Scorrono le acque dell'Itil...

Einführung in die Geschichte der Wolgabulgaren


Essay, 2012

78 Pages, Grade: none


Excerpt


Indice dei capitoli

1. La Pianura Russa e la Steppa eurasiatica

2. I bulgari: Tatari, Baškiri e Ciuvasci

3. I Bulgari nel Medioevo Russo

4. Una nazione con due capitali

5. Un faro islamico nel Grande Nord

6. Il tesoro bulgaro pag

7. Un grande supermercato alimentare

8. Assaggi di cultura bulgara

9. Bulgari e Rus

10. Arrivano i Tataro-mongoli!

Bibliografia di riferimento

e consigliata per l'ulteriore studio

1. La Pianura Russa e la Steppa eurasiatica

I popoli della steppa furono (e sono!) ritenuti “normalmente estranei” all'Europa, sebbene abbiano svolto sull'Impero Romano il ruolo di “innovatori” sollecitandone lo sfaldamento e con i loro transiti incrementando in modo mai auspicato le comunicazioni con l'Asia Centrale. I “transiti” ai quali ci riferiamo sono le famigerate Invasioni Barbariche meglio indicate nella storiografia tedesca come trasmigrazioni, Völkerwanderungen, e in quella russa, Pieriesieliènia Naròdov. E in realtà non erano eventi improvvisi o inaspettati, ma un fluire antico di varia umanità, d’idee e di visioni del mondo che da secoli si rimescolavano nelle stirpi invecchiate del continente per formare popoli nuovi e più ricchi culturalmente. Certo! Ci furono spesso scontri sanguinosi, ma tutto sommato la reciproca conoscenza fra genti lontane e diverse migliorò. Con l’adozione delle innovazioni tecniche e dei prodotti messi a punto nella steppa come la staffa, i cavalli da corsa e da guerra, il basto e gli arcieri montati con indosso i pantaloni etc. il potenziale militare dell'Occidente pure aumentò contribuendo alla preparazione delle Crociate e al successivo colonialismo europeo!

Altra importante apertura, stavolta favorevole specialmente per l'economia delle regioni nordiche, si ebbe nelle nuove e finora insperate possibilità di sfruttare risorse forestali di cui la cultura materiale aveva estremo bisogno dopo la deforestazione fanatica e continuata dei secoli precedenti.

Né possiamo dimenticare che i barbari sotto i nomi collettivi di Goti, Slavi o Turchi (e ora diventati nuovi europei) non erano essi stessi neppure omogenei dal punto di vista etnico-culturale e la steppa, da dove venivano e sulla quale la nostra storia è in gran parte focalizzata, era il mondo in cui le fusioni o le separazioni di genti e di lingue diverse erano frequentissime.

Su una carta geografica (il viaggio con Google Earth è troppo affascinante!) che ci permetta di abbracciare con lo sguardo la Pianura Nordorientale Europea (detta Bassopiano Sarmatico con termine ambiguo che risale a una toponomastica elitaria polacca e slavofila del secolo XIX) notiamo subito nel sud la fascia di terra coperta di erba, ma quasi senza alberi. E' l'ultimo tratto occidentale della Grande Steppa Eurasiatica, dove era diffuso il nomadismo .

Teatro di storie ignorate fino a tempi recenti, è rimasto il luogo abitato da comunità umane coloratissime che hanno esercitato tali e tante influenze fisiche e antropiche le une sulle altre che rilevare queste influenze, farle conoscere e infine globalizzarle è ormai indispensabile. Proprio in ciò salta agli occhi il ruolo speciale di cui parlavamo prima di attiva mediatrice di civiltà della Pianura (la chiameremo così per semplicità) e della sua steppa. Abitata oggi da genti slavo-russe in grande maggioranza, nel passato, nel Medioevo in particolare, la composizione e i numeri però erano assai diversi. Occorre chiedersi che cosa sappiamo di quelle genti e qual è la loro storia purché, al di là della predominanza slavo-russa, si accetti da subito la realtà di una diffusa multietnicità! E' un aspetto che non va assolutamente messo da parte in quanto aggettivi come “russo”, “ucraino”, “bulgaro” etc. hanno un valore storico improprio, se vediamo che popoli e lingue definiti ai quali attribuirli senza esitazione, fino al XII-XIII sec. non c'erano.

Sarebbe inoltre insensato lasciar credere al laico non agguerrito che la Pianura sia solo uno spazio abitato da uomini senza una storia pregressa per cui noi proponiamo l'equazione Storia della Pianura = Medioevo Russo e vedremo di spiegarla, almeno in parte, con quanto racconteremo, pur sapendo di usare termini di comodo.

Le fonti scritte esterne a partire dal IX sec. in poi (più avanti sarà chiaro perché partiamo da questo secolo) non sono tante e le possiamo dividere in due categorie sommarie: le osservazioni degli autori musulmani e le fonti romee (preferiamo romeo a bizantino).

Le fonti interne al contrario sono le Cronache Russe redatte dai monaci ortodossi intorno al XI-XII sec. Costoro avendo soprattutto intenti religiosi vagano alla spasmodica ricerca del miracoloso negli eventi e nei personaggi e le loro informazioni sono sovente alterate da questa obliqua visione. Per esempio ci suggeriscono l'idea che la Rus di Kiev, un'instabile federazione di città-fortini sotto l'egida di un’élite mista slava-svedese-cazara in eterna lotta col mondo della steppa e con quello della foresta, sia stato il primo vero stato della Pianura ! Addirittura Kiev stessa avrebbe ricevuto una missione statale santa da sant'Andrea per cristianizzare i popoli della Pianura e pertanto ogni altro stato anteriore o contemporaneo alla Rus di Kiev“non poteva far storia”. Se si va più in profondo, si viene a sapere che la storiella di sant'Andrea è un'interpolazione molto più tarda rispetto alle prime Cronache ! In breve tale costrutto ha poco o nessun senso poiché, senza retrocedere troppo nel tempo, nella steppa era già nato e aveva raggiunto grande rilievo politico e culturale al volgere del IX sec. l' Impero Cazaro la cui élite, messo da canto il Paganesimo, era ora giudea e collaborava ove possibile con l'Impero Cristiano... E Kiev? Un posto di guardia sul Dnepr al servizio dei detti Cazari!

E l' Impero Cazaro non era l'unico degli stati lì presenti! C'era la Bulgaria del Volga di altrettanta levatura che si materializzò letteralmente verso il IX sec. sulle ambitissime risorse esistenti in loco e coinvolse nella sua evoluzione le etnie del nord estremo: slave, baltiche e ugro-finniche, tenendo in stallo le Mafie variago-svedesi che usavano il ferro e il fuoco intorno a loro.

Siccome siamo convinti che senza gli “eventi bulgari” non esisterebbe il Medioevo Russo, il presente lavoro nasce (e soffre!) dalla carenza di scritti a proposito delle realtà politiche del Volga: Cazari, Bulgari e Ugro-Finni in special modo . Sappiamo bene che nominando la Bulgaria oggi lo sguardo si volge ai Balcani e al Danubio dove c’è lo stato bulgaro-slavo fondato dai Turchi bulgari, ma non è ad essa che ci riferiamo. La nostra Bulgaria, se non la si trova sulla carta aggiornata della Federazione Russa, non c’è mai stata neanche nell’URSS! Eppure nel secolo scorso si costituirono partiti bulgaristi a Kazan (capitale del Tatarstan) e a Čeboksary (capitale della Ciuvascia) e ciascun esponente s'adoperò con vari tentativi per ripristinare (da un punto di vista storico e geografico del tutto legittimo) la Bulgaria del Volga come stato confederale sovietico! Soffermarci però su delle lotte politiche che ancor oggi riemergono non è il nostro compito e qui ci limitiamo a constatare che la soluzione salomonica dei litigi, pericolosi per l’ideologia socialista sovietica anti-nazionalista, fu di porre fine alle dispute inventando un Tatarstan e una Ciuvascia.

I Tatari tuttavia non sono un'etnia inventata, ma l'aggettivo è improprio come lo è russo e forse anche ciuvascio. Ne parleremo meglio più avanti mentre ora ricordiamo che ai tempi di Basilio II di Mosca, bisnonno di Giovanni IV (ossia Ivan – detto con una traduzione sbagliata – il Terribile), erano tatari i maggiorenti della corte e abitavano nel Cremlino e che, addirittura, i moscoviti erano per certo bilingui. E' persino possibile che il sogno di Ivan fosse diventare lui stesso un eroe emulo di Cinghis Khan e in un momento di crisi profonda non esitasse a abdicare (soltanto per l'anno 1575-76, beninteso!) a favore di un purosangue tataro e di discendenza cinghiscanide a nome Simeone Bekbulatovič !

La questione tatara è complicata dalla religione islamica e fu usata nelle imposizioni ideologiche dall'imperialismo moscovita e nelle malversazioni dello stalinismo. Nasceva dalle informazioni tramandate da Rašid ed-Din Tabib sui Turchi nel XIV sec. e, dacché questo ebreo convertito all'Islam operò in maniera troppo faziosa e propagandistica una cernita dei documenti da pubblicare, la sua definizione di “Tatari” già allora suscitò dubbi e discussioni. A noi qui basta dire che “tataro” fu attribuito dai cinesi come generico etnonimo alle armate cinghiscanidi in marcia per la conquista del mondo. Il nuovo stato tataro-mongolo dell' Ulus Jöči (o Orda d’Oro) incorporò la Bulgaria del Volga eleggendo Bulgar a sua capitale provvisoria, ma relegandola in un destino periferico. Quando poi la capitale della nuova potenza tatara fu stabilita più a valle a Sarai Batu, la capitale della regione bulgara diventò Kazan e la Bulgaria del Volga cambiò di nome e fu nota agli europei come Terra Tartara o Tartaria. Successivamente Mosca, nel proclamarsi restauratrice e erede unica della Rus di Kiev, si annetterà Kazan nel XVI sec. e cancellerà ogni ricordo bulgaro e a questo punto pure il Medioevo Russo terminerà!

