Arte russa in Italia

Nuove scoperte dalle collezioni Abamelek-Lazarev e Demidoff


Research Paper (undergraduate), 2010

114 Pages


Excerpt


PREMESSA

Da decenni i rapporti culturali del ‘800 e ‘900 tra la Russia e l’Italia sono oggetto di studi, ma solo dopo la fine della guerra fredda – grazie all’intensificazione dei contatti bilaterali - divenne possibile imporre a queste indagini un carattere più sistematico e comprendente[1]. I metodi, i punti di vista, le finalità ed i risultati raggiunti da entrambe le parti sono però ancora molto distanti, e non per causa semplicemente delle insuperabili avversità nelle posizioni ideologiche o teologiche. Tali contrasti - particolarmente rilevanti nel settore dell’arte, per la sua complessa interferenza con questioni di produzione materiale, conoscenze tecniche, tecnologiche, naturalistiche, con scienze applicate, esatte etc. – sono sintomatici del profondo e onnicomprensivo distacco avvenuto nel periodo sovietico tra il mondo latino e slavo[2].

Già tra la semantica dei rispettivi termini russi ed italiani in materia vi sono troppo pochi punti comuni, ed i tentativi italiani di interpretare fenomeni o processi nello sviluppo dell’arte russa, o degli altri paesi slavi, non convincono. In alcuni casi – per fortuna limitati - si tratta di vere e proprie malintesi o addirittura di falsificazione della realtà storica, come nel casoRussie! Memoria, mistificazione, immaginario[3].

Non meno deludenti le recenti pubblicazioni sulle icone russe conservate a Livorno[4], nella chiesa russa di Firenze[5]o a Venezia e Trieste[6]. Le schede sia delle iconostasi sia delle singole opere ignorano del tutto la loro caratteristiche materiali e tecniche, e riducono l’analisi artistica a un elenco di notizie storiche: del tutto in contrasto con le attuali tendenze europee[7].

Diverse sono sia i percorsi formativi degli specialisti e la consistenza dei dati di confronto a loro esclusiva disposizione, sia le capacità e l’organizzazione delle strutture scientifiche. La ancora viva e diffusa abitudine italiana di trattare l’arte figurativa come un specifico genere storico letterario o come intrattenimento, una sorta di immaginario virtuale, cui interpretazione è affidata esclusivamente a delle allucinazioni personali, risulta anacronistica non soltanto rispetto allo stato delle cose in Russia, ma anche nei paesi dell’Europa dell’Est e del Centro-Nord, dove tra l’altro sono concentrati i maggiori centri di slavistica[i][8]. Negli studi italiani l’aspetto storico spesso viene scollegato da quello materiale e tecnico, e la formazione di uno storico dell’arte qui invece di cercare a distinguersi da discipline limitrofe (storia, filosofia, teologia o lettere) con un proprio metodo e oggetto di studi, segue concetti generici e tradizionali, risalenti addirittura all’800 e oltre[9]. Fatto, a dir poco, irresponsabile nei confronti delle giovani generazioni che avrebbero diritto di istruzione a pari livello con quella dei loro coetanei in Europa.

In più, tale impostazione formativa risulta inadeguata nel contesto dei moderni metodi per la catalogazione e la conservazione delle opere d’arte bisognosi di dettagliate conoscenze riguardo la struttura materiale e la fattura, inoltre fondate su prove oggettive e rigorosamente scientifiche[10].

Le esposizioni su arte italiana in Russia[11]o su arte russa in Italia[12], per opera dei musei russi, segnano tuttora, decenni dopo la fine della guerra fredda, distanze abissali in confronto alle manifestazioni italiane dedicate all’arte russa o sovietica. Già per il fatto che quest’ultime non si preoccupano nemmeno di dimostrare in modo indiscutibile l’origine legale, l’importanza e soprattutto l’autenticità delle opere esposte[13]: un compito reso ancora più difficile dalla liberalizzazione del commercio negli ultimi vent’anni e dal significativo aumento delle frodi e dei falsi in circolazione.

Mentre gli istituti scientifici di competenza in Russia da decenni adottano misure per contrastare questi snaturati fenomeni di mercato[14], in Italia (e in gran parte dell’Occidente) le perizie relative sono subordinate all’unica preoccupazione di giustificare i mezzi investiti nelle opere di possesso[15].

Le iniziative “di scala internazionale” del governo italiano a mettere sotto controllo le conseguenze della destabilizzazione socio-politica in Europa post comunista, come UNIDROIT[16], non sono state giudicate convincenti in estero e non hanno raccolto delle adesioni significative[17]. Non senza ragione: proprio allora si videro nascere e ampliarsi anche con reperti illegalmente importati dalle aree di conflitti nell’Est[18]molte “nuove” collezioni che, nella maggioranza dei casi, si posizionano in un’ottica sempre più amatoriale e mercantile, anche quando risultano oggetti di culto o di tema ed ispirazione teologica, come le icone[19].

A prescindere da poche eccezioni, la maggior parte delle raccolte private non è dotata nemmeno di perizie che propongano attribuzioni credibili e accertino l’autenticità delle singole opere, ma soltanto di spiegazioni riguardanti l’iconografia e lo stile, eventualmente il periodo, di referenza relativa e composte da persone che non dimostrano di avere la necessaria preparazione professionale. Nelle vendite di arte russa sul mercato antiquario in Italia, Inghilterra o America le inesattezze ed i falsi, secondo alcuni calcoli, sono più numerosi della merce stessa. Alle aste di Finnarte-Semenzato, per dare solo un piccolo esempio, spesso vengono spacciate come argenti della filiale moscovita di Fabergé opere che portano i punzoni dei maestri: attribuzione[20]- come approvano gli ampi archivi a riguardo conservati in Russia - assolutamente falsa! La filiale di Fabergé a Mosca non consentiva mai la punzonatura degli iniziali dei singoli maestri assieme a quelli della firma[21].

Grazie allo sforzo congiunto delle autorità russe e di privati italiani nella veste di Banca Intesa – San Paolo, negli ultimi vent’ anni si è riusciti ad attivare una controtendenza a questi malcostumi.

Tutto iniziò nella metà degli anni 1990, quando il banco Ambroveneto (dal 2001 fuso con altre banche in IntesaBci) acquisì la collezione di icone di Davide Orler. Negli anni successivi la raccolta fu arricchita in modo mirato con altre singole opere o piccole collezioni provenienti dal mercato antiquario. Oggi essa rappresenta la più grande esposizione di icone russe fuori la Russia - oltre 500 opere - e documenta in maniera impressionante i diversi aspetti tematici, iconografici, tecnici e stilistici della loro storia, soprattutto la trasformazione avvenuta con le riforme di Pietro il Grande (1672-1725). L’accento della collezione cade sui secoli XVIII e XIX, e sulle scuole nordiche. La fioritura economica di queste regioni popolate da etnie finno-ugriche e baltiche, da krivici, sloveni, etc., attorno alla metà del secolo XVII ebbe grande impatto sulla loro arte, cui splendore e maestria divennero rivali con i più famosi capolavori della pittura occidentale dei secoli XVII-XIX.

Oltre al suo rilevante volume ed importanza, la collezione vicentina ha il privilegio di essere una delle meglio studiate sia da esperti russi che da specialisti occidentali[22].

