Dinamiche Negoziali nella Cooperazione tra Imprese

Il Ruolo delle Terze Parti nel caso Fiat-Chrysler


Thesis (M.A.), 2009

178 Pages


Excerpt


INDICE

CAPITOLO I: IL QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO
1.1 Il termine “Negoziazione”
1.2 Le teorie sulle negoziazioni
1.2.1 Normativo, descrittivo e prescrittivo
1.2.2 Le teorie sui decisori individuali
1.2.3 La Teoria delle Negoziazioni e le altre teorie sulle collettività di decisori
1.3 I caratteri qualificanti le negoziazioni
1.3.1 I presupposti: interdipendenza, conflitto e potenzialità dell'accordo
1.3.2 Le modalità di svolgimento: comunicazione e scambio
1.3.3 La natura: opportunismo e ricerca creativa
1.4 Le fasi del processo negoziale
1.5 Le grandezze caratteristiche delle negoziazioni
1.6 La struttura di una negoziazione

CAPITOLO 2: LE NEGOZIAZIONI MULTILATERALI
2.1 Modificare la struttura modificando il numero delle parti
2.2 Le negoziazioni multilaterali
2.2.1 Definizione e caratteristiche
2.2.2 Il ruolo delle parti e il conflitto d'interessi
2.2.3 Alcuni strumenti di analisi
2.2.4 Il modello RBC
2.3 Il fenomeno delle coalizioni
2.4 Conclusioni

CAPITOLO 3: IL SETTORE AUTOMOBILISTICO E GLI ACCORDI COOPERATIVI
3.1 Caratteristiche e analisi del settore
3.1.1 Analisi del settore
3.1.2 Problemi storici e strutturali del settore automobilistico
3.1.3 La crisi del settore
3.1.4 Le azioni dei governi a sostegno del settore
3.1.5 Conclusioni: la necessità di cooperare
3.2 Gli accordi di cooperazione
3.2.1 Gli accordi di cooperazione come fattore strategico
3.2.2 La responsabilità sociale d'impresa
3.3 Gli accordi cooperativi nel settore automobilistico
3.3.1 Alcuni esempi di alleanze nel settore automobilistico
3.3.2 Conclusioni

CAPITOLO IV: IL CASO FIAT-CHRYSLER
4.1 Metodologia del lavoro
4.2 Presentazione del caso
4.2.1 FIAT
4.2.2 Chrysler
4.2.3 La procedura del Chapter 11
4.2.4 La figura di Sergio Marchionne
4.2.5 Lo svolgersi del processo negoziale
4.3 Analisi del caso
4.3.1 Le sinergie derivanti dall'accordo
4.3.2 Analisi della struttura negoziale
4.4 Discussione dei risultati
4.5 Conclusioni

Bibliografia

Sitografia

Indice delle figure

Indice delle tabelle

CAPITOLO I: IL QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO

Non ozio: questo il significato letterale dal latino del termine negoziazione, negotium, composto da nec e otium. Fin dall'antichità, dunque, il termine portava con sé il riconoscimento di un'attività, e più propriamente di un'attività lavorativa.

Ad oggi sono moltissime le teorie che hanno studiato e studiano il fenomeno delle negoziazioni; sono altrettanto numerose le definizioni (ed accezioni) che sono state date al termine. È, perciò, opportuno fare chiarezza sulla definizione che verrà adottata nel presente lavoro di tesi e sulla teoria presa in considerazione. Pertanto, questo primo capitolo è stato strutturato al fine di definire la base teorica della tesi.

Il capitolo è stato costruito sulla base di un'analisi della letteratura in tema di negoziazione; svolta, principalmente, con la guida del libro del Prof. Gatti (2008), approfondito attraverso lo studio di numerosi papers ed attraverso le opere dei più importanti autori in tema di negoziazione.

Per prima cosa si è cercato di fornire una panoramica del significato di negoziazione fornito dalla letteratura, per poi passare in rassegna i principali ambiti disciplinari approcciatisi allo studio delle negoziazioni, fino a giungere alla teoria delle negoziazioni, cui fa riferimento il lavoro.

Individuati gli ambiti disciplinari di studio, e quello di riferimento per il lavoro, partendo dalle caratteristiche generali delle negoziazioni si è andati via via restringendo il campo allo specifico, verso l'oggetto di studio della tesi, arrivando dunque alle negoziazioni multilaterali, oggetto del prossimo capitolo.

1.1 Il termine “Negoziazione”

Il termine Negoziazione, derivando dal concetto di negazione dell'ozio si è prestato ad identificare un vastissimo campo di attività. Le principali definizioni proposte dalla letteratura sono tra loro alquanto diverse. Esse si qualificano per una concettualizzazione più o meno ampia e l'accentuazione di talune caratteristiche a discapito di altre.

Il Garrone (1914), ne La Scienza, esordiva al riguardo così: <<Ideato e deciso un affare, è necessario stabilire delle relazioni, o condurre delle trattative, a voce o per iscritto, con una o più persone, per giungere possibilmente a conchiusione di esso. A seconda dei casi, le trattative si faranno con fornitori, clienti, armatori, ecc., ed abbracceranno proposte, controproposte, osservazioni, discussioni, ordinazioni, conferme>>.

Il Ceccanti (1962) indentifica le modalità di negoziazione come <<le caratteristiche della serie di comportamenti che precede la nacita del rapporto, e che sono direttamente rilevanti a tale effetto>> nell'ottica del raggiungimento di uno scambio commerciale.

Rubin e Brown (1975) definiscono la negoziazione come <<the process whereby two or more parties attempt to settle what each shall give and take, or perform and receive, in a transaction between them>>.

Zartman (1977) la definisce come un processo decisionale congiunto tra due o più parti al fine di combinare posizioni conflittuali in una singola decisione.

Gulliver (1979) introduce nella sua definizione la novità del concetto di interdipendenza tra le parti. Infatti, <<Negotiation comprise a set of social processes leading to interdependent joint decision-making by negotiators through their dynamic interaction with one another. (…) Negotiations are thus a dynamic process of exploration in which change is intrinsic: changes in each party's assessment of his requirements, in his expectations of what is possible, preferable, and acceptable, and changes in his understanding of the opponent's assessments and expectations. Analysis of negotiation is necessarily the analysis of process and change within the ineluctable interdependence of the negotiating parties>>.

Pruitt (1981) e Raiffa (1982) pongono l'accento, non solo sulla qualificazione quale processo decisionele congiunto tra più parti interdipendenti, quanto piuttosto sulle differenze tra gli interessi delle parti e sul derivante conflitto tra posizioni opposte.