Noi ci siamo fissati dei limiti cronologici che vanno dalla fondazione della prima capitale bulgara , ca. IX sec. d.C., giù fino al XIII sec. e entro questi limiti tenteremo di ripristinare una sequela di vicende plausibili.

L'elemento geografico-storico che apparirà spesso è il Volga perché era (ed è!) la “strada fluviale” più frequentata e più nota della Pianura e perché sulle sue acque nasce e si culla la prosperità dei Bulgari. Volga è il nome dato alla corrente nel passato da chi veniva dal nordovest ed era valido fino alle confluenze con l 'Okà (a destra) e col Kama (a sinistra) e solo dal momento in cui prevalse ufficialmente Volga per l'intero corso a cominciare dal Valdai, dove si trova la sorgente ufficiale, fino alla foce diventò il più grande fiume d'Europa. L'etimologia forse è dall'estone Valge, bianco, che ne indica la posizione geografica a sud piuttosto che il colore delle acque e di qui sarebbe passato nel russo al posto di un antico idronimo precedente Ra.

Per gli Udmurti ugro-finnici la corrente maggiore rimane il Kama che sgorga dagli Urali e che, dopo la confluenza col Volga, si chiama Badžym Kam ossia Grande Kama... fino alla foce ! Ciò non significa che s'ignori l'esistenza della corrente gemella a nordovest . Anzi! La chiamano Yulg, parola d'origine bulgara che vuol dire... corrente minore ! Nome giusto, se si pensa che il bacino del Kama ha un'area di ben mezzo milione di kmq ed è più grande del bacino del Volga... almeno fin qui.

Per i Bulgari il Volga è il Grande Fiume o Idi El o Idel che, a seconda del dialetto, più a valle diventa Itil/Adil/Atil. Il Kama invece è Čulmàn Idel e il tratto del Volga dalla confluenza con l'Okà al Kama si chiama Kara Idel o Grande Fiume Settentrionale.

Niccolò e Matteo Polo (XIII sec.) traghettarono il Volga più a valle e furono colpiti dalla sua ampiezza. Lo paragonarono al Tigri che conoscevano meglio e lo abbinarono perciò ai quattro fiumi del Paradiso Terrestre.

Giosafat Barbaro, francescano veneziano che abitava a Tana presso la foce del Don nel XV sec., al contrario lo conosceva meglio e col nome di Edil (nell'originale suo Viaggio a Tana del 1437 si legge Ledil ossia L'Edil senza l'apostrofo).

Attenzione! Non abbiamo snocciolato una serie di nomi dati da qualcuno all’acqua che scorre, ma elencato dei veri punti di vista geopolitici giacché qui si parla di tratti di fiume che occorre distinguere uno per uno, se si vuole un controllo sulle diverse genti che qui e là abitano per una gestione accurata dei traffici. E la navigazione sicura stava a fondamento d'ogni politica economica d'uno stato della Pianura e non fu mai un compito semplice per i diversi regimi succedutisi. Dal VII sec. s'imposero i Cazari con i loro posti daziari istituiti sull'intero Basso Volga (e sul Don) che strozzavano i traffici in tutte le direzioni. In seguito la faccenda si complicò ulteriormente con i Tataro-mongoli nel XIII sec. che subentrarono al dominio cazaro fino al XVI sec. Quando a loro successe Mosca , la questione si risolse con la forza costringendo Bulgari, Slavi e Ugro-Finni a vivere in un unico stato “russificato”. Le rive si disseminarono di fortini e città russe e ortodosse e, per obliterare storia e cultura degli “eretici” non russi, si arrivò ad usare le lapidi dei cimiteri islamici per pavimentare le strade o per costruire le chiese. Per di più in maniera dispregiativa si disse tataro ogni suddito musulmano dell’Impero Russo non solo lungo il Volga, ma pure chi abitasse al di là degli Urali!

Nomadi e sedentari, Tatari e Mongoli, Bulgari, Cazari, Russi, Ugri e Finni erano davvero delle etnie con abitudini e costumi talmente contrastanti da impedirne la coabitazione? Non ci risulta che gli stati sorti nella Pianura fossero ingovernabili per la loro multietnicità, ma al contrario i problemi sorgevano perché le élites volevano un'omogeneità per governare meglio. Se d'altronde le genti “non russe” sono riuscite a conservare la propria individualità nelle stesse sedi da loro occupate per secoli (a nord e a sudest di Mosca) malgrado l’oppressione delle dinastie imperiali succedutesi, ciò vuol dire che il contributo alla cultura della Pianura non s'è mai interrotto e che è ancora magnificamente fruibile nella sua varietà.

Perché lo diciamo? La ragione è che gli storici d'educazione eurocentrica, russi e ucraini, spesso negano un seppur parziale ruolo innovativo della steppa sulla civiltà sedentaria agricola di cui si vantano di far parte e ci assicurano che dai nomadi è venuta solo devastazione e distruzione e sempre dal lato asiatico! Ci chiediamo: E' possibile che genericamente si parli di acculturazione dei nomadi nelle società sedentarie e mai del contrario? E in che cosa si distinguerebbe il nomade dal sedentario dal punto di vista fisico-strutturale? Il nomadismo è un tipo di cultura o solo un tipo di razzismo inventato dai “non nomadi”?

I. Lebedynsky, storico franco-ucraino, per il passato più antico dice meglio che: “All’inizio del primo millennio a.C. l’intera e immensa steppa eurasiatica fra il delta del Danubio e la Cina settentrionale conosce una rivoluzione culturale profonda: L'apparizione del nomadismo pastorale, sotto la forma che doveva diventare classica in quelle regioni e costituire il modo di vivere dominante fino all’epoca moderna. Questo cambiamento è opera di popolazioni precedentemente sedentarie che, dopo aver accordato un posto crescente nella loro economia all’allevamento, passano al nomadismo per meglio sfruttare lo spazio steppico.” e ancora continua: “Il nomadismo nelle steppe eurasiatiche non è una sopravvivenza arcaica o un ritardo evolutivo, ma un adattamento all’ambiente o, più esattamente, ad un modo come sfruttarlo.”

Tenendo a mente ciò, iniziamo il nostro viaggio nella steppa, recandoci a sud verso il Caspio, il Caucaso e il Mar Nero. Dal punto di vista antropico l’area è notevole, lo ribadiamo, per la sua intricatissima stratificazione etnica. Ciò pone un problema in più giacché col passar del tempo e con l’avvicendarsi di popoli diversi su uno stesso territorio è difficile individuare tracce sicure per stabilire e dedurre reciproche interazioni. I popoli turchi e iranici (ma pure slavi!) che oggi sono qui, ad esempio, non si trovano in patria da molto tempo, ma sono venuti da poco (meno di un millennio) e la steppa eurasiatica è sicuramente uno dei loro luoghi d’origine (vedi i Calmucchi!).

Siccome però sappiamo che la sussistenza è fondata in primo luogo sull’agricoltura, poi sull’allevamento del bestiame e infine sulla raccolta di prodotti nella foresta (più caccia e pesca), ciò vuol dire che le genti che qui hanno sostato abbastanza a lungo hanno dovuto cercare/creare culture nuove per adattarsi alle vicissitudini climatiche locali, pena il loro disfacimento.

L’alternarsi delle stagioni, la qualità variabile del terreno coltivabile e dei pascoli, l’insolazione e le temperature circadiane, le piogge con i loro ritmi annuali, etc. sono un insieme di fattori (alcuni di minor incidenza storica) che condizionano pesantemente l’esistenza dell’uomo e degli esseri che vivono con lui in simbiosi sia come prede libere sia come bestie d’allevamento poiché è l’ambiente nella sua interezza che mette le risorse alimentari di base a seconda di come è andata l’annata climatica a disposizione dei suoi consumatori! Non solo! Nella steppa si sente, nel vero senso della parola, il vincolo climatico molto di più che in altri ecosistemi. E, siccome il variare climatico sconvolge gli eventi storici dettando tutte le condizioni per favorire o per scoraggiare insediamenti, spostamenti e vita di relazione, ecco che qui si nota come l'uomo non possa far molto per mantenere un ambiente costante e ripetitivo in maniera da legarlo ai propri bisogni. Il clima insomma nei termini umani più brevi, forgia il carattere individuale e, nei termini storici più lunghi, il destino di intere civiltà. Nella steppa si è costretti persino a lotte fratricide e a migrazioni a volte bibliche per sopravvivere! Ciò non favorisce lo sviluppo della cultura scritta o del monumento materiale ed è un guaio giacché i ricordi diventano folclore e le leggende pretendono di essere “la storia”.