Lascia purtroppo ancora molto desiderare l’analisi delle particolarità materiali e tecniche delle singole opere, eseguita da una équipe italiana in occasione dei restauri intrapresi. Le annotazioni in proposito[23]dimostrano quanto sono sottosviluppate ancora, in Italia, le conoscenze in questo settore rispetto allo stato delle cose in Russia, nonostante che per molti lati la cultura materiale degli artisti russi si intreccia direttamente con la storia delle tecniche artistiche in Europa Occidentale.[24]Altrettanto insoddisfacenti sono i commenti sulla tecnica e la tecnologia delle icone russe conservate a Livorno, pubblicati in occasione del loro restauro[25]. Gli interventi addottati – di carattere atipico e guidati più da spirito avventuristico che da una seria metodologia e approfondita previa indagine sulla struttura materiale e sulle caratteristiche concrete di ogni lavoro - invece di conservare, hanno parzialmente distrutto la loro autenticità e valore documentario. Per niente migliore è stata la sorte delle icone russe nel contingente del Museo delle icone bizantine a Venezia sottoposto, negli ultimi 60 anni, a almeno due interventi globali di restauro, cui esatto oggetto e carattere non è mai stato reso pubblico, in pieno dispetto della famosaCarta Internazionale del Restauro di Venezia(del 1964), firmata anche dalla Grecia.

La più grave carenza dell’esposizione vicentina rimane tuttavia l’indifferenza dei curatori verso l’esatta provenienza delle opere acquisite da D. Orler o altrove. Un’analisi esperta sarebbe in grado di estrarre ancora molti importanti indizi rispetto la loro originaria destinazione e valore storico[26], e di gettare più luce su momenti oscuri nei rapporti italo - russi del passato.

Negli ultimi anni, grazie alla buona intuizione di alcuni collezionisti privati, sono state create anche altre raccolte, oltre alla vicentina, di entità assai minore, ma non meno preziose. Queste hanno assorbito sia le opere importate ancora nell’700 come doni reali[27]o per il volere dei primi ambasciatori ed aristocratici russi in Italia[28], sia quelle penetrate nel mercato antiquario in seguito alle ondate migratorie successive dalla Russia e dall’URSS (le cosiddette prima e seconda ondata) - fino a giorni d’oggi.

Ci siamo limitati qui con un gruppo di oggetti venuti alla luce nel 2007 in un insieme, dopo il loro acquisto da una raccolta molto più grande da parte del collezionista M. Bortolotto (Galleria Antiquaria San Marco, Venezia)[29]. Con l’occasione desidero esprimergli il mio ringraziamento per aver attratto la mia attenzione sul caso, per il supporto tecnico e la pazienza che mi permisero di studiare dettagliatamente, in più ritorni e sotto lente, tutti gli oggetti prima che si disperdessero in altre mani private.

La diversità tipologica e l’indiscussa autenticità di questa raccolta arricchisce con nuovi ed importanti aspetti le conoscenze su un periodo dell’arte russa cui prodotti, per forza delle massicce emigrazioni verso l’Europa e l’America, sono tra i più diffusi nel mondo, ma che proprio per la loro dispersione sono ancora poco documentati e studiati. Molti esemplari di importante valore artistico - preziosi testimoni di poco noti elaborazioni tecniche della fine secolo XIX - inizio del XX, si trovano ancora sul mercato antiquario. La loro complessa fattura non è facile da interpretare. La realizzazione del progetto nei materiali previsti di solito si svolgeva in collaborazione tra diversi esperti, a volte perfino in diverse città. Una particolarità dell’argenteria “dell’età d’argento” costituisce la continua perfezione della struttura e dei singoli dettagli (incorniciatura, tipo di smalti, vernici, filigrane, ornamentazione con perle singole o in filo) e, naturalmente, dell’esecuzione artigianale: fatto che complica l’attribuzione del lavoro a una o altra cerchia.

Le iscrizioni d’accompagnamento vanno sempre prese in considerazione, ma esse da soli non possono risolvere il problema dell’identificazione, come lo dimostra nel nostro caso l’icona di san Antipa.

Le probabilità di falsificazioni e contraffazioni normalmente vengono escluse attraverso il classico esame dei punzoni ed il loro confronto con marchi di origine provata. In questo proposito è da notare che il censimento e le indagini sulla produzione artistica del ‘800 e ‘900 in Russia, anche se in un stato avanzato, ancora non sono conclusi, e importanti fenomeni della sua storia, come, ad esempio, le vie della “occidentalizzazione” dell’arte tradizionale russa, continuano a portare alla luce nuove sorprese sia dai depositi russi che dalle collezioni estere[30]. Per gli europei, le sofisticate tecniche e strumenti utilizzati dai russi nei trattamenti dei metalli (l’otkrass,la zigrinatura, la fotoincisione etc.) restano tuttora un enigma.

La pubblicazione della tabella cronologica dei marchi d’argento russi assieme a dati in continuo aggiornamento riguardo singole ditte o maestri offrono una guida indispensabile, nonostante ciò l’individuazione delle segnature presenta ancora delle difficoltà. Finora non si è riusciti a determinare tutte le iniziali. Per riconoscere i rivestimenti di valore e per distinguere le varie scuole e mani di singoli maestri, è stato necessario estendere i confronti su opere, cui origine è inequivocabilmente documentata.

La storia del collezionismo di arte russa in Italia deve ancora essere scritta. I connotati sommari della presente raccolta la collegano indubbiamente alle cerchie dei più ricchi tra gli emigrati russi in Italia, concentrati a Roma e a Firenze.

Alcune particolarità emerse durante l’analisi iconografica, stilistica e tecnico-tecnologica dell’insieme delle opere ricuperate dal Bortolotto suggeriscono che, con grandissima probabilità, esso apparteneva alle famose collezioni Abamelek-Lazarev e Demidoff, ma la presenza di oggetti con scritte addirittura del 1952 lasciano alcune perplessità, anche se il nipote della Demidova, Paolo di Jugoslavia, residente a Parigi, mise lì, negli anni 1960, le sue collezioni ad asta[31]. Altro esempio: per motivi onomastici, l’icona di sant’Elena potrebbe essere appartenuta alla regina ellenica di origine russa (dalla famiglia Romanov), Ol’ga Costantinovna (…1925), membro molto attivo nei rapporti tra ortodossi greci e russi in Italia per un determinato periodo dell’inizio ‘900, in stretto contatto con gli Abamelek-Lazarev e Demidova. Oggetti ad uso liturgico per opera del laboratorio di Sceljaputin a Mosca, considerato nell’attribuzione di uno dei rivestimenti presentati (cat. n.10), sono tuttora conservati nella chiesa russa di Firenze[32]. Per il momento si tratta di ipotesi più o meno certificabili. Speriamo che le ricerche storiche in corso e l’attività del centro a Zaryzino per il ricupero del patrimonio russo esportato in estero col tempo riusciranno a raccogliere l’informazione necessaria a delucidarle.[33]

Il principe Semen Semenovich Abamelek-Lazarev fu la personalità più celebre nella dinastia degli Abamelek-Lazarev ed uno degli uomini più ricchi in Russia. Sua proprietà erano le miniere d’oro, gli stabilimenti per estrazione di ferro, le miniere per carbone e sale negli Urali. A San Pietroburgo possedeva due lussuosi interconnessi palazzi, alla Millionnaja 22 ed a Mojka 23, e un altro a Nizhnij Novgorod, dove, nel 1918, furono scoperti incalcolabili tesori:[34]

probabilmente solo una piccola parte del suo patrimonio, disperso anche in Italia, dove trascorse molti anni della vita.