Lax e Sebenius (1986) approfondendo le letteratura precedente considerano la negoziazione <<as a process of potentially opportunistic interaction by which two or more parties, with some apparent conflict, seek to do better through jointly decided than they could otherwise>>.

Anche alcuni studiosi italiani, negli ultimi anni, si sono cimentati nel tentativo di fornire una definizione di negoziazione che ricomprendesse quante più caratteristiche possibili.

Rumiati e Pietroni (2001): <<La negoziazione è un processo di interazione tra due o più parti in cui si cerca di stabilire cosa ognuna dovrebbe dare e ricevere in una transazione reciproca finalizzata al raggiungimento di un accordo mutualmente vantaggioso. La negoziazione è quindi una modalità per risolvere divergenze di interessi attuabile quando ciascuna delle parti possiede, ed è disposta a cedere qualcosa di valore per l'altra>>.

Giudici (2004): <<Il processo di negoziazione è un fenomeno complesso del quale fanno parte elementi psicologici, comportamentali, sociologici, economici. (…) Esso è caratterizzato dalla presenza di interessi divergenti (…). E' costituito da quelle interrelazioni tra i soggetti finalizzate a mutare la situazione iniziale di aspettative, rapporti di forza contrattuale, disponibilità alla mediazione, al fine di costituirne un'altra più favorevole ai propri obiettivi>>.

Mariani (2004): << (…) la negoziazione è un sistema per prendere decisioni di tipo collettivo e si concretizza in un processo che, quando ha successo, sfocia in una decisione congiunta, presa cioè da due o più attori contemporaneamente. (…) la negoziazione è un processo che coinvolge due o più parti, caratterizzate da interessi e preferenze diverse ma legate da almeno un problema in comune che si impegnano a risolvere in modo soddisfacente, facendo leva esclusivamente sul proprio potere contrattuale e su quello derivante dalla loro interazione, scambiandosi risorse materiali o immateriali al fine di raggiungere un accordo>>.

Ed infine Gatti (2008), qualificando la negoziazione sia come modalità per prendere decisioni congiunta tra più parti che come processo, la definisce <<(…) come un processo decisionale congiunto tra due o più attori, individuali o collettivi>>.

Alla luce di quanto finora esposto, risulta evidente quanto la letteratura abbia cercato di costruire nel tempo una definizione che racchiudesse in se il più ampio spettro di caratteristiche.

Per quanto alcune teorie abbiano esposto la possibilità di negoziazione anche con un solo individuo, dunque al suo interno, non è interesse di questo lavoro esplorare tale campo. Pertanto sono state riportate per lo più definizioni attinenti le teorie delle negoziazioni in chiave economica e organizzativa.

Risulta necessario a questo punto esplorare il campo delle materie che si sono approcciate allo studio delle negoziazioni e, quindi, le teorie che si sono sviluppate.

1.2 Le teorie sulle negoziazioni

I diversi approcci allo studio delle negoziazioni si palesano variegati e differenti, sia per quanto riguarda gli ambiti disciplinari che per le teorie sviluppatesi. Questo in quanto le negoziazioni rappresentano un oggetto di indagine e ricerca interessante per molteplici discipline, che indagano la materia tramite teorie ed orientamenti di fondo diversi tra loro.

Tra le discipline che si sono occupate dello studio delle negoziazioni abbiamo, per esempio: la psicologia, la sociologia, le scienze politiche, le scienze giuridiche, l'antropologia, le scienze informatiche, la matematica, la statistica, l'economia, la finanza, l'economia d'impresa.

Data la varietà e l'interdipendenza delle discipline che hanno studiato le negoziazioni si può agevolmente qualificarne lo studio come un campo dalla natura fortemente interdisciplinare (Gatti, 2008).

Ciò poiché la natura dell'attività indagata, toccando aspetti del comportamento umano, non può scindersi da determinate discipline, fondamentali per il suo studio. E' pertanto ovvio che gli studi in economia al riguardo attingano da altre discipline, che a loro volta si sono influenzate tra loro.

Già lo Zappa nel 1927 riconosceva l'importanza e l'inevitabilità dell'interdisciplinarità degli studi economici, non solo riguardanti gli aspetti dell'organizzazione, più direttamente legati alle dinamiche dei comportamenti umani, ma anche quelli attinenti all'economia aziendale ed alla microeconomia.

Proprio alla microeconomia, alla statistica ed alla matematica si devono i primi passi degli studi in materia di negoziazioni economiche, con i vari modelli di teoria dei giochi.

Come si è potuto notare dalle varie definizioni riportate in precedenza, l'attività di negoziazione viene da tutti riconosciuta come un particolare processo decisionale. Gli studi attinenti, dunque, vengono collocati nel più ampio contesto degli studi sui processi decisionali.

Attingendo agli studi effettuati da Raiffa, Richardson e Metcalfe (2002), si riporta il quadro sinottico riguardante le varie teorie facenti capo al campo degli studi sui processi decisionali approfondito ed ampliato da Gatti (2008).

Dalla figura 1.1 si nota come gli studi sui processi decisionali si dividano in due macro-aree, individuate in funzione della numerosità dei decisori: teorie di studio nel caso di decisore individuale; teorie di studio nel caso di una collettività di decisori.

A loro volta queste due macro-aree vengono suddivise in base alle differenti teorie che sono state sviluppate. La figura riporta poi la distinzione sulla base dell'orientamento di fondo adottato: normativo, descrittivo, prescrittivo. Infine, si riportano le principali discipline che hanno contribuito alla formazione delle suddette teorie.

Tale classificazione visualizzata in modo schematico e sintetico permette di avere con un colpo d'occhio una prima contestualizzazione degli studi in materia di negoziazione, e di come le varie teorie hanno contribuito al formarsi di altre.

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Figura 1.1 - Quadro sinottico degli studi sui processi decisionali (Fonte: Gatti, 2008)

1.2.1 Normativo, descrittivo e prescrittivo

Prima di passare a descrivere brevemente nel dettaglio le principali teorie sulle negoziazioni è utile spiegarne quali siano i principali orientamenti.

In seno alla comunità scientifica si è svolto un dibattito, nel corso degli anni, su quale orientamento dovesse prevalere e fosse migliore per lo studio dei processi decisionali. I tre contendenti erano l'orientamento normativo, quello descrittivo e quello prescrittivo.