Sulla relazione clima-uomo-fauna-flora-steppa nel 1963 una spedizione dell’Università di San Pietroburgo (allora Leningrado), condotta da L. N. Gumiliòv lungo le rive del Volga e la costa settentrionale del Caspio, mise in chiara evidenza come gli aspetti climatici dipendessero dalle forze cicloniche che si generavano a una decina di migliaia di km sull'Atlantico e come esse avessero influito e lasciato tracce delle loro interazioni nella steppa russa e nei suoi abitanti. La spedizione multidisciplinare si proponeva di provare, e lo provò, che una civiltà intera, l’ Impero Cazaro, aveva dovuto cedere e soccombere ad un’aberrazione del clima non più favorevole. Queste esperienze scientifiche saranno alla base del nostro intero racconto sui Bulgari…

La Grande Steppa (come la chiamava Gumiliòv) la divideremo in una parte più asiatica e in una più europea. Per quanto riguarda quest'ultima che più c'interessa, essa si situa fra il 52.mo e il 48.mo parallelo Nord e si estende dal 60.mo fino al 15.mo meridiano Est cioè dagli Urali al Danubio fin nell'Ungheria dove è detta puszta (leggi pùsta !). E' uno spazio talmente enorme sul quale sarebbe ingenuo aspettarsi un clima unico dominante ed è più logico al contrario prender nota di una serie di situazioni microclimatiche regionali abbastanza distinte seppur mutanti nel lungo periodo.

Le piante colonizzatrici mostrano meglio di altri esseri viventi il loro adattamento al clima e non soltanto ai fattori ambientali del soprasuolo, ma anche alla composizione (edàfica) del sottosuolo e lo mostrano nei colori e nelle specie tipiche.

Se pensiamo inoltre che alcune genti della Pianura uscivano dal più maestoso ambiente della foresta a nord per entrare nella steppa (XI sec.), la loro prima impressione sarà stata di grande meraviglia nell'imbattersi in una vegetazione tanto diversa da quella finora nota e la cui altezza media non andava oltre il ginocchio: Un mare d’erba ondeggiante, verdissima nella buona stagione e mestamente secca con i primi freddi allorché passava al marrone scuro… C'erano pure le genti del Volga che “assaggiavano” la steppa sotto il suo aspetto di di steppa alberata o liesostiep'...

La steppa europea inizia comunque dagli Urali. Segue il fiume Ural (l'antico Yàik) e diventa palude nella Depressione Caspica (-28 m sotto il livello del mare) inglobando il bacino inferiore del Volga. Più avanti verso Occidente ingloba anche quello del Don, del Terek e del Kuban ormai nell’Anticaucaso. Qui siamo sulle rive del Mare d’Azov e del Mar Nero (Ponto Eussino per i greci) e ci avviciniamo (verso il nord) a città storicamente importanti come Černìgov e Kiev. Molti sono i fiumi che “tagliano” la steppa nel senso nord-sud e possiamo enumerare i maggiori partendo dal Don: il Dnepr, il Bug e il Dnestr che sfociano nel Mar Nero mentre il Prut e il Siret affluiscono da sinistra nel Danubio.

L’inverno qui (ancor oggi) termina ad aprile-maggio ed è di solito molto freddo con picchi fino a –5 °C mentre, al contrario, l’estate è caldissima con picchi fino a +30 °C. I problemi si creano però, a parte la stagione, quando d’estate ci sono improvvisi e inaspettati cali di temperatura con escursioni di ben 20-25 gradi. Le piogge cadono nei primi mesi dell’estate per cessare del tutto prima della fine del ciclo stagionale estivo e verso la fine di settembre si finisce nella siccità quando la vegetazione secca inesorabilmente. Se qualche pioggia cade ancora, è sotto forma di acquazzoni improvvisi la cui umidità evapora rapidamente dalla superficie fogliare senza impregnare il suolo. L’esigua isoieta media annuale è purtroppo soltanto di 500 mm! I cicli climatici annuali, ahimè, non scivolano dolcemente l’uno nell’altro come nei climi mediterranei più miti, ma sono netti e improvvisi finché l’intera steppa non va in quiescenza. Per di più il tappeto verde nonostante la vegetazione sia bassa (ancora godibile in Crimea) fa da spartivento fra il nord e il sud della Pianura e si oppone alle correnti d’aria calda che raso terra scivolano dalle consistenti (ma insufficienti per le colture dal punto di vista termostatico) distese d’acqua del Mar Nero, del Caspio e del Mare d’Azov, generando delle zone intermedie semidesertiche. Dagli studi climatologici sovietici e post-sovietici, americani e di altri si può dire schematizzando che il clima attuale non dovrebbe essere molto dissimile da quello di 1000 anni fa giacché le mutazioni sono state molto lente rispetto alla vita e alle cadenze umane. E così alla fine la steppa ucraina è rimasta un enorme spazio d'erba, a parte il tentativo d'un romantico signore tedesco che nel secolo scorso ne ha voluto conservare un “pezzo originario” con piante e animali nell'oasi di Ascania Nova. Malgrado le strade che l'attraversano con filari di pioppi che trillano e si piegano nel vento o le coltivazioni di tulipani dei Calmucchi, risponde ancora (quasi) pienamente alla descrizione di Ibn Battuta nel XIV sec.: “... da un paese all'altro è coperta d'erba ed è fertile, ma non ci sono alberi. In tutta la sua estensione non si trova né una montagna né una collina, né una costruzione né legna da ardere...”

La foresta boreale s'affaccia già dai Carpazi e dai Balcani, massicci montagnosi coperti d'alberi che dividono i bacini del Dnepr, Dnestr e Danubio dalla parte sud e da quelli della Vistola, dell’Elba e dell’Oder dalla parte nord. Allungandosi praticamente fin presso le rive del Mar Nero, i monti sono un collo di bottiglia per le migrazioni umane. Al confine fra Ungheria e Ucraina ci sono passi di montagna dove è possibile s'incontrano resti di genti che non passarono mai al di là e che oggi vivono lungo i declivi con proprie lingue (molte di ceppo turco) e costumi caratteristici propri.

Lasciando i monti dietro di noi e proseguendo fra gli alberi della Transilvania, entriamo ora nella Mitteleuropa cosiddetta dove una barriera, politica più che storica, è stata fissata artificiosamente fino alle rive del Baltico fra Slavi Occidentali e Slavi Orientali, fra Polacchi e Bielorussi lungo un affluente di destra della Vistola, il Bug, (omonimo dell’altro nominato prima perché creduto sgorgare dalle stesse sorgenti). E qui siamo ormai nel fitto della Foresta Boreale Europea con polle gorgoglianti dal suolo da cui scaturiscono ruscelli e fiumi numerosi che col loro lento corso – in una pianura quasi priva di accentuate pendenze – indugiano in piccoli e grandi laghi, paludi e marcite o confluiscono gli uni negli altri in correnti di maggior portata. L’area più tipica oggi è il complesso dei Laghi Masuri nel bacino della Vistola e il bacino del Pripiat (affluente di destra del Dnepr) a nordovest di Kiev. La Palude del Pripiat e i Laghi Masuri sono territori contigui molto simili che trasformano Polonia e Bielorussia meridionale in una delle più grandi distese paludose del mondo (ca. 150 mila kmq!).

La vegetazione arborea è densa, perlopiù a latifoglie che più a nord passa ad aghifoglie e che nel remoto passato (ca. 6500 a.C.) copriva l'intera Europa, ben oltre i Balcani, fino al Reno e all'Adriatico. Oggi la foresta si conserva per l’85% fra Germania, Polonia, Bielorussia e Russia e si confonde con la taigà siberiana. E' fitta nella Pianura fin sotto gli Urali, ma cambia in tundra man mano che si “sale” verso il Mar Glaciale Artico. Questo mare per la sua posizione oltre il Circolo Polare con sei mesi senza sole fu chiamato Mare dell’Oscurità (Morie Mraka) o anche Mare che respira (Dyšajuščeie Morie) per le sue spettacolari maree! Ebbe (ed ha) un gran ruolo nella vita dei popoli del Nord più estremo che vivono nel bacino del Peciora, altro grande fiume della Pianura che sfocia nell'Artico!

Ritorniamo ora verso sud. Per far ciò da qui abbiamo un’ampia scelta di vie d’acqua, badando di lasciare ad est i Monti Urali sui bordi più esterni. Sono la continuazione geologica dell’arcipelago della Terranova Russa (Nòvaia Ziemlià) distesa di traverso nel Mar Glaciale Artico e sfilano in direzione nord-sud più o meno lungo il 60.mo meridiano Est di Greenwich. Non sono troppo alti (i picchi non oltrepassano i 1800 m) in passato erano chiamati i Sassi o in russo Kamen per le loro miniere e che, costituendo comunque una barriera per l’aria umida fredda che soffia dal Polo Nord incontrando l’Anticiclone delle Azzorre, incanala il gelo verso sud.

Rilievi ne esistono in Bielorussia, a Grande Novgorod o non lontano da Mosca, ma sono colline di altezza irrilevante (sotto i 400 m s.l.m.) che non pongono seri ostacoli al gelido soffio che governa in superficie il bello e il cattivo tempo! L’umidità cade da queste parti in abbondanza, ma quasi sempre sotto forma di neve e copre la superficie coltivabile per troppo lungo tempo.

A qualche migliaio di km dalle rive del Caspio gli Urali s’interrompono, lasciando che il corso dell’Ural (le cui sorgenti si trovano proprio nella parte meridionale della catena montagnosa) completi la linea di confine formale della Pianura con l'Asia.