Nacque a Mosca nel 1856. Da parte del padre apparteneva alla famiglia Abamelek, in legami di parentela con la famiglia georgiana reale dei Bagratidi. Da parte della madre – alla vecchia famiglia armena dei Lazarev, cui antenati si trasferirono in Russia dalla Persia. Nel 1881 si laureò alla facoltà di storia e filologia dell’università di San Pietroburgo. Subito dopo conseguì dottorato e divenne provveditore dell’Istituto Lazarev per lingue orientali. Nel 1881-2, durante un viaggio nel Mediterraneo, scoprì in Siria, a Palmira, una lastra marmorea con scritta in greco ed aramaico, grazie alla quale successivamente divenne possibile decifrare l’antica lingua aramaica[35]. In più si occupava della gestione dei suoi numerosi stabilimenti ed era membro di diverse commissioni e consigli imperiali.

Semen Semenovich si trasferì in Italia nel 1907, acquistando a Roma la più grande villa attorno al Vaticano, villa Torri (costruita nel 1730), che oggi porta il nome Abamelek ed è residenza dell’ambasciata russa. Già prima era impegnato nella progettazione di una chiesa ortodossa a Roma[36]. Il principe era sposato con la figlia di un altro tra i più ricchi russi – Pavel Demidov e la principessa Elena Trubetzkaja – Maria Pavlovna Demidova, in eredità principessa di San Donato.

I Demidoff erano una ricchissima famiglia di industriali di origine russa, la quale, in seguito all'invio di Nicola Demidoff, un instancabile collezionista di opere d'arte, come ambasciatore dello Zar Aleksandr I, nel 1837 si stabilirono a Firenze, dove presero viva parte nella vita culturale e politica della città. Nel 1822 N. Demidoff iniziò la costruzione di una villa nella zona di San Donato, la quale, dopo la sua morte, fu portata a termine nel 1831 dal figlio, Anatolij Demidoff, riconosciuto dal Granduca Leopoldo II come Principe di San Donato. Egli trasferì alla villa tutte le magnifiche raccolte d'arte di famiglia, già conservate a Palazzo Serristori, e si prodigò nella decorazione del parco all'inglese e della villa stessa.

Dopo la morte di Anatoliij e di suo fratello Paolo, la villa passò al figlio di Paolo, il Principe Paolo II Demidoff[37].

Con la costruzione 1902-3 della chiesa russa a Firenze, nella sua cripta fu trasferita l’iconostasi della cappella privata dei Demidoff, fondta ancora nel 1823[38].

La famiglia di Abamelek-Lazarev (…1916) e Demidova (…1955) trascorreva i periodi estivi nell’altra villa di proprietà, la Pratolino a Firenze, ed era strettamente legata alla famiglia di Lev N. Tolstoj.

Nel 1916 il principe venne ucciso durante un suo viaggio nel Caucaso e seppellito nel cimitero armeno di San Pietroburgo.

Secondo il suo testamento, dopo la morte della moglie la villa Abamelek doveva passare in proprietà all’Accademia d’Arte Russa ed ospitare pittori e scultori russi in visita a Roma. Nel documento si stabiliva che essa deve portare il nome “Villa Abamelek”, che gli alberi e gli arbusti non si possono tagliare e gli oggetti d’arte e le antichità non devono essere portati fuori i suoi confini.

Nella realtà le cose non andarono così. Le autorità italiane (al potere poco dopo venne Mussolini) non riconobbero il testamento[39]. Dal 1923 fino al 1941 il Commissariato Popolare per gli Affari Esteri dell’URSS porto avanti una causa giudiziaria senza successo. Solo dopo la vincita sopra il potere fascista, nella villa si insediò il club degli ufficiali sovietici e poi – con il riconoscimento del testamento - essa divenne reale proprietà dell’URSS. Grande ruolo per la soluzione del contenzioso ebbe il leader dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, per breve anche ministro della giustizia. Successivamente villa Abamelek divenne sede dell’ambasciata sovietica e, in rispetto del vincolo testamentario – residenza per i pittori e scultori russi a Roma. Di recente sul suo territorio è stata costruita una chiesa ortodossa dedicata a Santa Ecaterina.

OREFICERIA ED ARGENTERIA RUSSA DELL’EPOCA NUOVA:

DAL SECOLO D’ORO VERSO L’ETÀ D’ARGENTO

La collezione presentata qui fa parte della memoria dispersa dell’Epoca Nuova russa che oggi si inizia a ricuperare con molte difficoltà dovute alla perdita di nomi, di fonti documentarie, archivi, biblioteche o collezioni. Ovviamente, allo stato attuale delle ricerche, anche i termini utilizzati per la classificazione periodica soffrono di un certo relativismo.

Il termine “età d’argento” fu utilizzato per la prima volta dal filosofo N.A. Berdjaev[40]per distinguere il “secolo d’oro” di Puschkin, Gogol o Glinka da quel periodo della vita culturale russa che inizia con la fine del secolo XIX e si chiude con la prima guerra mondiale.

Il “secolo d’oro” e l’“età d’argento” in Russia sono segnati dalla decisiva volontà di emergere nel primo piano del quadro politico e culturale europeo, e da un crescente ruolo delle classi aristocratica e borghese nell’assetto dello stato monarchico. “Il tramonto del sole del realismo”, come chiamò A. Block i processi svoltisi nella seconda metà del secolo XIX, in termini storici non fu che un continuo inasprimento dei contrasti sociali nell’Impero russo - fino al suo definitivo crollo. Essi destabilizzarono la cultura di corte ed imposero una totale revisione dei sistemi di valori e dei mezzi di espressione creativa, mandando nella storia generi come il romanzo realistico, l’opera o la pittura su soggetti tratti dal vivo. Al posto loro nacquero arti e stili che diedero molto più spazio alla fantasia ed all’immaginazione: la poesia simbolistica e futuristica, la pittura metafisica, astratta o decorativa, l’architettura del Modern, il movimento del “Mondo dell’arte”, il balletto sincretico, il teatro decadente, la musica “filosofica”, la “Nuova scuola di canto ecclesiastico” e tanti altri fenomeni spesso di direzioni opposte o contrastanti, uniti soltanto dai complessi problemi globali che dovevano affrontare[41]. All’epoca, e fino al passato non lontano, essi riscontrarono la dura reazione della critica che li etichettò come prodotti di decadenza, segni di un mondo “in agonia”, ma oggi – a pari passi con il ricupero delle opere disperse, questi giudizi vengono sottoposti a radicale revisione, e l’importanza dell’intero periodo per lo sviluppo culturale del paese - riabilitata[42].

Non vi sono più due opinioni sul fatto che la Russia non ha mai parlato il russo con accento francese[43]e che l’assimilazione delle conquiste della civiltà occidentale in casa propria fu sempre rigorosamente vincolata dagli interessi dello stato.

