre, perché mai decisero di migrare da questa parte del continente? Non è neppur sicuro che gli antenati degli Ugro-finni vivessero al di là dei Monti Urali e non avessero già una frequentazione antichissima al di qua degli stessi monti, ma di certo avevano raccolto notizie dai rari mercanti che li visitavano di civiltà splendide in un non ben identificato e lontano sud dove si viveva nell'abbondanza e nel benessere e ne era nata la spinta a abbandonare le asprezze nordiche. Si informarono e decisero di esplorare meglio il territorio circostante al di qua e al di là degli Urali.

I più avanzati di loro riuscirono a scendere lungo il Kama fino al Volga. Incontreranno gli iranici che nomadizzavano a nord del Mar Caspio e familiarizzeranno cpn loro. Altri rimarranno indietro e continueranno a vivere in economia di raccoglitori-allevatori ai bordi della foresta boreale... in attesa, chissà, che arrivasse un giorno il loro turno per proseguire verso il sognato sud.

Ma fu proprio così? Le nuove ricerche archeologiche, come abbiamo anticipato, danno invece da pensare che gli Ugro-finni nascessero come etnia più antica addirittura fra il Volga e il suo affluente Okà e che gli Ugri si mossero verso sud (bacino del Dnepr) e verso est (nel bacino dell'Ob/Irtiš) e sarebbero gli antenati degli Ungheresi o Magiari di oggi. E i Finni invece, separatisi dagli Ugri, dirigessero vero il Mar Baltico. Erodoto parla, senza possibilità di accertarsi della loro identità etnica, dei Budini vicini degli Sciti nelle steppe ucraine, che potrebbero essere degli Ugri.

Sia come sia intorno al VI-VIII sec. d.C. abbiamo comunque il seguente quadro antropico per gli Ugro-finni nella Pianura Russa: Gli Estoni/Eesti, gli Ingri o più genericamente noti nel passato come Čudi lungo le rive del Mar Baltico orientale (oggi Estonia e dintorni di San Pietroburgo), i Vepsi/Vesi intorno a Lago Bianco e lungo le rive meridionali del Lago Onego e del Lago Ladoga/Nevo, i Märi alla confluenza dell'Okà con il Volga (una volta conosciuti come Ceremissi e oggi il loro stato è la Repubblica di Mari El), i Muroma lungo l'Okà, i Mordvini lungo l'alto Volga (oggi Repubblica Mordvina) e infine i Komi (oggi Repubblica di Komi Mu). Questi antichi europei hanno nomi che difficilmente i lettori hanno mai udito prima e ad essi vanno aggiunti gli iperborei Nenzi, Nganasani, Mansi/Ostiaki, Selkupi etc. che vivono lungo i declivi degli Urali settentrionali, senza contare i Lapponi/Saami che non avendo sedi fisse da buoni nomadi sono conosciuti fin nel nord della Norvegia.

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Excerpt out of 178 pages

Details

Title
Casa russa. Le radici domestiche dello spirito russo
Author
Year
2014
Pages
178
Catalog Number
V282747
ISBN (eBook)
9783656817697
ISBN (Book)
9783656817680
File size
4964 KB
Language
Italian
Keywords
casa
Quote paper
Historiker des russischen Mittelalters Aldo C. Marturano (Author), 2014, Casa russa. Le radici domestiche dello spirito russo, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/282747

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