Attraversiamo ora la zona desertica che divide l'Ural dal Volga – i due fiumi scorrono quasi paralleli – e risaliamo lungo la riva sinistra fino alle fertili Terre Nere o Černoziòm dove la foresta si mescola con la steppa diventando boscosa (decidua) o liesostiep. Qui troviamo immediatamente Bulgar sul Volga e navigando un po' più a valle, Samara.

Le acque sul grande fiume sono rapide mentre scorrono verso sud e a diventano volte tumultuose in un paio d'anse dove aggirano i bassi massicci arenosi detti Iar prima di formare le “correnti parallele”. Il fiume “sta già scivolando” verso il Caspio dove ormai s'abbasserà ad una quota al di sotto del livello del mare nella Depressione Caspica. Qui si fraziona in più bracci a raggiera (le Cronache Russe ne conteranno quasi 70!) formando l'amplissimo e impenetrabile delta sul quale da qualche parte sorgeva una volta Itil, la capitale cazara più famosa, e, più a nord, Saksin Bulgar dei Tataro-mongoli! Naturalmente la descrizione fin qui fatta è molto incerta, se volessimo dei riscontri nel presente, perché il paesaggio è molto cambiato per i lavori fatti negli anni '50 nel XX sec. allo scopo di rendere il grande fiume e i suoi affluenti navigabili alle navi moderne.

Il Volga alimenta con la sua portata il Mar Caspio, il più grande lago del mondo, per l'80% senza contare l’Ural e le altre correnti minori. Per questo diventa un problema per l’uomo e per le sue attività, se la sua portata varia a causa della quantità di neve che si è sciolta o non si è sciolta più a monte. Ciò provoca le cosiddette trasgressioni e regressioni cioè delle oscillazioni del livello delle acque caspiche (spesso lente da durare decenni) simili alle sesse dei laghi alpini. Le acque decrescono e lasciano libera la terra fertilizzata dal limo apportato o crescono e sommergono tutto! Nel passato, se da un lato si poteva coltivare il riso in piano o la vite lungo i declivi del Caucaso, dall’altro, allorché l’acqua accennava a salire, i contadini dovevano abbandonare dighe, campagne e città e... migrare!

Né dobbiamo dimenticare l'influenza del Caucaso sul clima locale. Il massiccio montuoso si allunga più o meno in diagonale fra i paralleli 40.mo e 45.mo Nord fra Baku, città situata a metà del Caspio, e Kerč (l’antica Samkerč/Tmutarakan), sul Mare d'Azov. Vanta cime oltre i 4000 m s.l.m. con i picchi più alti d’Europa e costituisce un'insormontabile barriera per l’aria fredda del nord che qui turbina lungo i declivi e provoca inverni freddissimi sul lato nord mentre protegge sul lato sud un clima dolcemente subtropicale della Georgia, dell'Abkhasia e dell'Armenia umidificato dalle nubi che si formano sul Caspio. La pioggia in primavera cade sul Kurà, il fiume delle città di Tbilisi e di Berda'a, anch'esso un rispettabile immissario del grande lago.

Se l'immensa distesa d'acqua caspica domina il sistema idrografico nella parte sud della Pianura e riesce a segnare il clima tipicamente, a sinistra (est) il regime è differente e rende nettamente diversa la parte asiatica della steppa. Gran parte di quest’ultima, dopo la fascia desertica che precede il mare-lago d’Aral, è “tagliata” in senso sud-nord anch'essa da grandi fiumi ricchi d’acqua e da laghi notevoli, naturalmente distribuiti su distanze molto maggiori che in Europa. Si trovano oasi, non grandi in verità, ma dove c'è erba fresca per transumanze relativamente brevi.

A questo punto però la nostra descrizione si ferma e, come è giusto, vediamo di sapere a grandi tratti che se ne pensava della steppa nel passato Medio Evo.

La storia russa, ad esempio, prevalentemente ambientata nell'ambiente forestale racconta di città fortificate da cui i principi dominavano i traffici commerciali e militari e dove i mercanti sostavano per la logistica e per pagare il transito. Si viaggiava per migliaia di chilometri in gruppi compatti e armati lungo i fiumi superando molte e pericolose cataratte nella bella stagione, ma che gelavano d’inverno benché il cammino con slitte e animali sulla superficie ghiacciata in parte continuasse. Si percorrevano lunghi tratti senza vedere abitati, ma non appena si scorgevano in lontananza le tende rotonde o si sentiva il nitrire dei cavalli, s’indovinava la presenza dei nomadi della steppa e qui, si era avvertiti, si poteva essere derubati, uccisi o venduti come schiavi da quei selvaggi abitanti.

Nell’Europa occidentale invece la steppa era conosciuta con aspetti un po' fantastici: Una distesa pianeggiante che consentiva al nomade, cavaliere aggressivo e attrezzato, di coprire grandi spazi in groppa al suo focoso cavallo in tempi brevissimi per assaltare l'inerme viandante o per assediare le città. Niente di più irreale! Rapidi attraversamenti non furono quasi mai intrapresi nella steppa perché il nomade allevatore (di cavalli di solito) non vagava a caso senza posa fra una pastura e l'altra né trascinava volentieri le proprie mandrie su grande distanze senza una meta, se non voleva vedere gli animali perire spossati. Le sue bestie erano allevate con rigorosi calcoli economici dovendole scambiare con prodotti alimentari e indispensabili arnesi. A questo scopo si cercavano dei contatti periodici col sedentario al quale ultimo un animale d'aiuto nei lavori dei campi o produttore di latticini già adulto e ben addestrato faceva assolutamente comodo.

Infine il mercante che la frequentava aveva una visione più pratica della steppa e dei suoi abitanti. Conosceva bene i modi di fare del nomade e negli spostamenti evitava di chiedergli una collaborazione tecnica quando si trattava di attraversare dei corsi d'acqua. Il pastore con gli armenti non era né un traghettatore né un costruttore di barche e non amava allontanarsi dai pascoli e alla fine i capi-carovana dovevano cercarsi i guadi da soli. Di qui l'abitudine di fermarsi ogni qual volta che ci si imbatteva in un collega che veniva dall'opposta direzione. Non solo ci si salutava e si beveva insieme per scacciare ogni diffidenza, ma soprattutto ci si scambiava informazioni sulle condizioni delle vie lungo la rotta rispettiva e si concludeva sul momento, perché no?, qualche accordo commerciale prima di riprendere il cammino.

I Persiani/Sogdiani, dominatori e frequentatori del Centro Asia conoscevano bene l'ambiente che chiamavano dašt, per muoversi avevano preferito la misura delle distanze in parasanghe (farsakh) cioè con il tempo occorrente dall'alba al tramonto per percorrere col cammello carico (ca. 6 km/h) un percorso via terra. Su distanze prefissate si mantenevano servizi regolari di guardianaggio su gran parte del territorio steppico. C'erano delle poste a tappe (istituzione peraltro anche più antica) con una serie di caravanserragli (oggi visitabili, seppur a volte in rovina) dove i mercanti sostavano prima del calar del sole e che i nomadi potevano visitare quando volevano o attendere nelle vicinanze che un mercante (amico del capo nomade) andasse a far loro visita.

2. I bulgari: Tatari, Baškiri e Ciuvasci

Mettiamo da parte per un momento la steppa e, attenti a non abbandonare mai quel teatro che è il più vero per gli eventi che racconteremo, passiamo a una questione primaria estremamente intricata: Quali stirpi turcofone arrivarono per prime sul Medio Volga e quali dopo? Sarebbe infatti auspicabile per noi riuscire ad identificare una portatrice di identità bulgara che possa aver dato inizio alla storia nel Medio Volga. Partiamo allora dal fattore geografico che come elemento di base della metodica di ricerca impone una serie di condizioni: 1. La stirpe cercata deve trovarsi nel Medio Volga o nelle aree viciniori 2. Deve avere dei collegamenti spaziali e temporali ben riscontrabili (oggi oppure nel passato) con i luoghi che gli specialisti riconoscono per certo “bulgari” e 3. Che quei luoghi risultino dai documenti (scritti o archeologici) descrivibili come culle locali della stirpe che cerchiamo.

L'archeologia già dice che un'area bulgara inequivocabilmente è compresa fra i fiumi Sviyaga, Kama e i suoi affluenti più prossimi, ma allo stesso tempo si dimostra che è una cultura bulgara secondaria giacché quella primaria è esistita non qui, ma in qualche parte più a valle o in altri territori ancor più lontani nella steppa fra il Don e il Volga (a parte la Bulgaria del Danubio).

Ciononostante i dati che portano alla conclusione appena detta non sono stati tutti accertati uno per uno. Il materiale scritto è esiguo e oscuro e, da questa parte, sarebbe meglio dire che non si parla di Bulgari sul Medio Volga prima del IX-X sec. Fermarsi a una tale affermazione non è accettabile per il nostro intento e per le genti che qui tuttavia hanno vissuto ed operato e quindi abbiamo fatto la scelta di accontentarci della provvisorietà d'insieme dei dati finora raccolti e di avventurarci alla scoperta dei Bulgari fra delle ipotesi a nostro modo di vedere abbastanza plausibili, pur se a volte molto speculative, attualmente in circolazione.

Siamo partiti dagli studiosi locali fidando sulla loro passione ammirevole nel raccogliere quanto sia possibile trovare di scritto o di assimilabile a delle cronache e nell'analizzare il folclore “a base storica (racconti e alberi genealogici)” ancor vivo sul Medio Volga.