Come viene evidenziato anche dal presente catalogo ragionato, l’apertura russa verso l’Occidente nella realtà fu l’epoca della prima sistematica ricerca delle tradizioni culturali nazionali, alla quale si deve il suo storicizzante aspetto stilistico[44], profondamente marcato dalle idee del panslavismo[45]. Grazie alle prominenti posizioni economiche e politiche raggiunte in questo periodo, la Russia, come mai fino allora, divenne determinante per lo sviluppo e le manifestazioni artistiche e culturali anche nel resto dei paesi slavi[46].

Purtroppo, il ruolo decisivo della cultura slavo-ortodossa per la civilizzazione dei paesi occidentali, sia direttamente sia come tramite del mondo orientale, rimane ancora molto sottovalutato[47]. Particolarmente grave è l’indebitamento della storiografia in slavo e latino verso il contributo dell’intelighenziarussa e sovietica fuori i confini nazionali.”[48]

Fuori dubbio, le future ricerche sui rapporti artistici italo - russi avranno bisogno di grandi professionisti, dotati di ambizioni e creatività, e in grado oltre a ricuperare e far chiarezza su questo patrimonio, anche a trasferire il dialogo culturale italo – russo su basi realistiche e costruttive, di reciproco rispetto e negli interessi di entrambi gli stati.

* * *

La conquista di sconfinati territori dagli Urali fino al Pacifico, nei secoli XVIII e XIX, assicurò all’Impero russo immense nuove ricchezze. La rinascita delle arti e dei mestieri, e delle scienze tecniche, resa possibile grazie al crescente afflusso d’oro, d’argento, di pietre preziose e di minerali di ogni tipo, portò allo sviluppo di una fiorente industria dei gioielli[49].

Nonostante la crescente laicità della vita intellettuale, durante la seconda meta del s. XIX – fino al 1917, all’arte religiosa come prima fu riservato un ruolo di guida,[50]investito oltre che dal compito di legare in un insieme la moltitudine di etnie e tradizioni rappresentate sul territorio nazionale in continua espansione, anche dalla necessità di consolidare l’irripetibilità della fisionomia nazionale in piano estero.

Come ben noto, attorno alla meta degli anni 1660 la chiesa russa si spaccò in due correnti: la pro occidentale (ufficiale) e dei Vecchi Credenti (staroverniki)[51]. Nel 1654 il patriarca Nikon anatematizzò tutte le icone dipinte in maniera realistica, all’occidentale, e fecce distruggerle[52]. Il suo divieto ebbe però poco effetto sull’estetica dell’icona, cui trasformazione iniziò da Pietro il Grande e si svolse secondo complesse legittimità storiche. Nell’ambito della corrente ufficiale, la tradizionale immagine commemorativa assunse romantici tratti stilistici e lentamente sostituì i suoi connotati religiosi ed ecclesiastici con segni di ricchezza e d’appartenenza nazionale. La rinascita dell’arte iconografica e delle sue antiche tradizioni fu promossa direttamente da Nicolaj II, appassionato delle antichità ecclesiastiche. Nel 1901 venne fondato il “Comitato tutorio per l’iconografia russa”, e nel 1913, in occasione del 300 anniversario dei Romanov - un’imponente esposizione di antiche icone a Mosca[53].

Le icone “dell’Epoca Nuova”[54]segnano l’ultima grande rinascita di una forma particolare dell’icona con rivestimento argenteo, la quale si distingue per metodi decorativi estremamente complessi e rappresenta un fenomeno tipicamente russo. In termini storico religiosi, l’icona – particolarmente nell’età d’argento - si avvicina all’immagine commemorativa che mantiene un culto privato verso i santi - protettori personali, oppure verso miracolose salvazioni.[55]

I rivestimenti metallici delle icone già da prima godevano di grande affetto nei paesi ortodossi. La loro storia risale ai periodi più antichi dell’arte bizantina: icone, rivestimenti e reliquiari in metallo venivano prodotti sia nei centri artigianali dell’impero sia nei paesi limitrofi con millenari tradizioni nella lavorazione dei metalli - nel Caucaso, in Kossovo-Metochia, in Macedonia, Bulgaria ed in Transilvania[56]. Quest’arte fu al suo apogeo sotto le dinastie dei Macedoni e dei Paleologhi: in Georgia e a Costantinopoli, attorno alla metà del secolo XI, nacquero veri capolavori, dai quali si tratta non soltanto di rivestimenti, ma di icone eseguite interamente in metallo. L’arcangelo Michele nel tesoro di San Marco a Venezia[57], assieme alle icone argentee di San Giorgio a cavallo a Tbilissi ed a Nakipari, sono tra i rari testimoni di questa particolare tradizione nell’arte delle icone metalliche, arricchita da originali tecniche decorative islamiche[58].

In seguito alla conquista ottomana, nei paesi balcanici l’arte del metallo dal XV al XIX secolo si concentrò progressivamente nel settore degli apparecchi liturgici e rivestimenti metallici venivano ordinati soprattutto da governatori russi, valachi e moldavi, come doni per i monasteri di Monte Athos[59].

Diversamente andarono le cose in Russia. La prima menzione riguardante l’estrazione dell’oro lì risale solo alla fine del secolo XV, quando Ivan III chiese al re ungherese Matiasch “…di inviarli maestri che conoscono i minerali dell’oro e dell’argento e sono in grado di dividerli dalle impurità”[60]. Nel 1584 a Mosca fu fondato dicastero per le risorse minerarie,Приказ каменных дел, in cui archivi sono conservate memorie delle prime esplorazioni geologiche avvenute negli anni 1620, lungo i fiumi Pecher, Zylma, Jaiva, Volga, Kama, etc. Nelle ricerche d’oro e d’argento i russi venivano affiancati da esperti francesi, persiani ed altri, chiamati tutti “nemciny” (tedeschi)[61].

Notizie del 1624 attestano l’esistenza di un dicastero per l’oro e perfino di un’esposizione mineralogica. Tuttavia, fino al s. XVIII giacimenti d’oro sul territorio russo non erano stati scoperti.[62]Nell’elenco dei dicasteri moscoviti del 1633 risultano un Ufficio per l’oro ed uno per l’argento presso gli omonimi dicasteri. Entrambi esistevano parallelamente fino alla loro liquidazione febbraio 1700. Il numero degli orafi e degli argentieri russi e stranieri, le loro qualifiche e istruzione erano rigorosamente regolamentati.[63]Era proibito lasciare il mestiere per proprio desiderio. Gli orafi erano ammessi pure all’ordine degli argentieri collocato nel sobborgo “cinese” di Mosca. Oltre il re ed il patriarca, fornivano bensì la ricca aristocrazia.

Il risveglio dell’oreficeria e dell’argenteria nel secolo XVIII portò alla formazione, in Russia e nell’annessa 1686 all’Impero russo Ucraina, di diverse scuole impegnate nella produzione oltre di oggetti di culto, anche d’arme e di cose d’uso quotidiano[64]. Dell’altissimo livello delle opere eseguite nei due uffici citati, oggi si può giudicare in base alla collezione dell’Armeria di Mosca che conserva principalmente oggetti ecclesiastici. I documenti storici attestano però che la tesoreria del Cremino era ricchissima di opere di carattere laico: armi da parata, addobbi per cavalli, gioielli, doni reali, posate e molti altri. Purtroppo, gran parte di questi sono andati distrutti o fusi.[65]

I lavori per l’élite fino all’inizio del secolo XIX erano esclusivamente manufatti ed originali. Acanto alle costose, splendidamente decorate rise in argento, destinate principalmente all’alta aristocrazia, negli ambienti popolari i più diffusi erano le icone ed i croci di formato ridotto, stampati in rame, bronzo, piombo e ottone[66].