Il primo è fondato su alcuni concetti classici economici come la razionalità oggettiva, o assoluta, e i concetti di massimizzazione e ottimizzazione. Si studia come un essere umano idealizzato, dunque perfettamente razionale (secondo la logica utilitaristica capace di attribuire un valore di preferenza per ogni stato della realtà e di ordinare questi valori al fine di scegliere sempre la migliore configurazione in assoluto) e perfettamente informato (sulle proprie alternative e sulle conseguenze), dovrebbe agire nel prendere le sue decisioni. Si assume che gli individui agiscano in condizioni di conoscenza perfetta e secondo una logica di massimizzazione del profitto, ciò si sa è puramente ideale ed assolutamente irreale. L'espressione, diffusa nella letteratura anglosassone, che riassume i principi del suddetto orientamento è “how decisions should be made”.

L'orientamento descrittivo vuole, invece, descrivere il comportamento reale degli individui. Da ciò l'espressione anglosassone “how decisions are made” o “how real people decide”. Si studia, dunque,come gli individui prendono decisioni in una logica soddisfacentista derivante dalla propria razionalità limitata. Concetti, questi, introdotti ed inizialmente sviluppati da Herbert Simon (1957), che si contrappongono nettamente alla logica massimizzante e di razionalità assoluta. I concetti del Simon hanno dato vita all'approccio comportamentale, adottato da moltissimi studiosi (si pensi a March e Cyert, e alla teoria organizzativa delle decisioni) al fine di studiare gli effettivi comportamenti degli individui, e quindi delle organizzazioni, e come questi prendono le proprie decisioni.

Secondo Simon le capacità della mente umana, nel comprendere e risolvere problemi complessi, sono di gran lunga inferiori alla grandezza ed alla complessità degli stessi problemi, pertanto è impossibile riuscire ad avere un comportamento oggettivo perfettamente razionale o anche una buona approssimazione di questo. Non avendo la possibilità di massimizzare, quindi, l'uomo ricerca una soluzione sufficientemente buona. Simon definisce, in contrapposizione con l'uomo economico perfettamente razionale, il suo uomo come l'uomo amministrativo, che <<cerca di soddisfare, ossia di scegliere un corso di azione soddisfacente, abbastanza buono. (…) L'uomo amministrativo riconosce che il mondo da lui percepito è un modello, drasticamente semplificato, dell'infinita e sempre rinascente confusione che costituisce il mondo reale>> (Simon, 1957).

Quanto all'orientamento prescrittivo, infine, questo è focalizzato a fornire indicazioni su come gli individui potrebbero decidere meglio di quanto non facciano (Gatti, 2008), dunque “how decisions could be made better”. L'obiettivo di questo orientamento è quello di ricercare una teoria che sia utile agli individui limitatamente razionali (reali), attraverso consigli pragmatici tarati sulle caratteristiche dei decisori e dei problemi che via via vengono affrontati. Questa attività di consulenza deve porsi come sintesi tra l'approccio descrittivo e quello normativo con l'obiettivo di palesarsi concretamente utile, individuando regole di comportamento razionale traducibili in comportamenti reali.

Raiffa, Bell e Tversky (1988), hanno sottolineato come i tre orientamenti non debbano essere considerati come alternativi, bensì come complementari, al fine di cogliere e sfruttare le possibilità di interazione.

1.2.2 Le teorie sui decisori individuali

Come affermato in precedenza, il presente lavoro non ha lo scopo di analizzare il campo disciplinare che si è approcciato allo studio dei processi decisionali individuali.

Risulta, però, di particolare necessità quanto meno individuare quali siano le principali discipline confrontatesi su questo campo.

Le due principali dottrine che hanno analizzato la prospettiva individuale dei processi decisionali sono la decision theory (o decision analysis) e la behavioral decision theory (Gatti, 2008).

La prima, di orientamento normativo, ha una configurazione prettamente matematica e statistica (fin dal 1700-1800 con gli studi di Bernoulli, Bayes e Laplace), ed ha avuto particolare utilizzo per lo sviluppo di una vasta gamma di teorie economiche. Teorie che vanno dagli amibiti disciplinari della microeconomia, a quelli della finanza e dell'economia aziendale. Howard Raiffa, importantissimo studioso delle teorie sulle negoziazioni, ha avuto un ruolo di preminente importanza, fin dagli inizi della sua carriera, anche in questi campi, con contributi particolarmente importanti per quanto riguarda la teoria dei giochi.

La dottrina della behavioral decision theory, di orientamento descrittivo, è invece proveniente da studi principalmente psicologici, anch'essa con utilizzazioni importanti in molti ambiti disciplinari attinenti l'economia. Si pensi ad esempio alle teorie comportamentali dei consumatori (per quanto riguarda il marketing) o anche degli investitori sui mercati finanziari (Shiller, 2005).

1.2.3 La Teoria delle Negoziazioni e le altre teorie sulle collettività di decisori

Passando ora alle teorie focalizzate sulle collettività di decisori ci soffermeremo principalmente sulla teoria delle negoziazioni, in quanto oggetto della tesi, e sulla teoria dei giochi, in quanto fondamento teorico della precedente, toccando solo marginalmente le altre.

Uno dei primi approcci ai processi decisionali caratterizzati da una collettività di decisori è stato, senza dubbio, quello della la teoria dei giochi.

La teoria dei giochi, risalente all'opera di von Neumann e Morgenstern del 1944, si occupa dell'analisi di interazioni strategiche tra decisioni e tra decisori (detti giocatori), dotati di razionalità assoluta e mossi da logica massimizzante. I giocatori hanno preferenze differenziate rispetto agli esiti e detengono un controllo parziale sulla situazione, limitato alle proprie azioni; solitamente hanno una perfetta conoscenza della situazione, delle alternative e delle possibili mosse degli avversari. Spesso si assume anche la conoscenza dei “valori” degli esiti e della distribuzione delle probabilità di azione degli avversari.

L'orientamento di fondo è simmetricamente normativo (Raiffa, Richardson, Metcalfe, 2002) poiché individua le “mosse” ottime per tutti i giocatori, limitatamente ad un ambito puramente teorico ed astratto; senza alcune tentativo di adattamento alla realtà.

Fin dai primi anni '60 alcuni studiosi (Rapaport, Schelling, Walton, McKersie...) misero in luce il fatto che la teoria dei giochi non sembrava uno strumento completo per l'analisi delle decisioni reali, in special modo per l'analisi delle negoziazioni.