Abbiamo poi consultato i turcologi ungheresi, cercando di farne il miglior utilizzo, e finalmente i lavori di G.I. Tafaev, storico ciuvascio, di D.F. Madurov, anche lui ciuvascio, e di M.Z. Zakiev, filologo tataro, mentre per quanto riguarda l'archeologia ci siamo riferiti ai lavori di F.S. Khuzin, appassionato archeologo tataro, pur sapendo che costoro dibattono su sponde opposte ciascuno geloso della propria identità etnica.

L'aspetto “conflittuale” fra gli studiosi fa parte dei soliti dibattiti accademici, ma è indispensabile evitare le troppe speculazioni o malintesi sull’argomento eredità bulgara in ogni caso , specie nel Tatarstan e nelle repubbliche limitrofe con maggioranze/minoranze turcofone. La “bulgarità” infatti ha un'enorme risonanza politica oltre che storiografica giacché ogni repubblica ex sovietica dell'area del Medio Volga (uno dei Distretti Federali più importanti della Russia moderna) è alla ricerca delle proprie radici e discendere dai Bulgari è una questione d'orgoglio nazionale!

Ciò premesso, cominciamo la nostra indagine alla ricerca della stirpe bulgara partendo dalla facoltà distintiva principe della cultura umana che è la lingua articolata. Un idioma non scritto purtroppo lascia poche vestigia nel tempo e nei luoghi benché queste vestigia, preziosissime, a volte sono riconoscibili con grandissima fatica nelle parlate superstiti (persino non derivate da quella scomparsa!). Guai poi se la lingua in questione si è estinta del tutto perché allora le sue informazioni scompaiono davvero per sempre. Nel nostro caso abbiamo un po' di fortuna poiché più di una stirpe di quelle vissute a stretto contatto fra di loro (slave, baltiche, ugro-finniche e turche) fra il VII e il IX sec. vive ancora qui con la propria parlata più o meno modificata. E noi, sapendo a posteriori che il bulgaro è una lingua turca, è spontaneo cercare i Bulgari nelle etnie turcofone del Medio Volga. In tal maniera troviamo ben tre popoli abbastanza consistenti nel numero che si contendono l'onore di discendere dai Signori del Grande Fiume“almeno per la lingua”. Naturalmente occorre che si riuscisse a provare la filiazione più diretta dal bulgaro originario (protobulgaro) d'uno degli idiomi rispettivi: Tataro di Kazan, Ciuvascio e Baškiro. Soltanto così avremmo un fil rouge sulla bocca di testimoni vivi che, con la loro oralità, ci racconterebbero una loro storia bulgara. Sfortunatamente ciò è fattibile in piccola parte e in breve vedremo che cosa riusciamo a ricavare in questo campo di elementi utili.

Già nel IV-V sec. d.C. nel Ponto e nella Depressione Caspica (nella famosa Bersilia!) si parlava un turco che possiamo definire lingua bulgara antica. Essa si modifica successivamente e dal VII sec. la si potrebbe ridefinire bulgaro medio. Dopo il disfacimento dello stato bulgaro pontico o Grande Bulgaria, i Bulgari come portatori linguistici distinti spariscono e la scena tradizionale risulta più massicciamente occupata dai congeneri Cazari con una lingua che, notiamolo!, non è lontana dal bulgaro medio a detta dei testimoni contemporanei. Del bulgaro medio però non abbiamo riscontri scritti né nel Ponto né nell’area di nostro maggior interesse del Medio Volga. Quando appare Bulgar come centro commerciale, con una certa logicità si può dedurre che qui si parlasse il bulgaro medio portato dal Ponto e, da altri dati indiretti (e incerti), possiamo persino presumere che dovesse essere parlato in modo sparso come lingua veicolare, in concorrenza con le più numerose parlate ugro-finniche precedentemente presenti in loco.

Passa del tempo e nel XIII sec. ci sono i primi scontri sul Basso Volga con i cinghiscanidi giunti dall’Asia Centrale, alleati prima degli Alani pre-caspici (naturalmente vinti in battaglia) e poi dei Kipciaki e Oghuz della riva sinistra del Volga. Bulgar è attaccata e direttamente coinvolta nella prima vera guerra di conquista della Pianura, dato che l'Impero Cazaro è scomparso da tempo e la Rus' di Kiev è scompigliata. Nell’organizzazione militare (quella strettamente politica fa capo alla Mongolia) dell'invasore i veri Mongoli (Halka) sono ai vertici e, se da un lato i Noion, come si chiamano i generali mongoli, non sono più di 3-4 mila su un’armata di varie decine di migliaia, dall'altro i Kipciaki soprattutto ne sono l'etnia numericamente dominante trascinata nella conquista.

Dobbiamo anche chiarire che un po' di tempo prima dell’arrivo dell'invasore, per ragioni fisiche e ambientali, Bulgar sul Volga stava già perdendo parte del suo peso politico e al tempo dell'arrivo degli occupanti stranieri molti cittadini erano sfollati in una specie di villaggio sull'altra riva (destra) del Kama. Bulgaro di lingua e di cultura, per i nuovi arrivati, pur numerosi, costituì una residenza provvisoria finché non fu pronta una nuova città più a nord, Kazan, eletta a fortezza di confine. Restavano pur sempre gente turca rapidamente assimilabile nella compagine culturale esistente e non ci volle molto, forse qualche lustro, perché Bulgari locali e Kipciaki arrivati dal sudest alla fine diventassero un gruppo composito per provenienza, ma diventato omogeneo per lingua e per cultura ossia i Tatari di Kazan. D'altronde i Kipciaki non erano un'etnia compatta bensì un collettivo di gruppi di varia provenienza raccoltisi a sudest del Mar Caspio fra i quali il kipciako si usava come koiné fra gli altri idiomi presenti e per di più era pochissimo diversificato dal bulgaro. Di conseguenza si può pensare che a Kazan i bulgaro-parlanti non adeguarono la loro ad una lingua tanto diversa, ma arricchirono la propria e, se la lingua bulgara sembrò sparire, in realtà intervenne un processo sociolinguistico che vide in un primo momento la casta colta contrapposta a quella militare che gestiva il governo, ambedue col bulgaro medio sulle labbra. Non appena i due blocchi di potere accettarono lo stesso destino, cambiarono semplicemente il nome al loro idioma perché non lo si riconoscesse né come lingua dei conquistati né come quella dei conquistatori. E' un'evoluzione abbastanza normale e ben nota in molti altri casi nella storia dei popoli! Non ci sono però prove certe di un simile processo...

Noi oggi chiamiamo tataro perché ormai evoluto lungo linee proprie un idioma che nel 1923 lo storico M.G. Khudiakov faceva sapere essere parlato da “... una massa di musulmani (di Kazan) ancora ai nostri tempi ( che ) non si definiscono tatari, ma bulgari...”. E non è questa una prova che la bulgarità si era conservata nella tradizione della gente, tatara e non?

Per Mahmud al-Kašgari Tatar significa straniero e chi accetterebbe mai per sé e per la propria parlata un tale illogico nome, si chiede il filologo J. K. Begunov e nota che tatar è un nome/aggettivo di nazionalità messo in circolazione dai non-Bulgari, giacché nella realtà la lingua di Kazan è detta localmente saban

Riscontri della “nuova lingua tatara” restano in ogni caso le iscrizioni sulle lapidi tombali delle necropoli situate sulle due rive opposte del Kama cioè sulle steli di pietra entrate nell’uso funerario ad opera degli stessi Kipciaki al tempo del loro insediamento. Fortunatamente da una parte, per i glottologi e per i paleografi l'uso delle steli durò dal XIII sec. fino alla seconda metà del XIV sec. benché, sfortunatamente dall'altra, debba dirsi che la pietra usata per le lapidi purtroppo è tufacea e, esposta alle intemperie, perde rilievi e incisioni rendendo la lettura davvero laboriosissima pur sapendo che le formule lì incise sono pressapoco ripetute uguali all'infinito su tutte le lapidi.

Ritornando alle affermazioni di Begunov sorge pure un'altra complicanza: Saban è l' aratro (forse con un'etimologia popolare si vuole indicare la lingua dei contadini bulgari ?) ed è pure una possibile variante di Sabir cioè un altro nome dei Cazari (secondo al-Istakhri) e Sabir di Sever, etnonimo di una tribù turca migrata dal nord del Caspio verso il nordovest e poi slavizzata intorno al VII sec. e conosciuta dopo col nome di Severiani. E non solo! Sabir è una variante di Suwar e Suwar finisce in Suwaz ovvero Ciuvasci che molti degli studiosi eurocentrici con entusiasmo li dicono i veri discendenti dei Bulgari! E che sappiamo dei Ciuvasci e della loro lingua più antica? Nulla praticamente. Nelle Cronache Russe come etnia sono menzionati nel 1524 e nel 1551. La locale tradizione pretende che giungessero qui in tempi remotissimi dall'Anticaucaso dopo aver superato monti e fiumi e con le carte in regola per essere i primi Bulgari arrivati al nord usciti dalla compagine cazara.