Mentre da punto di vista iconografico i rivestimenti metallici seguono le norme della pittura su icone, le loro forme principali costituiscono autonomi tipi dell’arte del metallo ortodossa. Così sottobasma si intende la fascia, larga da 3 a 5 cm, che incornicia il campo raffigurato. Questa denominazione proviene dalla parola turca baisa, paitsza(impronta). Già tra i secoli XIII e XV in Macedonia, e dal XV in poi in Russia (a Novgorod e poi a Mosca), le morbide placche in oro o in argento dellabasmavenivano decorati a rilievo arrotolandovi sopra, con pressione, stampini in metallo o pezzi di filigrana[67].

Con la parola russaoklad si chiama il rivestimento parziale che copre il sottofondo e le aureole; l’antica parola slavarisainvece si usa per i rivestimenti che lasciano scoperti solo visi, mani e piedi e spesso sono abbelliti da elementi complementari: datzata(pettorale a forma di mezza luna), nimbi in metallo, corone o mitre, pietre preziose, perle, smalti, filigrana, granulazione ed altre ornamentazioni sulla superficie del metallo[68].

In Russia, la punzonatura delle opere in metalli nobili divenne obbligatoria nel 1700[69]. Dalla metà del secolo XVIII i rivestimenti argentei portano sul bordo inferiore una serie di timbri che indicano i seguenti dati :

Gli iniziali dell’argentiere. Alcuni maestri mettevano il loro nome per intero: normalmente in segno dei loro diritti speciali in quanto fornitori di corte (ad esempio Ovcinnikov e Fabergé) e allora l’aquila bicefala dell’Impero russo stava sopra il loro nome. Questo era consentito soltanto a pochi: tra loro furono gli orafi Fabergé, Hlebnikov, Sazikov ed anche alcuni stranieri[70].

Anno di punzonatura e marchio della città: dal 1741 ogni città russa aveva un proprio emblema. Il marchio della città di Mosca fu per lungo san Giorgio che uccide il drago, quella di San Pietroburgo - un scettro con due ancore incrociate, etc.

Segno dell’assaggiatore (marchio di controllo) con lettere iniziali e date, ed il contenuto di puro metallo. Solitamente l’argento russo è di 84zolotniki(875/1000), tuttavia potrebbero essere anche 72, 76, 88, 90 (1zolotnik= 1/96 libbra).

L’intera produzione artistica dell’Epoca Nuova è segnata da innovazioni tecniche cui studio è lontano ad essere esaurito. Le pubblicazioni più recenti degli specialisti russi hanno già chiarito molti degli aspetti essenziali, tuttavia le collezioni private ed il mercato antiquario continuano a proporre casi sorprendenti. In linee generali si distinguono due principali tendenze stilistiche: quella della scuola di San Pietroburgo e di Mosca.

Il profilo della prima è stato durevolmente impresso dal movimento ideologico - estetico “Mir Iscusstva” (Mondo dell’arte, l’omonima rivista fu pubblicata dal 1899 fino al 1904), attorno al quale per breve si schierò tuttal’inteligenziarussa. Secondo il loro credo, “la globale sintesi artistica basata sullo storicismo sarebbe l’espressione della libertà personale dell’artista”. Gli appartenenti a questa corrente lavoravano nelle maniere più svariate, in un ampia cerchia di settori: pittura monumentale e da cavalletto, scenografia teatrale, illustrazione di libri, disegni per vetrate, progetti per sculture. Studiavano e diffondevano in Russia le migliori conquiste della cultura occidentale. L’unica cosa che li accomunava era la preoccupazione del ruolo sempre minore dell’arte nella vita quotidiana e della sua crescente inaccessibilità ai ceti popolari.[71]

John Ruskin appartenne ai teoretici esteri del raggruppamento che, col suo sforzo di far risuscitare dimenticate tecniche artistiche dimostra stretta parentela con il movimento “Art & Craft” di William Moris.

Connotato principale della scuola di Pietroburgo è l’apertura verso l’Occidente. Il primo produttore di rivestimenti argentei fu la fondata nel 1842 ditta del gioielliere di corte, Fabergé, con filiale a Mosca (1887), London (1903), Kiev (1905) e negozio ad Odessa (1890)[72]. Per la progettazione e la pittura delle icone venivano invitati artisti di fama, mentre le parti in oro, argento, vetro e smalti erano affidati a maestri nazionali ed esteri, che seguivano le tradizioni dai tempi di Pietro il Grande. Attorno al 1900, dagli argentieri di San Pietroburgo (Fabergé, Gratschevi, Ovcinnikov) erano di particolare moda gli smalti trasparenti su sfondo cesellato, le pietre preziose nazionali, le perle orientali e gli smalti di colori delicati[73].

La scuola di Mosca si affermò nella seconda metà del secolo XIX. I suoi tratti principali sono la consapevolezza del proprio passato culturale e la tendenza di distinguersi dall’arte della nuova capitale. L’ambiente moscovita fu la culla dello stile “russo” e “neo russo”, divenuti simbolo per eccellenza dell”età d’argento”. Durante l’internazionale fiera dell’artigianato a Chicago nel 1898, la pittrice moscovita Elisabetta Böhm ricevette medaglia d’oro per “disegno formidabile, tipica composizione degli elementi decorativi, superbo senso artistico e richiamo dello stile bizantino e nazionale”. A Mosca, nella produzione di oggetti di culto, una posizione di spicco aveva la ditta di I.P. Sazikov, (fondata 1798, fornitore di corte dal 1846). Dal 1853 si impose il fabbricante moscovita Pavel Ovcinnikov (1830-1880, con filiale a San Pietroburgo dal 1873). Egli fu il primo ad aprire una scuola presso la propria fabbrica. Con la progettazione degli ornamenti in oro ed argento fu incaricato il famoso artista Bornikov. Tipico per Ovcinnikov è lo smalto su ornamenti in filigrana. La sua ditta eseguiva con gran successo smaltature in tecnicacloisonnée, in proposito della rilegatura esposta alla fiera di Mosca, la stampa scrisse “a lui appartiene il merito di aver reintrodotto ilcloisonnénon soltanto in Russia, ma in tutta Europa”[74].

L’ultima fioritura di questa tecnica in Russia risale ai tempi dei principati di Kiev e di Vladimir, tra i secoli X e XIII[75].

Ai grandi argentieri moscoviti appartengono inoltre Kurljukov, Nemirov-Kolodkin, Vassilij Semenovitch Semenov, Mihail D. Paramonov, Matvej Borissov Kostrov, Rückert, Olovjanischnikov & f.lli e Mischukov. L’ultimo fu in grado di imitare in modo autentico ed irriconoscibile gli smalti russi dei secoli XV-XVII, inoltre contribuì in maniera particolare allo studio dell’antico metodo di saldatura della granulazione[76]. I rivestimenti d’argento venivano eseguiti anche da maestri delle corporazioni degli argentieri e dei gioiellieri, dei quali solo in Mosca vi erano una trentina.