Secondo Sebenius (1992) la teoria dei giochi era stata particolarmente utile per capire il funzionamento di negoziazioni ripetute in situazioni altamente strutturate. Questa ha fornito importanti linee guida, principi ed ipotesi sul processo negoziale, ma allo stesso modo ha rivelato nel tempo i suoi importanti limiti.

La teoria dei giochi, secondo tali studiosi, sembra comportare alcuni limiti in ambito negoziale, che si possono riassumere sinteticamente in tre punti: 1) fornisce troppi equilibri; 2) non tiene conto della razionalità limitata; 3) non tiene conto delle asimmetrie informative e dei rapporti di potere che si innescano nelle situazioni. Pertanto, sembra limitante il suo utilizzo nelle situazioni negoziali reali.

L'altra faccia della medaglia erano gli studi psicologici e sociologici, ma anche questi studi in ambito economico sembravano comportare dei limiti a causa dell'eccessiva ampiezza e particolarizzazione delle questioni trattate e scarsezza degli utilizzi economici.

Si cercò, dunque, una terza via, quella della Teoria delle Negoziazioni (Negotiation Analysis) che tenesse conto di aspetti socio-psicologici, quali la razionalità limitata e i rapporti di potere, unitamente ad aspetti prettamente economici.

Le prime opere al riguardo possono essere considerate due, quella del Fisher e dell'Ury del 1981, più vicina e influenzata dalla dottrina psicologica e comportamentale, e quella del Raiffa del 1982, più vicina alla teoria dei giochi ed alle discipline matematico-statistiche. In seguito, molti altri lavori ne hanno seguito le orme, tra cui quello del Lax e del Sebenius del 1986, che ha contribuito alla creazione di un filone in ambito manageriale.

Gli studi sulle negoziazioni, inizialmente, si erano sviluppati per lo più in seguito ad esperienze personali (Raiffa, Sebenius, Zartman) di studiosi in negoziazioni, nella maggior parte dei casi, politiche. Si pensi all'esperienza di Sebenius nelle trattative degli anni '70 per la stesura della legge del mare.

La maggior parte dei succitati lavori è stata frutto di approfondimenti ed esperimenti di laboratorio svolti all'Università di Harvard, all'interno del Program On Negotiation (PON). La stessa opera di Raiffa (1982) si configura come una sintesi dei risultati di laboratorio e di aula svolti durante i corsi universitari e post-universitari in materia di negoziazioni. Sorprende la creazione di un vero e proprio laboratorio scientifico per studiare, unendo psicologia e statistica, i comportamenti reali durante negoziazioni simulate.

Tutto ciò ha contribuito, e sta ancora contribuendo, alla costruzione di una teoria delle negoziazioni, di orientamento prescrittivo, che sviluppi una sintesi tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”. La Teoria delle Negoziazioni, così sviluppata, implica attori non perfettamente razionali con limiti emotivi e cognitivi, senza una conoscenza perfetta e comune della situazione, quindi dei possibili interessi e comportamenti della controparte, che non perseguono soluzioni ottime (Gatti, 2008). Non a caso il titolo dell'opera di Raiffa, che nel 1982 ha dato inizio al filone, è “L'arte e la scienza di negoziare”, ammettendo sia la componente scientifica che la componente più prettamente psicologica e attitudinale del “saper negoziare”.

Da ciò si evince come la teoria sia meno quantitativa e più qualitativa, con un grado inferiore di formalizzazione matematica, che le permette una maggiore utilità pratica e diffusione rispetto alla teoria dei giochi. Inoltre, aspetto nuovo ed importante è che la teoria delle negoziazioni tiene conto dell'ingresso di facilitatori (mediatori o arbitri) nel processo negoziale. Questo tener conto delle terze parti esterne non si limita alla pura analisi della loro presenza, la teoria si rivolge anche a loro al fine di aiutarli nel ruolo. Unitamente alla precedente, altra caratteristica fondamentale, individuata dal Raiffa e colleghi, è la possibilità di cooperare e formare coalizioni (nel caso di negoziazioni a più di due parti).

Di particolare importanza è la riflessione del Sebenius (1992) che pone l'accento su alcuni caratteri distintivi della teoria delle negoziazioni, in relazione ai limiti della teoria dei giochi.

Vale la pena porre l'accento su tre di questi:

- assunzione di una “prospettiva soggettiva radicale”, dunque da un lato si assume che le valutazione delle probabilità circa gli eventi e i connessi esiti siano rimesse alle parti e non alla configurazione del gioco; dall'altra assumono rilevanza decisiva le percezioni soggettive delle parti;
- assunzione della possibilità che le parti “lascino del valore sul tavolo”, quindi si ammette la possibilità dell’esistenza di accordi inefficienti;
- focalizzazione sulla “zone of possible agreement” rispetto alla soluzione del gioco, si assume che sia necessaria una zona di possibile accordo positiva per raggiungere un accordo, ammettendo soggettività nella sua valutazione.

La teoria dei giochi, dunque, secondo tale impostazione, sembra essere limitata ed insufficiente in ambito negoziale anche per quello che riguarda i cosiddetti giochi cooperativi. Nei giochi cooperativi è sempre ammessa la comunicazione tra le parti e la possibilità di stringere accordi vincolanti e completi, assumendo che una volta raggiunto l'accordo le parti certamente lo rispetteranno. Al contrario nei giochi non cooperativi non è ammessa la possibilità di accordo vincolante.

In entrambi i casi non si presuppone uno spirito collaborativo tra le parti, assunzione che viene esplicitamente fatta dalla Teoria delle Negoziazioni, che riflette la realtà. Inoltre, nella Teoria delle Negoziazioni, si supera il limite dell’irrealtà della completezza contrattuale, tenendo in considerazione proprio la possibilità di mancato rispetto degli accordi raggiunti o di rinegoziazione, con le conseguenti dinamiche (Raiffa, 1982; Lax e Sebenius, 1986). Infine, la Teoria delle Negoziazioni assume sempre la necessità, e non la possibilità, di una qualche forma di comunicazione e interazione delle parti.

La teoria delle negoziazioni si configura, dunque, come un superamento della teoria dei giochi, da cui trae fondamento, con un differente orientamento di fondo adottato.

Seppur non oggetto della tesi, per completezza della trattazione riteniamo sia utile almeno citare brevemente la teoria organizzativa delle decisioni e la teoria dei giochi comportamentale.

La teoria organizzativa delle decisioni affonda le proprie radici nella teoria comportamentale dell'impresa, di cui i principali esponenti sono il Simon, il March ed il Cyert. Non va tralasciato di ricordare i contributi di Cester Barnard (1938) e della teoria evolutiva dell'impresa, che hanno notevolmente influenzato tutti gli studiosi dell'economia d'impresa, compreso chi scrive.