Il ciuvascio denuncia uno sviluppo separato dal tataro ossia sembra peculiare di un ambiente forestale nel lessico, nella cultura e nelle credenze religiose conservate. E se il ciuvascio era parlato prima delle dette menzioni nelle Cronache, per le sue particolarità è più probabile che si sia sviluppato nell'ansa di Samara a contatto coi Burtasi o con altri ugro-finni più a valle prima di approdare qui nella zona di Bulgar capitale. Anzi! Presso Samara ci sono le rovine di un castello detto dei Murom (ugro-finni) che risale all'incirca al X sec. Potrebbe essere stato abitato dai Ciuvasci e dagli Ugro-finni insieme. Si potrebbe persino ipotizzare che gli Ugro-finni adottassero gli usi e la lingua turca dei nuovi venuti per collaborare al controllo del fiume. In tal caso saremmo di fronte a un ciuvascio “più antico” ossia a un bulgaro “ugro-finnizzato” già verso il IX-X sec. d.C.! E' una situazione anche questa tutta da provare e per il momento la speculazione non ci può essere d'alcun aiuto per la soluzione del problema eredità bulgara in senso ciuvascio . Eppure dei turcologi ungheresi e americani sono convinti che il ciuvascio fosse giusto la lingua dei Bulgari del Volga, benché manchino i riscontri storici delle origini e degli sviluppi di questa lingua e dei suoi portatori. Almeno gli argomenti portati da G.I. Tafaev per la bulgarità più originale della sua gente si rifanno soprattutto al folclore che, unico in verità!, è riuscito a tramandarci la storia del cammino ciuvascio per giungere nella sede nordica dove oggi si trova. E' un patrimonio folcloristico grandioso, è vero, quello indicato da Tafaev, ma richiede una registrazione accurata (peraltro solo parzialmente eseguita) e una più intensiva analisi di archeologia linguistica che potrebbe dare l'apporto giusto e provare, chissà, che il ciuvascio è il più vicino al bulgaro medio degli antenati.

Ciò non prova però che si sia conservata incontaminata l'identità culturale “bulgara pura” nei miti pagani e negli antichi riti con le divinità originarie, occultate dietro i santi cristiani quando i Ciuvasci presero il battesimo (v. J.J. Juvenal'ev, 2012).

Sulle lapidi di cui parlavamo sopra un ciuvascio antico è a mala pena riconoscibile e si fa distinguere e neppure in modo chiaro solo in poche di esse ! Senza troppi tecnicismi, il ciuvascio è un turco di tipo “r” (l'unico rimasto di questo tipo) diverso dal bulgaro medio che invece nelle forme in cui appare nelle steli più numerose è di tipo “z”. Di qui, se il ciuvascio fosse la figlia più giovane e più diretta del bulgaro medio, non è strano che negli epitaffi risulti tanto poco rappresentata, quando i bulgaro-parlanti a Kazan erano la quasi totalità fra il XIII e il XIV sec.?

Altri resti documentari, oltre alle famigerate steli funerarie, ad ogni buon conto sono persino più incerti nella lettura e M. Z. Zakiev, che ha preso in esame anche scritte varie su pochi oggetti recuperati negli scavi nel Medio Volga, insiste sul fatto che una “filiazione linguistica” dal bulgaro medio si sarebbe realizzata in loco nel tataro di Kazan e che è inutile cercare altrove.

Ma possiamo diseredare i Baškiri (meglio Baškort) della loro “bulgarità” solo perché per al-Idrisi e Ibn Fadhlan erano un'etnia selvaggia e guerriera? Non si può evitare di notare che, per le regole fonetiche del turco antico, la -š- viene da una -l- originaria e che nell'etnonimo Baškir dà perciò Balkort ossia Bulgart...

Al-Balkhi al principio del X sec. d.C. individuò i Baškiri già divisi in due tronconi, uno sul Medio Volga inferiore e l'altro più a sud, quasi rimasti indietro nella marcia bulgara verso nord. Il primo gruppo, dice l'autore, è soggetto a Bulgar... Purtroppo pure delle migrazioni dei Baškiri prima del XIV sec. sappiamo poco e in più il collegamento coi Bulgari è inquinato “linguisticamente” dal troncone meridionale dei Magiari-ungheresi che deve essere pure spiegato. Il legame bulgaro-baškiro probabilmente era sospettato da al-Istakhri allorché avverte che Bulgari e Cazari sono stirpi sorelle poiché parlano la stessa lingua (turco “z”), ma, attenzione!, non include nella parentela i Baškiri.

Al contrario Mahmud al-Kašgari mette il baškiro vicino al turco dei Iemaki (Kimeki-Kipciaki) e costui è il più tecnico fra tutti e perciò il più preciso e affidabile. Dice che la lingua dei Bulgari, dei Suwar (Ciuvascio?) e dei Peceneghi è un “turco puro con finali monche” sebbene quest'ultima peculiarità, mancando le sue grammatiche turche andate momentaneamente perdute, resti per ora incomprensibile. Le quartine che questo autore riporta dove si parla del Grande Fiume pure sono di dubbia valutazione quanto a distinguere il bulgaro da altre parlate turche.

Al-Biruni (XI sec.) dice semplicemente che i Bulgari parlano una lingua che è “mescolanza di turco e cazaro”! E questo è anche interessante perché il cazaro ha pure avuto una parte nella formazione non solo del tataro di Kazan, ma anche delle altre parlate turche dell'area intorno a Bulgar...

Avvertiamo che gli osservatori musulmani medievali di solito erano esperti poliglotti oltre che attentissimi studiosi dei costumi altrui, ma è evidente che qualcuno di loro non era andato a fondo nella questione “parentela linguistica” e non aveva studiato le varianti storiche della pronuncia turca.

In conclusione molte sono le ipotesi plausibili che si fanno su chi siano gli ascendenti e gli epigoni dell'antica Bulgar, partendo unicamente dai confronti linguistici. Non sempre e non tutte le ipotesi corrispondono ai risultati offerti dalle diverse discipline impiegate sul campo insieme con l'archeologia linguistica, a partire dalla numismatica e dalla toponomastica e per finire con la paleografia.

Insomma dalle sole indagini linguistiche è estremamente difficile trovare la dritta e ci tocca tornare all'archeologia. Ci sono però anche qui dei problemi che rendono il lavoro interpretativo per lo storico arduo giacché gli archeologi non riescono ad individuare con chiarezza una cultura bulgara... distinta come tale dalle altre che negli scavi lungo il Volga e nelle aree preuraliche vengono contemporaneamente alla luce! Come mai? In particolare c'è una serie di impedimenti che affaticano l'archeologo. A partire dalla natura del terreno nell'area del Volga-Kama che è paludosa e incerta per i frequenti cambiamenti di alveo dei fiumi per giungere all'uso prevalente nel passato di materiali come il legno che deperiscono rapidamente nel limo ricco di microorganismi o nelle zone forestali. Ecco che le suppellettili e gli oggetti d’uso e persino i resti delle costruzioni, allorché ci sono, risultano difficili da studiare e, nel caso peggiore, lo scavo rimane del tutto muto.

Tuttavia qualcosa di importante riusciamo a saperla e cioè che un “trasloco” di gruppi di famiglie verso il nord del Grande Fiume ebbe luogo ancora intorno al VIII-IX sec. Ma è sicuro che fossero i Bulgari a spostarsi visto che l'area sembra occupata da culture tanto affini fra di loro da non poterle differenziare? Vediamo un po'.

I Cazari verso l'VIII sec. si erano spostati sulla foce del Volga dopo varie tappe nella nuova capitale Itil avendo perso il controllo dell'Anticaucaso in cui alcune delle loro città in quel periodo erano andate distrutte o abbandonate. A causa di ciò per dar spazio ai Cazari, le cui tracce sicure contemporanee si trovano fin nella zona del Samara, occorreva mandare i Bulgari più a nord e, ancora, li si poteva usare per favorire i contatti con gli Ugro-finni fin nel profondo Nord presso il misterioso Mar Glaciale Artico. Perché? Sono gli anni in cui il traffico dei prodotti nordici (le pellicce!) stava rendendo sempre di più nelle tasche dei mercanti, a parte le guerre con gli Arabi, e perciò un'operazione di ristrutturazione dei posti di guardia sul fiume e dei contatti commerciali avrebbe dato molti vantaggi. Ci può essere stato per questa ragione uno scambio di accordi col Kaghan cazaro con l'affidamento ai Bulgari spinti verso il nord del Volga del mandato di mediatori coloniali nel Grande Nord per le questioni appena dette...

Spingere la gente a migrare è però un'operazione complicata e delicata e soltanto la concomitanza di più fattori può contribuire a convincere la gente a spostarsi. Uno di questi fattori venne in aiuto ai piani (chissà!) dei Cazari: Le acque caspiche stavano invadendo le coltivazioni e può darsi che i Bulgari fossero i più colpiti dal mutamento che stava subendo l'agricoltura tradizionale!

C'è però la possibilità che i Bulgari invece che dal Ponto o dal Basso Volga siano partiti da qualche sede più orientale transuralica e che la loro migrazione verso nord sia stata del tutto autonoma (e persino in contrasto coi Cazari) e che quei Bulgari non fossero soltanto discendenti delle genti al seguito di Kotrag, ma che fossero in gran parte turchi unitisi a Kotrag e che abbiano trascinato con loro i “parenti” (Oghuz-Kimeki) del Centro Asia.