L’”età d’argento”, a cavallo tra i secoli XIX e XX, è chiamata anche “il liberty russo”, che però non poté svilupparsi in uno stile autonomo. Il linguaggio formale delJugendstil fu assorbito attraverso i contatti con l’arte europea ed americana, ed influì oltre l’architettura, la pittura, la scultura, la grafica, la musica, l’opera ed il teatro, anche la stilistica delle immagini di culto[77]. Di fondamentale importanza per l’espressione di queste trasformazioni furono le innovazioni di carattere tecnico e tecnologico: la creazione di nuovi tipi di supporti e di materiali utilizzati per gli addobbi, l’introduzione di nuove tecnologie, la sintesi di nuovi pigmenti.

Nella tradizionale pittura a tempera delle icone, ad esempio, sin dal secolo XVII iniziarono a penetrare procedimenti tipici per la pittura occidentale ad olio[78]. Tra questi l’uso di imprimitura o la prassi di aggiungere bianco già nei primi strati, in seguito del che i colori ottenuti erano più chiari e modulati: ocra perlaceo, verde cromo pastello, celeste sbiadito, rosa, grigio colombo, diverse delicate sfumature del colore di sabbia[79]. Caratteristici divennero i grandi formatti e la fluida condotta della linea, assieme all’uso di centinaia di gradazioni di oro e d’argento. La diffusione della pittura da cavalletto, da parte sua, diede slancio e funse da prototipo per le miniature in smalti, che rielaboravano gli originali in conformità alle esigenze concrete.

La pittura a smalto divenne un elemento indelebile dalla caratteristica dell’argenteria e oreficeria russa dell’epoca d’argento. Inventata in Francia attorno la metà del ‘600[80], fu introdotta contemporaneamente a Mosca e a Solvycegodsk già negli anni 1640, sia nell’arte ortodossa che laica. Nello stesso periodo, nel Nord della Russia apparve lo smalto su ghisa[81].

Verso la fine del secolo XIX, da più grande centro per la pittura su smalti sorse la città di Rostov. La quantità della sua produziione crebbe però con ritmi cosi frenerici da portare inevitabilmente verso un abbassamento della qualità e del livello artistico in generale: i disegni si tracciavano veloce con contorni neri, utilizando stereotipi convenzionali, e si sottoponevano soltanto a due o una cottura.

La vera rinascita delle diverse tecniche di smaltatura iniziò verso la metà del secolo XIX, principalmente per merito dei maestri dalla Scuola Imperiale degli Stroganov a Mosca. Essa riportò alla luce il repertorio ornamentale dell’antica arte russa e del folclore[82]. Il maggior successo nel ricupero di quest’arte riguarda il settore della gioielleria e degli oggetti di uso quotidiano di lusso: posate, servizi da tavola, etc.

Altri signifivativi risultati - nella decorazione delle croci e delle icone in rame ad uso popolare, abbondantemente coperti da smalti policromi - furono ottenuti dai Vecchi Credenti del Pomor’e durante i secoli XVIII-XIX, e dalla loro comunità operativa a Mosca a cavallo dei secoli XIX-XX.[83]

L’arte dello smalto su supporto argenteo, cui raffinate sfumature e squisiti ornamenti a tutt’oggi rimangono uno dei connotati esclusivi dell’”età d’argento”, sarebbero impensabili senza l’enorme progresso nella chimica dei metalli e nella produzione di vetri e di paste colorate - materiale base per i colori a smalto e per ceramica e miniatura su smalto. Particolare merito per questo ebbe lo scienziato russo Mihail Lomonossov, con la sua teoria sperimentale dei colori, applicata nella prassi produttiva[84]. Egli riuscì tra l’altro a riprodurre il rubino d’oro noto già ai romani, ma perso con la morte dell’alchemico tedesco Johann Kunkel. La scoperta di nuovi splendidi colori vitrei grazie all’introduzione di cromo, selenio o cadmio, assieme alla prolungata post lavorazione termica dei vetri e delle paste, l’esperto uso delle proprietà degli ossidi già noti, resero possibile la creazione di alcune migliaia di colori in più, ai quali vanno aggiunti i successi nell’arricchimento della l tipologia degli smalti: brillanti, sabbiosi, pastellini etc[85].

[...]


[1] Tra le indagini più antiche Alberti,Venezia ;Сапунов, “К вопросу”; Скржинская, Барбаро;Russian-Venetian;Казакова, Старейшие. Di recente il tema è stato oggetto della dissertazione di Mihail Talalaj presso l’istituto di Storia dell’Accademia delle Scienze Russa ed è costantemente presente nelle sue numerose pubblicazioni successivi, si rimanda al suo sito personale ed a www.russinitalia.it

[2] Stoyanova,Tecnologia., passim.

[3] Colpisce innanzitutto l’ambiguità di questo progetto. Da un lato i commenti riguardo la Russia ricordano in maniera impressionante i cori stonati di “self made understanders” diretti, negli anni della guerra fredda, dagli annoianti centralini politici che abusavano del loro potere, delle barriere linguistiche ed informative, per diffondere falsità e discreditare ipaesi comunisti. Da agguerriti nemici una volta ora li vediamo travestiti da “consulenti” che, con tutti gli insuperabili problemi di criminalità, degrado e recessione a casa propria si fanno carico, con stravolgente misericordia, della promozione della democrazia in Russia (in Cina o altrove), perfino ripartiscono lezioni di corretta gestione politica, economica e culturale. Dall’altro lato vi è la fiducia senza riserve nella credibilità e perizia dei due mercanti-collezionisti italiani. Più che ad una imparziale ricerca universitaria, tale contraddittoria costruzione si avvicina alla logica dell’inganno premeditato.

[4] Si tratta concretamente delle schede delle icone composte da G. Passatelli in Le iconegreche che creano forte imbarazzo soprattutto per la sostituzione della dovuta analisioggettiva con attribuzioni azzardate (“Scuola Macedone”) e osservazioni impreciseriguardo la funzione liturgica o il senso teologico. I risultati – come ben prevedibile – sonodel tutto inutilizzabili. Il Passatelli non ha saputo cogliere niente dall’interessantissima informazione rinchiusa nelle particolarità iconografiche, stilistiche e tecniche degli originali, si veda: Stoyanova,Tecnologia,(cap.Tecniche e materiali, n. 86). Le poche indicazioni di carattere oggettivo, ad esempio che le pitture fossero state eseguite in “tempera con uovo”, a dispetto delle ben note innovazioni della Scuola dell’Eptanesio nella tradizionale tecnica dell’icona (Stoyanova, “I rapporti”, 294-9), lasciano seri dubbi sulle sue reali competenze in materia d’arte medievale in generale. L’unico miglioramento apportato - rispetto alle precedenti edizioni in tema - è la documentazione a colore di tutte le opere.

[5] Discusse dettagliatamente da Talalaj in “Русское.”

[6] Rentetzi, Le iconostasi.