L'orientamento di fondo della teoria è comune a quello della teoria delle negoziazioni, ponendo però l'accento della propria analisi sul comportamento organizzativo. Si riportano alcuni aspetti fondamentali come richiamati dal Gatti (2008): 1) l'ambiguità che pervade le organizzazioni; 2) il costante divenire del processo decisionale organizzativo; 3) gli incentivi, le sanzioni e la finalità della sopravvivenza sottesi al processo decisionale e ai suoi risultati; 4) le decisioni ripetitive che permeano l'attività di numerosi partecipanti, specialmente di livello inferiore; 5) la pervasività del conflitto nelle organizzazioni, essenzialmente concepite come sistemi politici.

La teoria organizzativa delle decisioni pone numerosi spunti, in ottica sistemica, di approfondimento per quanto riguarda le negoziazioni interne all'impresa, dato il suo focus sulle relazioni e interazioni degli individui.

Quanto alla teoria dei giochi comportamentale, essa tenta di fondere l'oggetto di indagine della teoria dei giochi con i metodi di analisi sperimentale di matrice psicologica, assumendo come ipotesi la razionalità limitata degli attori ed un orientamento di fondo descrittivo. Si tenta di rendere più vicina alla realtà la tradizionale teoria dei giochi.

Per piacere di cronaca si ricorda che nella scuola aziendale italiana sono stati numerosi gli studi e le teorie che si sono occupati di negoziazione. Approcci decisamente interessanti sia per quanto riguarda gli studi mercantili, con esponenti come il Garrone, il Caprara e lo Zappa, che per la dottrina della gestione, di cui si ricorda il Ceccanti.

1.3 I caratteri qualificanti le negoziazioni

In questo paragrafo, partendo dalla base teorica finora analizzata, procederò con l'approfondimento dei caratteri che qualificano una negoziazione come tale.

Condividendola pienamente si riporta la definizione di negoziazione che dà il Gatti (2008) quale processo decisionale congiunto che: <<(…) -ha luogo tra attori interdipendenti, definiti parti della negoziazione; - si instaura tra parti che palesano preferenze diverse e, quindi, interessi parzialmente in conflitto tra loro; - può chiudersi con un accordo tra le parti; - implica un confronto tra gli attori, con comunicazione reciproca e scambio di risorse materiali e immateriali (…); - ha natura opportunistica; - comporta un'attività di ricerca creativa>>.

In quanto processo, l'attività di negoziazione si compone di caratteri qualificanti, fasi del processo e struttura del processo. Si ritiene di particolare interesse, ai fini del presente lavoro, l'approfondimento di ogni carattere della negoziazione e delle strutture; per quanto riguarda le fasi, invece, si procederà sinteticamente.

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Figura 1.2 - Composizione del processo negoziale

Nello schema riportato abbiamo suddiviso, secondo l'impostazione del Gatti (2008), i caratteri qualificanti le negoziazioni in presupposti, modalità e natura del processo negoziale.

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Figura 1.3 - Caratteri qualificanti le negoziazioni (Fonte: nostra elaborazione su Gatti, 2008)

1.3.1 I presupposti: interdipendenza, conflitto e potenzialità dell'accordo

I presupposti, interdipendenza tra le parti, conflitto di interessi e potenzialità di un accordo, costituiscono gli elementi necessari, ma non sufficienti, perché possa attivarsi il processo negoziale. La mancanza di un presupposto pregiudica l'inizio della negoziazione e, dunque, l'esistenza della stessa.

L'interdipendenza

Il primo carattere riportato dalla definizione pone l'accento sull'esistenza di una relazione di interdipendenza tra le parti.

Interdipendenza intesa alla Thompson (1967) che, a proposito delle relazioni interne all'impresa, ne ha individuato tre tipologie:

- interdipendenza generica o per accumulazione, situazione in cui ogni parte componente presta un contributo discreto al tutto, e ciascuna è supportata dal tutto, di conseguenza seppur senza interazione diretta il risultato di ogni parte è influenzato dall'andamento delle altre parti;
- interdipendenza sequenziale, dove è necessaria l'interazione diretta e sequenziale tra le parti, l'output di una è l'input della seguente e così via, pertanto l'azione di ogni parte è direttamente influenzata dalla parte a monte e influenza direttamente quella a valle;
- interdipendenza reciproca, situazione in cui gli output di ogni parte diventano gli input di ogni altra, si ha quindi un aspetto sia di accumulazione che un aspetto seriale, e la peculiarità è la reciprocità dell'interdipendenza.

Data questa definizione del concetto di interdipendenza, nell'attività negoziale <<il perseguimento degli obiettivi e il soddisfacimento degli interessi di un attore dipende ed è quindi condizionato, almeno in parte, dal comportamento di uno o più altri attori e viceversa>> (Gatti, 2008).

Strategicamente ogni scelta di un attore è influenzata dalle scelte passate e future degli altri, e a sua volta le influenza. Di conseguenza, l'esito negoziale è fortemente condizionato da questo processo di condizionamenti reciproci.

L'interdipendenza pone dunque dei limiti ai comportamenti degli attori. Numerosi esperimenti di laboratorio, come ad esempio quelli svolti dal Raiffa (1982), hanno posto la questione della desiderabilità di avere determinati comportamenti, siano essi giudicati positivamente o negativamente dalle parti, in relazione al loro effetto sulle altre parti.

Ma l'interdipendenza non solo si manifesta ed è alimentata nella negoziazione ma ne rappresenta, come già detto, un presupposto. Questo in quanto, seguendo l'ottica del Ceccanti (1962), va considerata anche come comunicazione. Non potrebbe esserci alcun processo negoziale tra le parti se queste non comunicassero in qualche modo; anzi probabilmente queste neanche si incontrerebbero, o addirittura prenderebbero in considerazione l'idea di negoziare un qualcosa, non sapendo che cosa o con chi.

Ai fini del presente lavoro non ci si può esimere dal notare come l'interdipendenza e l'interazione tra imprese sia un carattere pregnante dell'attuale assetto socio-economico. In special modo, come verrà richiamato più avanti, le imprese necessitano di cooperare tra loro al fine di rispondere alle pressioni competitive che i processi di globalizzazione hanno accentuato.