Soltanto col regime sovietico sono state intraprese delle serie spedizioni archeologiche lungo il Grande Fiume che hanno scavato con metodi sempre più raffinati necropoli e siti abbandonati alla ricerca di questa verità. Ad est poi, nel Turkestan, s’è scavato fin nelle regioni limitrofe a nord della Cina e i numerosi reperti raccolti sono stati ormai quasi tutti classificati e pubblicati. Sebbene alcuni popoli, ora europei per geografia e per cultura, riconoscano le loro radici in quelle aree ormai diventate loro estranee (l'Asia Centrale!), per i Bulgari, lo ripetiamo con disdoro, non si trova nel terreno alcuna cultura nettamente tipica! Non esistono oggetti archeologici trovati lontano dal Grande Fiume (almeno finora, 2012) che si possano attribuire con certezza ad un’etnia bulgara… prima del X sec. d.C.! Si può solo ipotizzare con grande incertezza e su base squisitamente archeologica la loro presenza sul Medio Volga al più presto verso la fine del VI sec.

Ricordiamo qui gli sforzi di qualche autore medievale nel descrivere minuziosamente i tratti fisici dei Bulgari nobili del Danubio per evidenziarne i segni distintivi della stirpe nella forma del viso o nel colore degli occhi e dei capelli che li riportasse alla steppa asiatica. Le ricerche paleoantropologiche condotte finora, fra le tante incertezze sistematiche, hanno confermato però che un tipo fisico antico “puro e tipico bulgaro” nei fatti non c’è mai stato. Da questo punto di vista i Bulgari del Volga sono la somma e il prodotto di etnie diverse esistenti al di qua degli Urali fra le rive del Mar Caspio e del Mar Nero e, nel Medio Volga, fortemente mescolati con gli Ugro-finni incontrati nelle migrazioni verso sudest di questi ultimi. Malgrado ciò, fin negli angoli più recessi degli Urali è possibile riconoscere tracce “bulgare” lasciate in tempi antichi nella toponomastica specialmente e denuncianti delle frequentazioni molto antiche...

La vecchia storiografia eurocentrica assegnava ai Bulgari le radici nella steppa asiatica affondate nell' ethnos tataro che ebbe i suoi primi successi politici nella lontana Mongolia. Poco al di là degli Urali lo studioso bulgaro (del Danubio) P. Dobrev in una cronaca anonima latina del 345 d.C. infatti trovava una strana toponomastica in stretta relazione con la questione “provenienza transuralica” dei Bulgari . Il nostro autore ci informa che i declivi del Pamir e dell’Hindu-Kush erano chiamati dai Sogdiani Terra di B’lgar, dagli Arabi Terra di Burgar (ancora oggi in afghano Falgar o Palgar suonano con assonanza ciuvascia!). L’area è più o meno l’antica Bactriana non troppo lontana dal Volga né dalla Khoresmia con la quale ultima Bulgar ebbe contatti stretti e costanti. Intorno al Mare d’Aral esisteva persino il toponimo Balkh (senza però la desinenza -ar che in turco significa “uomo”).

A noi sembra perciò che non si possa negare, da un lato, la profonda antichità della gente bulgara su un'area sia un po' al di qua sia un po' al di là degli Urali e, dall’altro, che non si debba pensare necessariamente a massicce migrazioni dall’Asia Orientale senza aver prove a riguardo di gente bulgara.

Se rammentiamo la Cronaca Sira (documento giudicato molto affidabile dagli studiosi) dell’armeno Zaccaria Retore del VI sec., ricorderemo che l’autore nel XII capitolo in un elenco di popoli descrive per una prima volta i Bulgari e li colloca subito a nord di Derbent. Poche righe dopo li rinomina associati ai Kutriguri, ma già un po’ più spostati verso il nordest del Caucaso. Dice che sono barbari pagani con una loro propria lingua (rispetto all’armeno dell’autore, ma non alle altre parlate turche), che vivono in tende e si nutrono della carne degli animali e dei pesci, ma anche degli animali selvatici (non hanno animali addomesticati?). La menzione, finora ammessa come la più antica prima del riscontro di Dobrev, vede malgrado tutto i Bulgari al di qua degli Urali.

C’è chi ha sperato di raccogliere informazioni maggiori e più sicure dalle origini dell'etnonimo, ma è una questione molto controversa. Gli etnonimi dal Medio Volga in giù sono di vario genere, benché in prevalenza turchi ! Composti per la stragrande maggioranza su monosillabi, si somigliano spesso fra loro e sono portati persino da genti che di primo acchito sembrerebbero pure di ceppo indoeuropeo. Varia è la loro origine etimologica, come per tutti gli etnonimi del mondo. Talvolta si riferiscono all’apparenza fisica: uomini belli, gente dai capelli rossi e sim. o ai totem degli eponimi delle élites al potere: cane, leone, quercia e simili o al luogo dove la gente vive o da dove proviene: del fiume, del mare e simili e alcuni pochi si riferiscono persino alle attività tipiche della steppa: pastore, delle oasi, del cavallo.

In quale di queste categorie classificare bulgar come etnonimo? Il problema lo aveva creduto risolto in maniera univoca al-Garnati, dotto musulmano granadino in visita a Bulgar capitale nel 1150 d.C. ca., che scriveva : “Siccome una persona saggia è chiamata bul’ar, di conseguenza questa terra è chiamata Bul’ar cioè Terra dei Saggi e in arabo è stato trascritto Bulghar. Ho letto ciò nella Storia di Bulgar scritta dal giudice ( qadi ) bulgaro ( Yaqub ibn-Nu'man che al-Garnati conobbe di persona ) che aveva studiato con Abu ul-Masali Juwaini.”.

Studi recenti suggeriscano addirittura la radice verbale turca *bulğa- che vuol dire mettere in disordine o mescolare più l’affisso –ar, uomo come etimo più logico. Per il francese I. Lebedynsky più che saggi i Bulgari sarebbero dei ribelli o mestatori. Sempre della radice verbale detta per R. Grousset l'etnonimo è un gerundio in - ar e significa i mescolati e per il tedesco M. Vassmer i Bulgari sono giusto dei meticci ! Il filologo tataro M. Z. Zakiev predilige invece gli etimi che portano a gente del fiume o, in una possibile variante biler/bailar, a gente ricca, abbiente, più vicino al bul’ar di al-Garnati e al titolo bulgi-tsi cioè governatore che compare nella famosa Lettera del giudeo Cazaro (Documento di Cambridge) al quale forse si riallaccia pure Yaqub ibn-Nu'man per il significato passato a al-Garnati.

Sommando tutte queste elucubrazioni, noi siamo per dare più ragione a al-Garnati e ci pare d'aver trovato conferma della sua etimologia di b'lgar nel fatto che gli stessi missionari manichei per convertire i turchi uiguri intorno al VII sec. scegliessero proprio la parola bilig/bilgi (nel tataro d'oggi bilge vuol dire segno distintivo o ingegnosità) per tradurre il concetto di conoscenza delle 5 virtù cardinali della gnosi dell'amore, della fede, del sapersi accontentare, del saper soffrire e del sapere giusto perché avevano ben chiaro l'uso che le genti delle steppe facevano di quella parola che indicava le qualità di ponderatezza e di potere dirigenziale di chi sa e conosce e che può quindi prevedere un risultato.

B'lgar però ha tali e tante varianti (legittime tutte dal punto di vista linguistico) che ne troviamo non solo negli etnonimi e nella toponomastica, ma persino nel folclore e nelle vecchie tradizioni locali e non turche della Pianura.

Un toponimo che da anni assilla la toponomastica è Biarmia. Nel IX sec. Ottar, un avventuriero norvegese in Inghilterra, nel raccontare a Alfredo il Grande le sue imprese nell'estremo nord, nomina i Beormas. Nel XII sec. Saxo Grammaticus tira fuori per primo nella sua Storia dei Danesi un luogo nel settentrione che chiama Bjarmeland. Il medesimo nome ricompare come nazione nelle saghe della Heimskringla, sempre nell’estremo nord della Pianura, che si estende dal Mar Glaciale Artico fino alle foreste del Volga-Kama e del Volga-Okà. Dagli studiosi russi Bjarm- è identificato per la sua consonanza con la Terra di Pierm’ e D.V. Bubrikh in modo azzardato lo fa derivare da Piera Ma o Terra che si trova più oltre... appunto in lingua permiana.

Un altro punto notevole nelle saghe è che il fiume Dvinà (quello detto settentrionale e che sbocca nel Mar Glaciale) usato per penetrare in Bjarmeland è detto Riva cioè simile al nome mordvino Rava dato però... al Volga! Può darsi che gli Scandinavi pensavano di aver trovato nella Dvinà la “famosa” Via del Volga...

Secondo noi la componente Biyar- di Bjarmeland non è che una variante di Biliar o Buliar cioè Bulgar... su bocca ugro-finnica! Se a Biyar- si appone infatti il suffisso ugro-finnico –ma cioè paese (o –em, possessivo turco di prima persona usato per definire un dominio), ecco ottenere Biyarma ossia Paese dei Bulgari dove -land è un pleonasmo germanico di Saxo Grammaticus.

Per noi insomma è evidente il riferimento a un dominio bulgaro culturale e commerciale (forse geopolitico) nel Grande Nord, quasi come un'esclusiva di mercato concessa ai Bulgari dai locali! Infatti nel contesto ugro-finnico bulgar suona biyar e perciò all'eventuale domanda di uno strainero: Chi traffica in questo paese? La risposta poteva essere: I Biyar! In parte ciò è provato dal fatto che a Bulgar sul Volga chi desiderasse avventurarsi al nord era avvertito che andare da quelle parti era un'impresa pericolosissima giacché gli abitanti giustiziavano... i non bulgari ! Come mai? Che cosa c'era di tanto prezioso in quelle terre che i Bulgari difendevano per sé a tutti i costi? A parte le favole usate per spaventare e deviare i mercanti concorrenti, luogo comune del tempo, è certo che i prodotti che si raccoglievano qui erano merci di grandissimo valore aggiunto e che la Bulgaria del Volga sentiva come suo proprio antico diritto trafficare da sola con la gente dell'estremo nord .