[7] Un buon esempio di come deve essere strutturata l’analisi oggettiva di un’opera nel settore dell’arte medievale e dell’icona costituiscono il catalogo della collezione di icone a Stockholm (Abel,Icons) e le rispettive edizioni del Museo delle icone a Recklinghausen. Nella stessa direzione si iscrivono le accurate analisi fornite dal lavoro della Thieme,Das Tafelbild, condotto alla cattedra di restauro della TU di Monaco: pure “fuori sede”.

[8] Particolarmente gli ambienti attorno al Slawisches Institut a München, al museo delle icone a Recklinghausen, alla collezione di icone del Museo Nazionale di Stockholm, all’INALCO-Parigi, e, naturalmente, centri come Praga, Vienna Varsavia, Belgrado o Sofia, cui tradizioni nella slavistica datano da secoli.

[9] Nel 2009 le drastiche differenze che contraddistinguono la formazione artistica nei vari paesi comunitari sono state oggetto di apposita indagine da parte della Commissione per la Cultura della CEE; il rendiconto è reperibili al suo sito.

[10] Stoyanova,Tecnologia, (cap. La catalogazione).

[11] Si rimanda, in primo luogo, agli archivi in rete del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.

[12] Icone russe in Vaticano;Ori e argenti dall'Ermitage;Faberge:San Pietroburgo 1703- 1825; le periodiche nelle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari (Vicenza) etc.

[13] La casistica è troppo ampia per essere esaurita qui. Ci limitiamo all’esempio del già citato casoRussie: la cospicua quantità di opere tra cui anche di gran valore(!) sarebbe stata importata in Italia dall’URSS negli anni 1960, a scapito del severo regime e, guarda caso, proprio quando esplose il boom dei falsi del ‘900! Manca però la conferma da parte delle autorità russe, l’unica istanza che può garantire la veridicità di tale affermazione. Quindi i quadri esposti potrebbero essere benissimo copie, repliche o falsi, dipinti da studenti delle scuole d’arte sovietiche o da copisti italiani, etc. etc., e non negli anni ‘60, ma all’indomani stesso delvernissage– il loro aspetto non lo esclude.

[14] Per una introduzione si veda il portale del Laboratorio centrale di Restauro, ARTCon.ru

[15] Convinzione fondata sulla mia ventenne esperienza come perito in arte russa edell’Europa dell’Est in Italia, condivisa ed ampiamente documentata.anche da Иванов, Мастера, 1 (introduzione)e da altri colleghi.

[16] Löhr, "Kulturgutschutz“.

[17] Löhr, "Gegen“. Nella prassi attivamente adottate solo da alcuni dei firmatari come la Russia.

[18] Di principio difficili da documentare, tuttavia alcuni casi sono stati denunciati. Per informazione, in continuo aggiornamento, sul traffico illecito di opere d'arte si raccomanda il sito http://www.interpol.int/

[19] Rimandiamo, per esempi concreti, al sito di uno dei maggior rivenditori di icone russe in Italia, Davide Orler.

[20] Semenzato F. & C. S.a.s.Importanti,loti 320 e 321.

[21] Иванов,Мастера, introduzione. I primi seri lavori dedicati alla storia della gioielleria, a partire dall’antico Egitto fino al periodo moderno, ed in inseparabile legame con lo sviluppo delle altre arti applicate, risalgono verso la fine del s. XIX – inizio del XX. Purtroppo nelle edizioni europee vengono menzionati solo i nomi dei gioiellieri russi che parteciparono alle fiere internazionali e, in generale, riguardo all’argenteria ed oreficeria russa si seguono vecchie ed inaffidabili fonti bibliografiche.

[22] Gli studi relativi sono segnalati nell’ultimo catalogo,Icone russe2003.

[23] Pubblicate in corredo alle singole schede inIcone russe2003.

[24] Numerose testimonianze offrono le fonti documentati da Виннер,Технология, Киплик,Техника o Гренберг,Свод.

[25] Le icone greche:sull’in’affidabilità delle fonti bibliografiche si veda Stoyanova, Tecnologia,nn. 90-1.Altrettanto discutibili risultano i metodi di intervento: per confronti rimandiamo all’apposita bibliografia citata a www-ARTCon.ru

[26] Si vedano le singole opere presentate nel catalogo allegato qui.

[27] Impegnata a contrastare l’espansione turca in Europa, già dal s. XVII la Russia rimase stabilmente presente sul territorio degli Appennini, dei Balcani e del Mediterraneo, proteggendo con tutti i mezzi diplomatici, sia da musulmani che da cattolici, non soltanto le comunità ortodosse di lingua slava sparse lì, ma anche quelle greche (Dell’Agata Popova,Icone,54-5, Talalaj, “Русское”, nn. 5, 6.). Questo supporto spesso si concretizzava oltre che in visite personali dei sovrani, anche nell’inviò di doni reali, come le icone ed i paramenti sacri eseguiti dalla Scuola dello zar per la comunità ortodossa di Malta, ridonate alla chiesa greco-russa di Livorno (Dell’Agata Popova,Icone,cat. nn.35, 45-56), o della comunità russa di Firenze (Talalaj, www.russinitalia.it).

[28] Talalaj, “Русское” nn. 1, 18-22, 25-7, 29.

[29] www.anticoantico.com/sanmarco.it (Frezzeria, San Marco, 1725, Venezia) Rendendosi conto da solo del loro valore, egli li acquistò ed espose, nello stesso anno, alla fiera dell’antiquariato di Milano e al mercato antiquario di Stockholm. In questa occasione nacque la prima versione del presente catalogo.

[30] Рындина,Русское; Комашко, “Русская”;Данченко “Русские иконописцы”; Голиков, “Переходный”. [31] Ringrazio per questa comunicazione M.Talalaj. Benché in dispetto del vincolo testamentario de jura,questa operazione si impose per la necessità di raccogliere fondi a sostegno della comunità dei russi in Italia., dunque in piena sintonia con gli impegni della Demidova negli ultimi anni della sua vita. Talalaj,,La chiesa,12.

[32] Talalaj,,La chiesa,29.

[33] Per la storia, l’attività e gli obiettivi si veda i l sito www.rus-icons-museum.ru

[34] Соколов,Сокровища”. “Nel 1918, lontano da Pietroburgo – a Nizhni Novgorod, i cechisti (funzionari del Comitato centrale del partrito bol’scevico) perlustrarono un giorno intero pavimenti, pareti, soffitte e sotterranei nella villa del leggendario principe pietroburghese Abanelek-Lazarev, uno dei più ricchi uomini in Russia, ma non trovarono nulla. Stanco morto, uno dei tombaroli si appoggiò su una voluta lignea della parete ed ecco che tutto il panello schiacciato si spalanco, scoprendo una porta in metallo. Dietro di questa iniziava un stretto passaggio conducente in un vanno a volta, strapieno da casse in ferro,colme di vasellame e posate in argento, di tessuti orientali, di bronzi e preziose collane con brillanti, di diademi, bracciali d’oro catenelle, spille…” . Шавенков, “Историко- предметная”.

[35] Kayaloff, “Les Arméniens “.

[36] Талалай, “Православная”.

[37] Egli acquistò e decorò la Villa di Pratolino, oggi conosciuta come Villa Demidoff e vi si trasferì con la seconda moglie. Una sintesi delle ricerche sui Demidoff è reperibile al sito: www.lachiesarussadi

[38] Talalaj,La chiesa,21-30.