Le dinamiche negoziali e interdipendenti si configurano quindi come il pane quotidiano delle aziende e dei manager, più che in passato. L'attività delle aziende così come quella delle istituzioni, è condizionata sempre più dal contesto e dal comportamento degli altri attori. Si assiste sempre più al palesarsi degli effetti, sia in positivo che in negativo, di una diffusa interdipendenza generica nei e tra i mercati, le nazioni, i continenti.

Il Conflitto d'interessi

Il secondo presupposto che qualifica un processo decisionale come negoziazione è il conflitto tra gli interessi delle parti in gioco. Come si vedrà in maniera più approfondita nel paragrafo sulle strutture negoziali, gli interessi delle parti e le rispettive valutazioni degli stessi costituiscono uno degli elementi della struttura negoziale (Lewicki, Weiss, Lewin, 1992).

La differenza, però, tra un generico processo decisionale e una negoziazione non è tanto costituita dalla configurazione degli interessi in gioco, presenti in entrambi i casi, ma piuttosto verte sulla valutazione che le parti hanno degli stessi e dunque sul grado di contrapposizione (conflitto) che c'è tra le posizioni delle parti. Pertanto, questi interessi non debbono essere perfettamente allineati, né completamente contrapposti (Kelley e Thibaut, 1969; Rubin e Brown, 1975). In quanto, nel primo caso avremmo una mera attività di problem solving, nel secondo non avremmo,come si vedrà in seguito, il requisito dell'accordo potenziale, non essendoci spazio per la negoziazione.

Sull'attività di problem solving vi è una disputa teorica sul considerarla o meno un processo negoziale. Risulta evidente che per la definizione di processo negoziale scelta nel presente lavoro non si è deciso di configurarli come tali. Riteniamo però che l'attività di problem solving sia una parte (o strumento) importante nel processo negoziale.

Gatti (2008) propone una distinzione tra il conflitto inteso come situazione e il conflitto inteso come attività. Nel primo caso si rimanda all'accezione di conflitto d'interessi, inteso come divergenza di vedute, e come tale avente una prospettiva neutra. Nel secondo caso si intende il conflitto come l'attività di interazione, incontro e confronto tra parti di una relazione, e può avere connotati positivi o negativi a seconda dei casi.

Il concetto di conflitto inteso nel presente lavoro è in accezione ampia e neutra. Non si propongono, dunque, valutazioni in merito alla positività o negatività del conflitto, quanto piuttosto la mera differenza tra le valutazioni degli interessi in gioco delle parti. Si considerano degli obiettivi delle parti in gioco non completamente allineati e non completamente contrapposti.

Il conflitto è un elemento caratterizzante le negoziazioni sia come situazione che come attività. La situazione conflittuale si configura come un presupposto per la negoziazione, l'attività conflittuale si palesa, invece, come momento della negoziazione, ponendosi alla base dell'attività di comunicazione e di svolgimento del processo negoziale.

L'accordo potenziale

Si è detto, dunque, che è necessario un certo livello di conflitto e divergenza tra gli interessi che non possono essere completamente contrapposti o convergenti perché il processo decisionale possa essere qualificato come negoziazione.

A questo punto si può introdurre conseguentemente il terzo ed ultimo presupposto della negoziazione: la possibilità di raggiungere un accordo.

E' importante sottolineare come si faccia riferimento nella teoria non alla “necessità” di raggiungere un accordo, piuttosto alla “possibilità” che esso venga raggiunto. Probabilmente nessun negoziatore si siederebbe al tavolo delle negoziazioni sapendo per certo di non poter raggiungere un accordo. Pertanto un esito di mancato accordo è sempre ipotizzabile, ma deve esserci da parte delle parti una valutazione di probabilità, seppur minima, che l'esito negoziale porti ad un accordo soddisfacente. Per accordo soddisfacente si intende un accordo che potenzialmente incontri gli interessi e obiettivi delle parti.

Il presupposto dell'accordo potenziale risulta fortemente collegato a quelli dell'interdipendenza tra le parti e del conflitto d'interessi. E' facile immaginare come l'interdipendenza delle parti abbia, se intesa in senso virtuoso, la funzione di facilitare l'individuazione della potenzialità dell'accordo, così come una configurazione degli interessi non completamente contrapposti, come già detto, rappresenta una condizione necessaria perché vi sia un accordo potenziale.

Dalle precedenti affermazioni emerge la necessità che tra le parti vi sia una volontà di negoziare, conseguenza della triade di presupposti. Senza questa volontà è fuori ombra di dubbio che sia impossibile svolgere, o cominciare, un processo negoziale che abbia un esito soddisfacente per le parti in gioco.

1.3.2 Le modalità di svolgimento: comunicazione e scambio

Il quarto carattere qualificante le negoziazioni attiene al campo delle modalità di svolgimento delle stesse e si configura come l'attività di comunicazione e scambio di risorse ed informazioni.

La comunicazione e lo scambio di risorse ed informazioni tra le parti, come accennato precedentemente, è conseguente all'interdipendenza tra esse e risulta necessaria perché si possa svolgere il processo negoziale.

Il tema della comunicazione e quello dello scambio di risorse e informazioni è sempre stato considerato un tutt'uno dalla letteratura in tema di negoziazioni. Non potrebbe essere altrimenti in quanto lo scambio per avvenire necessita di comunicazione, e comunicando, anche implicitamente, ci si scambiano informazioni: pertanto risulta impossibile scindere le due facce della stessa medaglia.

Il processo negoziale per avere luogo non solo necessita di comunicazione e scambio di informazioni e risorse ma da queste è fortemente influenzato. A tal proposito il Rubin e il Brown (1975) affermavano che i negoziatori fossero molto influenzati dalle informazioni che riuscivano ad ottenere e che a loro volta influenzassero l'altra parte con le informazioni che intendevano rilasciare. Si configura dunque un'interdipendenza reciproca durante il processo negoziale, dovuta a questo scambio continuo di informazioni ed, inoltre, alle modalità di svolgimento del processo comunicativo (Raiffa, 1982).

Su tale argomento il Gulliver (1979) ha individuato due processi che si dispiegano contemporaneamente durante lo svolgimento del processo di comunicazione e scambio:

1. il processo ciclico, che consiste nel ripetuto scambio di informazioni tra le parti, con conseguente influenza reciproca riguardo le loro valutazioni, aspettative e obiettivi;
2. il processo di sviluppo, inteso come l'avanzamento della negoziazione verso il suo esito.

Quando inizialmente si è parlato di scambio di risorse, si è fatto riferimento ad un duplice aspetto.