A questo punto si prospetta un’ipotesi dissacrante per la storia antico-russa e per il suo classico impianto, prendendo in esame ancora un'altra variante dell'etnonimo b'lgar.

Se rammentiamo che boliarin (sing.) e boliare (plur.) è la forma russa più antica del russo moderno boiarin (sing.) e boiare (plur.) che in italiano dà boiaro/bojardo, noteremmo subito, non solo la chiara identità di boliar- come variante slava di b'lgar, ma anche la tipica desinenza -in degli aggettivi russi di nazionalità ! In più, siccome boiarin è accettata come istituzione certa di origine bulgara, ciò ci induce a dire che a Grande Novgorod (in bulgaro Yana Halij), la repubblica medievale russa di nordest, era presente un’élite bulgara al potere... Questa conclusione (condivisa con A. Róna-Tas) si collega cronologicamente col fatto che Bulgar era organizzata come città prima della fondazione di Grande Novgorod che invece dalle prove dendrocronologiche appare fondata nel 953 d.C. In altre parole Bulgar poteva aver fatto (o essersi proposta) benissimo da modello organizzativo favorendo la coabitazione di gruppi di diverse stirpi lì presenti in un'unica entità collegata ai traffici oltremare. I Bulgari frequentavano da tempo l'estremo Nord collegati alla produzione e al commercio di vari articoli e, chissà, avranno sollecitato il sorgere di questa specie di sede distaccata intorno al Lago Ilmen (Novgorod) per ostacolare la penetrazione degli Scandinavi. Siccome finora non si è rivenuta traccia di città antecedenti, il toponimo Novgorod o Città Nuova è davvero ostico ad una spiegazione tradizionale (perché chiamarla Città Nuova in lingua slava, se gli Slavi ancora non vi abitavano?) che diventa facile al contrario qualora fosse stata chiamata Nuova città dei Bulgari e soltanto, una volta passata in mano slava, l'apposizione Bulgar cadesse lasciando intatto il resto del toponimo e cioè Città Nuova o Novgorod ! D'altronde lo stesso accadde pure con Bulgar capitale, ad esempio, che fu conosciuta dalle Cronache Russe soltanto col nome di Città Maggiore (Velikii Gorod) senza l'apposizione “dei Bulgari” che però rimaneva sottinteso.

La non grande vicinanza della data di fondazione – 953 – alla conversione ufficiale della Bulgaria all'Islam – 922 – ci suggerisce persino l'ipotesi che i probabili bulgari cofondatori della repubblica del nord fossero i dissidenti (non necessariamente bulgaro-parlanti, ma con una qualche etichetta bulgara !) che non accettarono la nuova fede e che si sparsero nelle zone boscose del Kama e oltre, come lo prova l'archeologia. D'altronde quante città fondate dai Bulgari si trovano nella Pianura lontane dal Volga? Šumek in Volinia, Suro ž in Bielorussia, Sury ž fra i Severiani e qualche altra.

Se nella storia linguistica di Novgorod apparisse che in russo locale Novgorodskii Boliarin nel passato volesse dire allo stesso tempo Boiaro novgorodese e Bulgaro di Novgorod, svanirebbe nella bruma e la leggenda della Chiamata di Riurik nell’862 d.C. tramandata nelle Cronache Russe e i nobili antenati svedesi che Giovanni IV di Mosca rivendicò per la sua casata riurikide...

Vediamo meglio. I tre Variaghi, Riurik e fratelli, se furono davvero chiamati, non fu “… per mettere ordine nella regione …”, ma per cooptare i Bulgari presenti sulle rive del Lago Ilmen in un gruppo di potere che gestisse il commercio che le Mafie Baltiche da tempo non erano riuscite a sviluppare con l'uso delle armi. La leggenda racconta che uno dei tre fratelli fu mandato a Lago Bianco (Bielo Oziero) per governarvi e là fu ucciso. L'episodio lo si può interpretare come l'esito di uno scontro coi locali... appoggiati dai Bulgari ! E quando nel 1237 Batu Khan tentò di conquistare Grande Novgorod, furono i Bulgari ad indicare alle armate mongole il guado più comodo per passare con le macchine d’assedio, cavalli e uomini... forse col segreto desiderio che Novgorod fosse restituita alla madre patria bulgara. Batu Khan non rinunciò a proseguire verso il nord per colpa del fango che si genera in primavera, come dice la storiografia tradizionale (V. Kargalov!), ma interruppe la campagna perché i boiari di Novgorod decisero di pagare il riscatto. Nelle Cronache Russe tutto ciò è taciuto e lo scampato attacco è attribuito all'intervento divino! Malgrado la transazione in denaro è confermata nelle Cronache Tatare di Gazi Baraj, tradotte da Z.Z. Miftakhov e riportata come affidabile dallo storico A. Širokorad.

In conclusione la frequentazione dei Bulgari nel Grande Nord anche prima del X sec. è certa. Ricostruirne la “penetrazione” dal sud diventa allora interessante. Già intorno all'VIII sec. i Bulgari avevano contatti sia con i Visu sia con gli Yura. Entrambi questi popoli sono da identificare con genti ugro-finniche dell'estremo nord e fra questi i Visu sono di certo i Vepsi odierni che vivono qua e là nella zona di San Pietroburgo con una loro identità culturale non ancora russificata, mentre gli Yura sono gli Yugra, ugro-finni viventi fra gli Urali e il Mar Glaciale Artico. L'archeologia localizza i Vepsi/Visu nel VII-IX sec. presso le sponde meridionali del Lago Nevo (oggi Ladoga) e del Lago Onego e con queste genti dovettero avere i primi scontri/incontri sia i Bulgari che venivano da Lago Bianco (da sudest) sia i Variaghi arrivati dal Mar Baltico (da ovest). Alla foce del Volkhov (il fiume di Novgorod) nel Lago Nevo i Variaghi riuscirono ad insediarsi fondando Aldeigia (oggi Stàraia Làdoga) molti decenni prima che la stessa Novgorod sorgesse. Risalirono il fiume e stabilirono un altro insediamento (Riurikovo Gorodišče) a qualche km da Novgorod odierna. Qui il fiume Msta entra nel Lago Ilmen (da cui scaturisce il Volkhov) formando una specie di isola alla quale, secondo noi, fa cenno Saxo Grammaticus e le Saghe scandinave parlando di Holmgårdr o Forte sull'Isola. Doveva essere una stazione stagionale e d'esplorazione, non avendo alcuno sbocco nelle grandi correnti di traffico come nella zona di Smolensk. E sul Lago Ilmen Mafia Baltica e Bulgari s'incontrarono e si accordarono. I Bulgari dal Kama viaggiavano verso il nord d'inverno, la stagione più tranquilla, seguendo i tracciati visibili fra il ghiaccio e la neve per attraversare la foresta boreale e per giungere finalmente a Lago Bianco (Bielo Oziero). Di là risalivano il fiume Kovzha fino al guado e a piedi (ca. 8 km) fino al Viterga che sfocia nel Lago Onego e da questo al Lago Ladoga via fiume Svir o, preferibilmente, via terra sulle racchette da neve fino alla foce del Volkhov. Un altro itinerario era lungo la Dvinà (settentrionale) fino al Msta e qui, dice Ibn Fadhlan, il “gioco” si compiva... in 3 mesi al massimo !

La regione dei Vepsi, poi inclusa nel territorio novgorodese nel Quinto Circum-onego, era battuta dai Bulgari molto prima di Russi e Variaghi. E, se sembra strano trovare tracce di mercanti khoresmiani nel Mar Baltico invece dei mercanti bulgari, ciò si spiega con problemi di organizzazione dei convogli . Concludendo, oggi non c'è niente di male ad ammettere che Cazari e Bulgari influissero sull’organizzazione della Rus’ di Kiev e ad ammettere che il primo metropolitano Ilarione non si contraddicesse quando chiamava lo stato russo Kaghanato di Kiev. Allora perché i Bulgari non possono aver avuto un ruolo di base nella nascita di Novgorod?

A questo punto l'etnonimo B’lgar potrebbe indicare una casta elitaria di consulenti-sapienti all'interno di un'etnia turcofona. B'lgar sarebbero (adattandosi all’epoca e ai luoghi) degli esperti dei traffici, del commercio, delle relazioni coi fornitori e con gli stranieri e soprattutto avrebbero insegnato come fare a gestire il commercio in modo ottimale. Insomma in termini moderni dei veri dottori-consulenti in economia e commercio !

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Excerpt out of 78 pages

Details

Title
Scorrono le acque dell'Itil...
Subtitle
Einführung in die Geschichte der Wolgabulgaren
Course
Russlands Mittelalter - Geschichte der Wolgabulgaren
Grade
none
Author
Year
2012
Pages
78
Catalog Number
V203665
ISBN (eBook)
9783656317913
ISBN (Book)
9783656318446
File size
4148 KB
Language
Italian
Keywords
Russland Mittelalter Wolga Bulgaren Steppe Geschichte Ostsee Grossnowgorod
Quote paper
Aldo C. Marturano (Author), 2012, Scorrono le acque dell'Itil..., Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/203665

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