[39] Соколов,Сокровища”; Piccolo, “Roma”.

[40] Семигин, “Серебряный” .

[41] Si veda www.silverart.ru

[42] Неклюдова,Традиции;Немиро,История.

[43] Ci riferiamo al provocatorio titolo “Russie. Memoria/mistificazione/immaginario” dell’ esposizione organizzata nel 2010 dall’università Ca’ Foscari, Venezia, cui tesi sono certificabili solamente riguardo alle misure delle concrete opere in esame: per più dettagli e commenti (che si commentano da soli!) si veda il sito www.russie.it Tratto comune per gli autori di questo progetto è che provengono dal settore turistico, filologico o letterario oppure conoscono il mondo e l’arte russa solo da fuori, non hanno accesso a informazione specialistica valida ed aggiornata, e, logicamente, non sono in grado di verificare la veridicità di quello che scrivono.

[44] Историзм.

[45] Sulle idee e la storia del panslavismo si vedano Пыпин.,Панславизм; Никитин, Славянские;Kолейка,Славянские; Рокина , “О Трактате”.

[46] Божков, Българската,II, 147 еpassim;Божков,Българско 401;Божков, “За някои”.

[47] Stoyanova,Tecnologia; Иванов,Мастера (introduzione).

[48] Silverart.ru

[49] Коварская,Русские;Марченко, Ювелирное;Русское золотое;Скурлов, Фаберже; Смородинова ,“Золотое;Терехова,Золотые.Questo capitolo è una variante estesa ed aggiornata di un mio lavoro precedente: Stoyanova, “Russische”.

[50] Сарабьянов,История;Красилин, “Иконопись”; Маслов, ”К истории”; Щапов, Исторические;Максимов,Бродячая.

[51] Smirnova,Iconerusse1999, 29; Винокурова,“От центра” 45.

[52] Ivanov,Il grande, cap. VI;Винокурова , “От центра”, 47 e passim.

[53] Выставка; Георгиевский,Древлехранилище e Обзор;si veda anche www.Silverart.ru

[54] Рындина, “Некоторые”.

[55] Belting,Bildund Kult(voce Bild: Andachtsbild, Gnadenbild); Комашко, “Русская”.

[56] Grabar,Les revêtements; Nicolescu,Argentaria ; Radojkovich,Lesobjets ;Rothemund, Handbuch,173. Da Ciprovzi (Bulgaria) per Europa ed Asia nei secoli XVI-XVII partiva un fiume di oggetti preziosi in oro ed argento, tappeti e minerali pregiati.

[57] Il tesoro, Cat. N. 12, 19, 36.

[58] Кондаков,Опись;Чубинашвили,Грузинскоеe “Из истории”, Хускивадзе,Грузинские.

[59] Кондаков,Памятники;Архимандрит Антонин. “Заметки”;Treasures.

[60] Коварская,Русское золото,12.

[61] Коварская,Русское золото,12.

[62] In uno dei decreti di Feodor Alekseevich si constatava che oro ed argento non nascono nello stato moscovita.( Коварская,Русское золото,12) L’unica fonte per questa preziosa materia prima rimanevano le monete straniere che entravano nella tesoreria reale grazie al commercio con l’Inghilterra, l’Olanda, la Svezia, Polonia, Turchia e Persia. La loro massiccia circolazione favoriva la concentrazione di oro, d’argento e di pietre preziose nelle mani dei re russi e presto portò allo sviluppo dell’oreficeria e dell’argenteria presso la corte - monopolista.

[63] L’arrivo di ogni maestro straniero veniva segnalato nel dicastero “degli esteri”, il re lo riceveva personalmente e valutava la sua idoneità in base ai lavori presentati. In caso di assunzione al maestro venivano assicurati stipendio e provvigioni in alimenti, pane e foraggio per i cavalli. Di norma, i contratti con gli stranieri erano stipulati per la durata di tre anni, ma sono noti casi quando gli ospiti rimanevano molto di più e, come gli orefici russi, avevano case in montagna, vicino alle miniere, o nei quartieri moscoviti fuori del Cremino, dove svolgevano il loro lavoro e istruivano apprendisti per periodi da quattro a sei anni. Sul tema. Коварская,Русское золото,13е passim.

[64]Бернякович,Русское; Постникова-Лосева,Русское ювелирное;Постникова- Лосева,Золотое; Подобедовa,Русское.

[65] Бобровницкая,Государственная;Мякишева,Русские;Шакурова,Русское.

[66] Гнутова,Кресты,Зотова, “Источники”; Винокурова,Основные.

[67] Grabar,Les revêtements,passim.

[68] Rothemund,Handbuch,173.

[69] Коварская,Русскоезолото, 87 ;Гольдберг,Русское.

[70] Иванов,Мастера: sotto le rispettive voci.

[71] Бенуа.,Возникновение; Гусарова, «Мир искусства»; Лапшина, «Мир искусства», Петров, «Мир искусства».

[72] Иванов,Мастера,I: Fabergé; Скурлов,Фаберже.

[73] Платонова ,Русские”.

[74] Отчет,III, 3-5.

[75] Кондаков,История; Писарская, “Древнерусская” 6 e passim.

[76] Минжулин, “Технология”, 236-7.

[77] Ганюшкина, “Русская”; РындинаРусское; Маслов,”К истории”.

[78] Голиков, “Переходный”.

[79] De Lotto,Arte,ill. a p. 124; le icone del s. XIX-XX al sito www.rus-icons-museum.ru

[80] Бреполь,Художественное,70. La pittura a smalto apparve già nel s. XVI a Limoge,ma in questa prima fase la tavolozza dei colori era ancora abbastanza ristretta. Soloall’inizio del s. XVII un gioielliere francese mise a punto colori resistenti a fuoco chetrasformarono la complessa tecnica della pittura a smalti in ordinaria pittura a pennello susuperficie smaltata.

[81] Гнутова,Русская,introduzione.

[82] Соболев,Русский; Макарова, “Княжеские”.

[83] Гнутова,Русская,16; Винокурова,Основные.

[84] Качалов,Стекло,279 e passim

[85] Качалов,Стекло,290.

Excerpt out of 114 pages

Details

Title
Arte russa in Italia
Subtitle
Nuove scoperte dalle collezioni Abamelek-Lazarev e Demidoff
College
University of Venice
Author
Year
2010
Pages
114
Catalog Number
V166763
ISBN (eBook)
9783640832378
ISBN (Book)
9783640832903
File size
36444 KB
Language
Italian
Notes
Text: Italienisch, Fußnoten z.T. Russisch. Bibliografie in kyrillischer und lateinischer Schrift - Katalogabbildungen nicht enthalten
Keywords
Russian art, Demidoff, Abamelek-Layarev, Silver age art, Russian Jewellery, Russie, Belobrova, Theatrum Biblicum, Fabergé, Овчинников, Хлебников, Белоброва, Библия Пискатора, Ovcinnikov, Hlebnikov, Фаберже, Stockholm National Museum, Bentschev, Русское искусство в Италии, Абамелек-Лазарев, Russian icons, Semenzato, Ryndina, Smirnova, Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, Romanov
Quote paper
Ph.D. Magdelena Stoyanova (Author), 2010, Arte russa in Italia, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/166763

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