Da un lato, inizialmente, le parti comunicheranno e scambieranno risorse necessarie per lo svolgimento del processo negoziale. Molti sono gli esempi portati dalla letteratura: le parti necessiteranno di un luogo e delle attrezzature necessarie per negoziare; se un gruppo di negoziatori non risiede nel luogo delle negoziazioni si dovrà procedere al loro trasporto ed alloggio. Gli esempi sono innumerevoli e lasciano intendere, come si vedrà accennando alle fasi della negoziazione, che si dovrà svolgere una pre-negoziazione per stabilire gli aspetti della negoziazione vera e propria.

Dall'altro lato, conseguentemente, le parti dovranno comunicare e scambiarsi risorse anche nel corso della negoziazione. Questo scambio potrà essere direttamente legato all'oggetto della negoziazione (per esempio trasferimenti di risorse a garanzia), oppure potrà essere legato alle necessità dei negoziatori per svolgere il loro ruolo (per esempio la fornitura dei pasti, degli alloggi...).

Approfondendo ulteriormente il campo delle modalità comunicative, Raiffa e colleghi (2002) hanno identificato sostanzialmente tre impostazioni comunicative che le parti possono mettere in atto durante il processo negoziale. Si tiene a precisare che nel lavoro si farà riferimento al generico “le parti”, ma non si deve intendere in un ottica di simmetria del comportamento. Inoltre le parti, non solo possono impostare asimmetricamente la comunicazione, ma possono cambiarla in corso di negoziazione, e non è detto che venga esplicitamente rivelata l'impostazione adottata. Gli studi sull'uso strategico della comunicazione sono contrastanti ed hanno rivelato, nel corso degli anni, come non vi sia un modus operandi migliore, ma vada adottato strategicamente lo stile adatto a seconda della situazione. Risulta quindi importante per i negoziatori avere una completa padronanza delle tecniche e della teoria.

Full, Open, Truthful Exchange, (FOTE) è l'impostazione con la quale le parti decidono di comunicare in modo sincero e pienamente trasparente, non tenendo nessun segreto tra loro. Si può dire che le parti adottino un comportamento pienamente cooperativo.

Partial, Open, Truthful Exchange, (POTE) in questo caso le parti sono ancora sincere ma adottano un'impostazione parzialmente trasparente, le parti omettono ciò che non vogliono dire ma ciò che dicono è la verità.

No Open Truthful Exchange, (NOTE) implica che le parti interagiscano in maniera completamente falsa. In questo caso le parti adottano un comportamento non cooperativo, tentando di sviare l'altra parte al fine di ottenere vantaggi individuali.

Di particolare importanza è la relazione di causa-effetto che la teoria ha individuato tra il ruolo del negoziatore, sia all'interno della negoziazione che all'interno della parte nel caso di parti non monolitiche, e lo stile comunicativo adottato. In sostanza, è stato individuato che la scelta dello stile comunicativo è influenzata, non soltanto dalle caratteristiche della persona e della situazione, ma anche dal suo ruolo. Si approfondirà l'aspetto del ruolo delle parti e della personalità dei negoziatori più avanti nel lavoro.

1.3.3 La natura: opportunismo e ricerca creativa

Il terzo ed ultimo aspetto dei caratteri qualificanti le negoziazioni attiene alla natura delle stesse, a sua volta questa natura si distingue per essere opportunistica e volta alla ricerca di creatività.

Dai ragionamenti esposti sui concetti di conflitto d'interessi e sulla comunicazione emerge, senza dubbio, come la negoziazione sia permeata nel suo svolgimento da comportamenti opportunistici delle parti. Gatti (2008) definisce l'opportunismo, attraverso un'ottima metafora, come la “bussola dell'interazione negoziale”.

Al pari del concetto di conflitto di interessi, anche l'opportunismo va inteso in un'accezione ampia e neutra (inteso come spirito imprenditoriale) scevra quindi da giudizi in merito di positività e negatività. Questo in quanto tutte le relazioni tra esseri umani sono permeate da opportunismo. Allo stesso modo i comportamenti delle imprese, viste come sistemi di rapporti tra parti (Cafferata, 2009), sottendono la stessa tensione opportunistica dei partecipanti.

Alla luce di ciò, risulta palese come le parti partecipino ad un processo negoziale secondo un principio di convenienza, seguendo una logica di razionalità individuale.

A seconda che questa razionalità si configuri come pura o reciproca, si hanno comportamenti tesi a perseguire risultati soddisfacenti per la parte indipendentemente dal risultato congiunto, oppure, si è orientati verso il perseguimento di risultati soddisfacenti congiuntamente. A tal proposito, come si approfondirà in seguito parlando delle negoziazioni multilaterali, è illuminante il pensiero del Raiffa, secondo il quale durante le negoziazioni si innescano collegamenti a fattori/relazioni anche esterne all'oggetto specifico che guidano il comportamento delle parti. Ad esempio, la possibilità di ottenere vantaggi futuri congiunti o il collegamento con altri affari con la medesima parte. Pertanto non è detto che le parti si comportino egoisticamente, ma piuttosto è molto probabile una tendenza, sempre opportunistica, alla ricerca di risultati congiunti.

Quanto detto permette il collegamento con l'ultimo dei caratteri delle negoziazioni: la ricerca creativa. L'attività di ricerca creativa di soluzioni congiunte è sottesa a tutto il processo negoziale, e lo differenzia da altri processi decisionali.

Nelle negoziazioni, si è detto, l'obiettivo è il raggiungimento di un accordo potenziale soddisfacente congiuntamente; per far ciò è necessario che le parti si impegnino nella ricerca di soluzioni al fine di bilanciare i diversi interessi in gioco ed avvicinare le posizioni.

Gulliver (1979) nota come la negoziazione venga a qualificarsi tramite un dinamismo di esplorazione e apprendimento che porti al cambiamento di interessi, obiettivi, aspettative, valutazioni e soluzioni.

1.4 Le fasi del processo negoziale

Numerosi sono gli studiosi che si sono cimentati nell'individuazione delle fasi in cui si articola concretamente il processo negoziale. Alcuni hanno agito in base alla tipologia di negoziazione, altri hanno percorso vie più generiche. Data la vastità e ampiezza del campo di indagine non è stata individuata una via esatta, piuttosto si arrivati ad una vastità di modelli di negoziazione per spiegare situazioni contingenti.

E' indubbia l'utilità, evidenziata dal Lewicki e colleghi, di uno studio e un approccio per modelli e fasi. E' però impossibile identificare una via univoca. Pertanto la letteratura ha proposto svariati modelli cui i negoziatori possono rifarsi nel loro lavoro al fine di svolgerlo meglio.

Uno dei più completi modelli per fasi risulta essere quello individuato dal Gulliver (1979), che vede l'articolazione del processo negoziale in otto fasi:

1. la ricerca dell'arena;
2. la definizione dell'agenda;
3. l'esplorazione del campo e precisazione delle questioni negoziali;
4. avvicinamento delle particolare;
5. preparazione della trattativa finale;
6. trattativa finale;
7. formalizzazione dell'esito della negoziazione;
8. implementazione dell'esito della negoziazione.

Un approccio più sintetico, in cui vengono individuate quattro fasi, è quello di Graham e Sano (1989):

1. scandaglio generale;
2. scambio informativo specifico;
3. persuasione;
4. concessioni e accordo.

In entrambi i casi si riconosce l'esistenza di una negoziazione preliminare per la scelta delle regole, del luogo e dell'oggetto della negoziazione, seguita poi dalla vera e propria negoziazione.

Risulta di particolare importanza specificare che l'impostazione di una negoziazione per fasi secondo un modello non garantisce, pur potendolo agevolare, la possibilità di raggiungere un accordo soddisfacente.

1.5 Le grandezze caratteristiche delle negoziazioni

Prima di procedere con l'analisi della struttura negoziale è utile accennare alla definizione delle grandezze caratteristiche delle negoziazioni, in quanto verranno poi richiamate nel corso del lavoro.

Sia che ci si trovi di fronte ad una negoziazione distributiva, integrativa, ad una o più questioni, trattate da una o più parti, si avrà a che fare con la zona di possibile accordo (ZOPA, Zone of Possible Agreement).

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Figura 1.4 - Zona di possibile accordo (Fonte: Gatti, 2008)

Nel caso più semplice, negoziazione distributiva a due parti e una questione, questa può essere rappresentata con una linea retta (asse monetario) bidirezionale. Si rappresenta idealmente da un lato la parte che intende minimizzare l'esito della negoziazione (compratore) dall'altro quella che lo vuole massimizzare (venditore).

La figura rappresenta, inoltre, le seguenti grandezze per ogni parte:

- la richiesta di apertura, ossia il valore inizialmente rivelato all'altra parte per l'inizio delle trattative. Solitamente è un valore ben più basso (alto) dell'obiettivo del compratore (venditore). Come ha fatto notare Raiffa (1982), seppur il punto di accordo in questo tipo di negoziazioni tenda a porsi intorno alla media tra i valori di apertura, aprire con un valore eccessivamente basso (alto) per una parte può portare notevoli svantaggi, come per esempio l'indisposizione dell'altra parte o addirittura l'interruzione delle trattative.
- Il prezzo obiettivo, ossia il valore che idealmente vorrebbe essere raggiunto da ogni parte a chiusura della negoziazione.
- Il prezzo di riserva, ossia il punto al di sopra (o al di sotto) del quale il compratore (venditore) desidera abbandonare le trattative. Importante è l'assunzione del Raiffa (1982): <<each bargainer knows his or her reservation price, but has only probabilistic information about the other party's reservation price. Very often the parties have but an imprecise feel for their own reservation price and make no formal attempt to assess a probability distribution of the other party's reservation price>>.
- Il punto di possibile accordo, ossia una stima astratta, a soli fini teorici, del probabile punto di accordo.
- La zone of possible agreement (ZOPA), rappresentata tra il prezzo di riserva del compratore e quello del venditore. Dunque se questa è positiva esiste una possibilità tra le parti di raggiungere un accordo che sia considerato positivo per entrambi.

Ai fini della tesi è utile specificare ulteriormente il concetto di prezzo di riserva. Questo, introdotto dal Raiffa (1982), è stato più volte oggetto di studio e messo spesso in contrapposizione con il concetto di resistance point (Blount White e Neale, 1991). In entrambi i casi però si parte dallo stesso punto per svolgere l'analisi: il concetto di “best alternative to a negotiated agreement” (BATNA), introdotto nel contenuto dal Raiffa e poi approfondito nella forma dal Fisher, dall'Ury e dal Patton (1991). Secondo queste teorie il prezzo di riserva è determinato da ogni parte tramite una valutazione delle alternative negoziali e dei costi di transazione associati a queste ed al non raggiungimento di un accordo. Raiffa propone una valutazione scientifica da parte delle parti basata su calcoli rigorosi e sulle distribuzioni di probabilità. La Blount White e la Neale, invece, introducono nell'analisi delle parti il fattore psicologico e una serie di valutazioni soggettive sulle preferenze dell'accordo o dell'alternativa.

Sembra utile giungere ad una sintesi che tenga conto sia di un'analisi rigorosa, sia dei fattori psicologici e, per quanto riguarda le negoziazioni che toccano il mondo delle imprese, dei fattori ambientali. Sempre più, infatti, si assiste a negoziazioni fortemente influenzate dal contesto e da forze, apparentemente, esterne all'oggetto di negoziazione; basti pensare il ruolo delle istituzioni e dei sindacati nelle trattative di fusione aziendale o di chiusura di un sito produttivo.

Gatti (2008) fa notare come, seppur fin'ora la letteratura si sia concentrata sul concetto di prezzo di riserva, nelle negoziazioni reali l'obiettivo delle parti risulti un valore molto importante. La focalizzazione sull'obiettivo, se non accompagnata dall'attenta considerazione del prezzo di riserva, genera un effetto di ancoraggio a questo valore disfunzionale per l'esito positivo della negoziazione. Per una parte consapevole di ciò è pertanto anche utile analizzare e tenere in considerazione la “zona dei livelli di aspirazione” propria e dell'altra parte, ossia la differenza tra gli obiettivi delle parti.

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Excerpt out of 178 pages

Details

Title
Dinamiche Negoziali nella Cooperazione tra Imprese
Subtitle
Il Ruolo delle Terze Parti nel caso Fiat-Chrysler
College
University of Rome "Tor Vergata"
Course
Processi e Modelli Decisionali per l'Impresa
Author
Year
2009
Pages
178
Catalog Number
V193268
ISBN (eBook)
9783656182689
ISBN (Book)
9783656183532
File size
1581 KB
Language
Italian
Keywords
dinamiche, negoziali, cooperazione, imprese, ruolo, terze, parti, fiat-chrysler
Quote paper
Andrea Caputo (Author), 2009, Dinamiche Negoziali nella Cooperazione tra Imprese, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/193268

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